Sguardi (Passaggi culturali/Riflessioni strategiche) - a cura della redazione

19.05.2013 11:19

- Le reti della Rete. Un'ora e 28 minuti è il tempo passato online dagli italiani ogni giorno. Mettiamo che venga trascorso tra posta elettronica, siti di informazione, un social network, la ricerca del ristorante per la cena e l'acquisto di un biglietto del treno. Per un totale di dieci siti visitati. Il risultato sarà un'ora e 28 minuti di ricerche, iLike, esitazioni, fughe e ritorni che finiscono nel database di 50 aziende. Secondo l'osservatorio del Center Law and Technology dell'Università di Berkely, infatti, per ogni sito Internet che scegliamo di visitare ce ne sono almeno 5 che raccolgono, senza avvertire gli utenti, informazioni sulle nostre attività online. Lo fanno attraverso i cookie, piccoli file di testo utilizzati per memorizzare - attraverso i sistemi di navigazione online (Internet, Explorer, Google Chrome, Firefox) - informazioni sull'utente. Quando siamo online i "biscottini" ci riconoscono e si attaccano al nostro browser seguendoci sul web. Sono migliaia: esattamente 6.495 quelli presenti sui 200 siti più visitati al mondo alla fine del 2012. Il rapporto "Global Tracker" di Evidon, compagnia che produce il software antitracciamento Ghostery, li divide in quattro categorie: i "pubblicitari" (il 46% del totale), come AdSense di Google e Criteo, che collezionano dati per adeguare l'offerta della pubblicità ai gusti degli utenti; i cookie analitici (22%) - NetRatings SiteCensus e Google Analytics per esempio - che servono a ottenere statistiche dettagliate sul traffico di un sito (pagine viste, tempi lettura, rendimento degli annunci pubblicitari); i tracker "comportamentali" (21%), come Potimezily, che individuano sui motori di ricerca i contenuti più adatti al singolo lettore (dai viaggi ai prodotti di bellezza fino agli articoli di giornale); infine, i page widget (11%) - bottoni iLike, tasti di condivisione - che raccolgono informazioni su quello che condividiamo o apprezziamo sui social, offrendo in cambio servizi gratuiti. (...). (Serena Danna, La Lettura  Corriere della Sera, 19 maggio 2013)

- Il Papa global. Jorge Maria Bergoglio è il primo Papa che si possa definire veramente globale. Non solo perché è stato scovato "quasi alla fine del mondo", come ha detto scherzosamente di sé. Le dinamiche del Conclave del 12 e 13 marzo hanno mostrato la fine di un'era per il Vaticano. Le Americhe sono passate dalla periferia al cuore del mondo cattolico. L'eurocentrismo è finito. E la creazione di un consiglio di otto cardinali presi dai cinque continenti per concorrere alle decisioni di Francesco, il 14 aprile, conferma l'intenzione di rivoluzionare il governo della Chiesa. La scelta di chiamarsi Francesco è un altro sintomo della sua naturale attenzione ai poveri delle baraccopoli sovrappopolate nelle maggiori città del mondo. L'approccio nasce soprattutto dalla sua esperienza quotidiana di arcivescovo di Buenos Aires, attento alla povertà di gigantesche periferie; e riflette una tendenza mondiale. I trend per il 2030 dello Us National Intelligence Council dicono che nei prossimi vent'anni il numero delle megacities crescerà, creando aree "peri-urbane" e "mega-regioni" che diventeranno potenti attori non statali, superando le dimensioni nazionali. Francesco rappresenta questo spostamento di priorità. E segnala una diversità notevole rispetto ai predecessori. Giovanni Paolo II fu eletto nel 1978, e come Pontefice polacco contribuì al crollo dell'impero sovietico. Primo non italiano dopo circa 400 anni, viaggiò in più di 120 nazioni. Ma Wojtyla è stato un globe trotter, più che un Papa globale. I suoi valori culturali e geopolitici erano influenzati dall'esperienza di sacerdote vissuto dietro la cortina di ferro comunista durante la guerra fredda. E ancora meno globale è stato il tedesco bavarese Benedetto XVI, col suo approccio intellettuale. Joseph Ratzinger ha rappresentato il tentativo di riconquistare l'Europa al cattolicesmo mentre l'eurocentrismo era finito. E rimanendo irretito e bloccato dalla Curia romana ha dimostrato quanto difficile fosse qualunque riforma. La sua "abdicazione", quasi senza precedenti, è stato un gesto traumatico e disperato, destinato a mutare il profilo plurisecolare del papato; e a mostrare la frustrazione di fronte all'impossibilità di emancipare il Vaticano da centri di potere radicati in profondità. (...). (Massimo Franco, La Lettura Corriere della Sera, 19 maggio 2013)

- Ma dobbiamo imparare a convivere con il caso. "Alea jacta est": così s'intitola il capitolo zero del nuovo libro di Brian Clegg, Dice World. Science and Life in a Random Universe (Icon Books). Ed è proprio dai dadi, presenti sia nella frase attribuita a Giulio Cesare sia nel titolo del suo libro, che Clegg parte per condurci nel "caotico" mondo in cui viviamo, per indicarci le trappole in cui facilmente cadiamo e in cui qualche volta vogliamo cadere, perché ci sembra più rassicurante ipotizzare schemi inesistenti piuttosto che convivere con il peso del caso. Non che non vi siano strumenti per diradare la nebbia, come la statistica e il calcolo delle probabilità, ma sono strumenti difficili da maneggiare e spesso la nostra inettitudine pesa sulla valutazione del rischio. La cosiddetta fallacia del giocatore non ci inganna solo quando lanciamo una moneta o puntiamo sul 19 rosso, ma in ogni scommessa che facciamo, in ogni decisione che prendiamo. Non sono solo le nostre speranze - di vincere, di realizzare i desideri - a confondere il panorama: è facile scambiare una correlazione per la dimostrazione di un nesso casuale. E' facile lasciarsi sedurre da schemi ordinati e diventa sempre più difficile orientarsi nella complessità del mondo, considerando che, mentre noi siamo rimasti più o meno uguali a migliaia di anni fa, intorno a noi ci sono realtà inimmaginabili anche un paio di secoli fa. (...). (Chiara Lalli, La Lettura Corriere della Sera, 19 maggio 2013)