(S.Sede/Riflessioni strategiche) Benedetto XVI e l’America Latina (Maurizio Stefanini, Limes online, 14 febbraio 2013)

15.02.2013 15:08

Malgrado il viaggio in Brasile nel 2007 e quello in Messico e a Cuba del 2012, la regione si è sentita delusa e trascurata da papa Ratzinger. L'America Latina esprime il 42% dei fedeli cattolici mondiali: adesso spera di poter esprimere anche il prossimo pontefice.



[Carta di Laura Canali]

L’America Latina ha il 42% dei fedeli cattolici di tutto il mondo: mezzo miliardo su un totale di 1,2 miliardi.

 

Questa maggioranza relativa diventa però minoranza in conclave, con appena 19 cardinali su 117, contro i 62 europei, anche se in Europa vive oggi solo il 25% di tutti i cattolici.

 

Benedetto XVI è stato - dopo Giovanni Paolo II, che vi è passato ben 18 volte - il secondo papa nella storia a viaggiare in America Latina. In precedenza, a essere fiscali, c’era stato anche Pio IX, ma prima di diventare papa: quando ancor giovane sacerdote fu in Cile tra luglio 1823 e giugno 1825 come membro di quella rappresentanza apostolica del nunzio Monsignor Giovanni Muzi, che sarebbe stata la prima missione mandata dal Vaticano a aggiustare i rapporti con le nuove repubbliche nate dall’insurrezione indipendentista contro la monarchia cattolica spagnola.

 

I viaggi di Benedetto XVI non sono stati numerosi. Il primo è stato fatto in Brasile nel maggio del 2007, due anni dopo l’elezione. In quell'occasione Benedetto XVI visitò San Paolo, Aparecida e Guaratingueta; si vide con Lula; inaugurò il santuario di Nossa Senhora Aparecida e la V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e Caraibico (Celam); proclamò il primo santo brasiliano nella figura di Frei Galvão (Santa Paulina era stata canonizzata nel 2002, ma era nata in Trentino, pur essendo emigrata in Brasile a 10 anni); celebrò un incontro con i giovani; visitò un centro per il recupero di tossicodipendenti.

 

Il secondo viaggio è stato in Messico e a Cuba, dal 23 al 28 marzo 2012: il primo di Benedetto XVI in due paesi di lingua spagnola. In Messico, dove restò tra il 23 e il 26, si vide con il presidente Felipe Calderón; sorvolò in elicottero il santuario di Cristo Rey; si riunì con i vescovi messicani: ebbe un incontro con i bambini. A Cuba, dove restò tra il 26 e il 28, si vide con Raúl e Fidel Castro; visitò il santuario della patrona dell’isola Virgen de la Caridad del Cobre, nei 400 anni dal suo ritrovamento; celebrò una messa in Plaza de la Revolución.

 

Proprio questa rubrica registrò come, a parte le contestazioni in Messico per lo scandalo della pedofilia e le polemiche a Cuba per aver subito il diktat delle autorità non dando alcuno spazio ai dissidenti, ci fosse in America Latina una certa delusione verso il successore di Giovanni Paolo II. Una delusione legata proprio a questa apparente disattenzione nei confronti di un’area che non solo è per la Chiesa sempre più importante, ma sta vivendo in questi anni un periodo effervescente di crescita economica e politica (pur con vari problemi vecchi che restano e problemi nuovi che arrivano).

 

La prima reazione all’improvviso annuncio di Benedetto XVI è stata, come in tutto il mondo, di mera sorpresa. Misurabile dal fatto che in Brasile i relativi titoli di giornale abbiano surclassato quelli sul Carnevale. Poi, ci sono stati commenti in parte calati sulle realtà nazionale. Il cardinale boliviano Julio Terrazas, ad esempio, ha espresso “profondo rispetto”. Il presidente della Conferenza Episcopale del Venezuela Diego Padrón nel dire che Benedetto XVI nel mostrare che non attaccato “al potere per il potere” ha preso una decisione “che dovrebbe essere presa come un esempio dai venezuelani”.

 

Un riferimento velato ma chiarissimo a Chávez, che rimane presidente anche se da due mesi non si hanno più sue immagini dal letto d’ospedale. Il portavoce dell’Arcidiocesi di città del Messico Hugo Valdemar Romero si è detto “scioccato”, ammettendo in un’intervista tv che era “evidente” come Benedetto XVI sia stato danneggiato dagli “intrighi di Roma”, e negando che il successore possa essere messicano. Il vicepresidente della Conferenza episcopale peruviana, monsignor Pedro Barreto, ha parlato di una decisione “che provoca dolore” ma è anche “una manifestazione di grandezza”.

 

Si è scatenata soprattutto l’attesa per la possibile elezione del primo papa latinoamericano. Tra i papabili provenienti dalla regione, quello con più possibilità sarebbe il brasiliano Odilio Pedro Scherer, arcivescovo dell’enorme diocesi di San Paolo. Non si sa però se la rapida crescita dei protestanti in Brasile lo danneggi - come prova di scarsa “efficienza” - o lo avvantaggi, creando la necessità strategica di dare una risposta “forte” come appunto l’arrivo di un brasiliano al Soglio di Pietro. Dopo di lui viene nei pronostici l’argentino di genitori italiani Leonardo Sandri: un candidato “transatlantico” e poliglotta che dopo essere stato nunzio apostolico in Venezuela e Messico è diventato prima sostituto per gli Affari generali (dal 16 settembre 2000) e poi prefetto della Congregazione per le chiese orientali.

 

Sandri è anche uomo di rapporti con il Medio Oriente e l’Asia, anche se ha perso potere rispetto a quando - come sostituto per gli Affari generali - era il terzo uomo della gerarchia vaticana. Fu lui ad annunciare la morte di Giovanni Paolo II. C’è poi il brasiliano João Braz de Aviz, che dopo sette anni da arcivescovo di Brasilia è stato nominato nel 2011 prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica; è considerato un supporter della Teologia della Liberazione, ma molto moderato, e comunque un personaggio che tende a mantenere un profilo basso. L’arcivescovo di Tegucigalpa e presidente di Caritas Internationalis Oscar Andrés Rodríguez Madariaga, che era un favorito per la successione a Giovanni Paolo II, ebbe problemi perché considerato troppo progressista: in compenso, ora il suo appoggio alla destituzione del presidente Zelaya ha fatto spostare la sua immagine sensibilmente a destra.

 

Un secondo argentino in gioco è Jorge Mario Bergoglio, anche lui di origine italiana: arcivescovo di Buenos Aires, primate d'Argentina, ordinario per i fedeli di rito orientale in Argentina, al conclave del 2005 fu il più votato dopo Ratzinger, sostenuto dai progressisti. Ma sarebbe stato lui a voler fare un passo a lato, preoccupato che la sua candidatura bloccasse il conclave troppo a lungo. Molto stimato dai colleghi latinoamericani, che al momento dell’elezione dei 252 membri del primo Sinodo dei vescovi dopo l’ascesa al Soglio di Benedetto XVI, fu lui il più votato. Ma amerebbe poco gli ambienti romani, ed è considerato di età troppo avanzata.

 

Altri tre brasiliani sono il presidente della Conferenza episcopale brasiliana Raymundo Damasceno Assis, che ha però solo un anno meno del 75enne Bergoglio; il vescovo emerito di San Paolo Cláudio Hummes, a sua volta però 75enne e criticato per eccessivi sbandamenti tra sinistra e destra; e l’arcivescovo di Salvador Geraldo Majella Agnelo. In realtà, i bookmakers britannici non favoriscono nessuno di loro, mettendo invece ai primi tre posti delle quotazioni il nigeriano Francis Arinze, il ghanese Peter Turkson e il canadese Marc Ouellet, che peraltro conosce bene l’America Latina e parla perfettamente spagnolo.

 

Insomma, i latino-americani lo vedono quasi come uno di loro. Ma è proverbiale: “chi entra in conclave papa, ne esce cardinale”.