Tutte le debolezze dello Stato Islamico (ISPI)

29.08.2014 22:04
Tra l'Iraq e la Siria non si placa l'ondata di violenza connessa all'ascesa del movimento jihadista dell'IS (Stato Islamico). Dopo le persecuzioni delle comunità cristiane e yazide, le uccisioni sommarie di sciiti in Iraq e la serie di rapimenti, ieri sono giunte le nuove immagini del massacro di decine di soldati siriani. La domanda che si pone sempre più la comunità internazionale a questo punto è: come fermare l'avanzata dell'IS? Se da un lato, infatti, tutti gli attori sembrano concordare sulla necessità di un intervento che metta fine alle violenze commesse dal gruppo di al-Baghdadi nell'autoproclamato Califfato, dall'altro non vi è un progetto chiaro su come si possa intervenire, tramite quali mezzi e quali alleanze. I bombardamenti statunitensi possono rompere l'inerzia dei combattimenti, ma nel medio-lungo termine non saranno decisivi per una sconfitta definitiva del movimento. Mentre è sul tavolo anche l'ipotesi di una coalizione di attori regionali, è necessario concentrarsi anche su quali siano - oltre i punti di forza dell'IS, ampiamente sottolineati - i suoi punti di debolezza. Dal punto di vista militare, il movimento si è dimostrato talvolta incapace di mantenere alcune postazioni conquistate; il rapporto con la popolazione locale, necessario per qualsiasi gruppo di questo tipo, rischia di essere compromesso laddove l'IS non riesca a garantire un'efficace amministrazione dei territori controllati; le risorse umane e finanziarie per mantenere un apparato para-statale non sono inesauribili; infine, gli attori regionali - statali e non statali - sembrano compattarsi sempre di più contro la minaccia jihadista. Sarà possibile, sulla base di questi elementi, mettere in atto una strategia efficace per la sconfitta dell'IS? (foto: Ahmed Zakot/Twitter)

 

Tutt’altro che invincibili
Anche se non esistono stime accurate sul numero di combattenti sui quali al-Baghdadi può contare, sembra che esse non superino le poche migliaia, soprattutto qualora non si prendano in considerazione gli affiliati dell’ultima ora (le cui capacità e fedeltà sono fortemente dubbie), ma le sole forze di élite che hanno giocato un ruolo fondamentale nell’incredibile avanzata degli ultimi mesi. Le elevate capacità delle forze speciali dell’IS e la loro estrema mobilità sono state il vero punto di forza dell’organizzazione, ma difficilmente potrebbero garantire un apporto determinante in chiave difensiva, in particolar modo di fronte ad un’offensiva massiccia, coordinata e condotta su più fronti
 
Le difficili relazioni con gli attori locali
Al di là delle immagini di solidità e controllo assoluto diffuse dalla propaganda del Califfato, la presa di al-Baghdadi sulla popolazione e sugli attori locali più importanti è tutt’altro che assoluta. Anche in quest’ottica va letta l’efferatezza a cui ha fatto ricorso il gruppo tanto nei confronti della popolazione sotto la propria autorità (basti pensare alle pene inflitte ogni venerdì sulle pubbliche piazze di Raqqa, e ora anche di Mosul, agli oppositori del regime e a coloro che non hanno rispettato le norme da esso imposte) quanto nei confronti di nemici e traditori (si pensi ai filmati delle esecuzioni di soldati nemici, traditori e membri dei servizi di intelligence avversari). In entrambi i casi si tratta di messaggi volti a rafforzare l’aura di invincibilità del movimento, ma anche come esso non sia disposto a tollerare alcuna opposizione e sia in grado di rispondere con estrema violenza alla sfide alla sua autorità. Un modus operandi che risponde alla classica, e tragica, logica del “colpiscine uno per educarne cento”. Tale impostazione è risultata sinora determinante per il mantenimento del controllo formale del movimento sul territorio. Alla lunga, però, potrebbe portare all’esasperazione della popolazione locale e di quegli attori – tribali e dell’insurrezione – che presentano agende e obiettivi fortemente diversi da quelli del Califfato e che dispongono di sostegno e capacità militari significative. Una dinamica, questa, rivelatasi fondamentale per la sconfitta delle coorti dello stato islamico tra il 2006 e il 2008, anche se le differenze con quel periodo rimangono significative.
 
Le insidie di un’amministrazione di lungo periodo
Da non sottovalutare sono anche le sfide di natura amministrativa che IS deve affrontare e che hanno richiesto al movimento un massiccio dispendio di risorse (umane e materiali). Sinora il movimento è riuscito a rispondere ai principali bisogni primari della popolazione ma non è detto che possa continuare a farlo, soprattutto qualora dovesse far fronte a una crescente pressione. Inoltre, “non di solo pane vive l’uomo” e la popolazione sotto il controllo del gruppo – soprattutto all’interno delle aree più sviluppate – potrebbe sviluppare un’insofferenza sempre più marcata di fronte al pugno di ferro del gruppo e a un’economia di sussistenza non in linea con la storia e le potenzialità del territorio.
 
Un contesto che cambia
Oltre alle capacità e alla risorse delle forze di al-Baghdadi tre fattori hanno contribuito in misura determinante al loro successo: i) la sottovalutazione della minaccia jihadista da parte delle istituzioni siriane e, soprattutto, irachene e l’estrema polarizzazione delle classe politica irachena; ii) l’atteggiamento controverso adottato da diverse potenze regionali; e iii) la scarsa attenzione della comunità internazionale. Seppur per motivi differenti, molte di queste condizioni non sono più presenti. L’avanzata degli ultimi mesi delle forze dell’IS ha obbligato tanto Bashar al-Assad quanto la frammentata dirigenza irachena a prendere al-Baghdadi sul serio, oltre che a mettere da parte divisioni interne (in Iraq) e internazionali (soprattutto per quanto riguarda il regime siriano, disposto a coordinare le proprie azioni financo con Washington). Anche gli attori regionali che più si erano dimostrati ostili a un crackdown indiscriminato sulle milizie che combattono sotto il nero vessillo paiono aver mutato, almeno in parte, le loro posizioni. La comunità internazionale, infine, pare essersi decisa a togliere la testa dalla sabbia e a intervenire, seppur in misura e con modalità limitate, per frenare l’ascesa dell’IS. Le recenti operazioni americane e il sostegno alle forze anti-IS irachene fornito dall’Europa ne è un chiaro – anche se ancora insufficiente – segnale.
 
Che fare?
Il principale interrogativo alla luce di tutti questi elementi resta dunque: come agire per mettere fine all’avanzata e alla presenza dell’IS? Le potenziali modalità di intervento sembrano essere di vario tipo. Se, allo stato attuale, un intervento diretto da parte di una coalizione internazionale a guida occidentale – nonostante potesse rappresentare, almeno nel breve termine, la soluzione più efficace – non sembra essere un’opzione sul tavolo a causa della reticenza di inviare forze armate sul territorio, un coinvolgimento diretto degli attori regionali potrebbe essere più verosimile. Ciò potrebbe avvenire tramite una coalizione regionale sostenuta dall’Occidente, posto che i grandi attori locali (Arabia Saudita, Iran, Turchia e Qatar in primis) riescano a mettere da parte rivalità e interessi parziali che hanno sinora avuto un peso determinante nell’escalation della crisi. Ciò detto, rimane il problema di programmare un intervento che, non solo dal punto di vista militare ma soprattutto da quello politico, possa essere valido per una stabilizzazione di lungo termine dell’area. E’ in questa fase che le divergenze regionali potrebbero riemergere, rischiando di vanificare eventuali risultati ottenuti sul campo nel breve periodo.