News by Misna
- (Thailandia) LA POLIZIA TENTA IL COLPO DI MANO, POI CI RIPENSA.
Questa mattina, con un’azione imprevista per molti ma pare preannunciata ai manifestanti per evitare resistenze e vittime, un migliaio di poliziotti antisommossa ha sgomberato il presidio della protesta più vicino al Palazzo del Governo, rendendo così possibile, come da intenzione espressa delle autorità per la sicurezza, un ritorno al funzionamento di una importante struttura pubblica. Da tempo gli incontri di gabinetto si tengono infatti nella sede del ministero della Difesa, di cui il primo ministro, la signora Yingluck Shinawatra, è pure responsabile. Il presidio è stato occupato agevolmente, lasciato libero dai giovani dei movimenti studenteschi che da tempo lo gestivano e che si sono trasferiti altrove.
Con la stessa intenzione, un massiccio numero di poliziotti, anche armati, hanno fronteggiato i manifestanti del Comitato popolare per la riforma democratica che assediano da molte settimane la sede degli uffici governativi, in un’area semi-periferica della capitale, Chaengwattana. A loro capo, un monaco buddhista, Luang Pu Buddha Issara, famoso insieme per i suoi sermoni e per la sua decisione di aderire alla protesta che lo ha messo a rischio di espulsione dalla comunità monastica. Dopo un breve confronto a ridosso delle barricate, gli anti-governativi si sono seduti per terra, esortati alla calma dal monaco che ha iniziato anche a recitare testi religiosi. La determinazione dei manifestanti e la coincidenza con l’odierna festa nazionale che ricorda l’insegnamento del Buddha ai discepoli hanno convinto la polizia a ritirarsi nonostante i proclami bellicosi del responsabile del centro per la gestione della crisi, il ministro del Lavoro Chalerm Yubamrung.
Poco dopo e con maggiore consistenza nel pomeriggio, i manifestanti hanno ricominciato ad affluire nell’area del presidio smantellato in mattinata e lasciato sguarnito dalla polizia. In tarda mattinata, due esplosioni hanno interessato il presidio presso il ponte di Makkhawan, con due feriti lievi, tra cui un giornalista thailandese.
Una situazione irreale quella vissuta nella capitale thailandese in queste ore, che potrebbe preludere però a una prova di forza domani e dopodomani. I responsabili dell’ordine pubblico hanno dimostrato oggi di volere puntare sul numero ridotto di simpatizzanti presso i presidi fissi della protesta, dato il ponte in corso. A rendere più urgente una soluzione definitiva, la possibilità che già lunedì si attui la saldatura tra gli anti-governativi in piazza e i risicoltori che accusano il governo per non avere rispettato i tempi di pagamento del riso consegnato ai magazzini statali e che sono in molti casi ridotti alla disperazione.
Un avvertimento forte in questo senso è arrivato da un leader della Rete degli agricoltori di tutte le 77 provincie del paese. Daicharn Mata ha chiesto ai contadini di marciare sulla capitale. Lui, che era un fervente esponente delle Camicie rosse filo-governative, ha detto di sentirsi tradito dall’inadempienza del governo. “Non abbiamo intenti politici. Se saremo pagati torneremo a casa immediatamente”, ha detto in una dichiarazione trasmessa dalla rete anti-governativa Bluesky Channel. Mata ha ricordato le condizioni drammatiche di molti agricoltori, costretti a vendere i loro beni e a ricorrere a usurai per potersi sfamare. Lunedì, ha confermato, i risicoltori cercheranno un incontro con il premier e se non avranno risposte rovesceranno il governo.
Il tentativo di questa mattina di costringere la protesta a liberare importanti vie di comunicazione e sedi della pubblica amministrazione mostra che le risorse dell’esecutivo sono ormai assai ridotte. In realtà, l’intera situazione sembra non avere una via d’uscita legale, politica o di dialogo. Non esistono mediatori credibili o accettabili dalle parti, le forze armate, chiamate in causa più volte continuano a restare neutrali e a limitarsi a fornire assistenza medica d’emergenza e pattuglie disarmate all’estero dei siti dei manifestanti.
Nel tentativo di sollecitare una condanna internazionale verso gli anti-governativi, il ministro degli Esteri Surapong Tovichakchaikul, ieri, al termine di un incontro con le rappresentanze diplomatiche e i giornalisti accreditati a Bangkok ha chiesto a governi e organizzazioni internazionali di condannare la protesta e che una loro azione in questo senso non sarà vista come un’ingerenza negli affari interni del paese. Più volte i manifestanti hanno fatto conoscere all’esterno le loro ragioni, chiedendo un intervento per evitare la repressione e per invece favorire le dimissioni di un esecutivo che non ritengono più legittimato.
- (Costa D'Avorio) SLITTA CREAZIONE FRONTE UNITO DI OPPOSIZIONE.
Attesa per ieri, è invece slittata a data da destinarsi la creazione ufficiale di un “Fronte comune dell’opposizione” su iniziativa del Fronte popolare ivoriano (Fpi), il partito dell’ex presidente Laurent Gbagbo. Si è concluso con un nulla di fatto il quarto incontro tra la direzione dell’Fpi e i vertici di una decina di formazioni politiche di opposizione. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati i contatti tra il presidente della principale forza di opposizione, Pascal Affi Nguessan, e i leader di altri partiti minori con l’intento di coalizzarsi per “parlare con una sola voce con il potere”.
Attualmente l’opposizione ivoriana è divisa in due blocchi: da una parte 11 gruppi minori riuniti nel Quadro permanente di dialogo diretto (Cdp) e dall’altra l’Fpi, che ha allacciato di recente un dialogo diretto col governo dopo mesi di tensioni, sulla scia del braccio di ferro elettorale del 2010-2011 tra Gbagbo e l’attuale presidente Alassane Dramane Ouattara. La crisi politico-militare di tre anni fa si è conclusa con 3000 vittime.
Osservatori locali e fonti di stampa ivoriana hanno accolto con prudenza il tentativo dell’Fpi di unificare l’opposizione con criteri e motivazioni considerate “poco chiare”. Cinque dei partiti coinvolti hanno già voltato le spalle a Nguessan, sottolineando che “dopo essersi rifiutati per due anni di raggiungere il Cdp per rimanere da soli nel dialogo col governo, ora i membri dell’Fpi hanno scoperto le virtù dell’unità”. Suscita altri interrogativi la decisione del partito di Gbagbo di non coinvolgere nel futuro fronte comune ‘Lider’, il partito di Mamadou Koulibaly, già presidente dell’Assemblea nazionale ed ex esponente di spicco dell’Fpi.
Al di là del dialogo tra maggioranza e opposizione, la riorganizzazione del panorama politico ivoriano è da ricollegare alla scadenza elettorale del 2015, anno delle presidenziali, vera posta in gioco delle trattative in corso. Non c’è unanimità nemmeno tra le forze al potere in merito ad una candidatura unica di Ouattara, forte del promettente andamento dell’economia nazionale, con un tasso di crescita previsto del 10% nel 2014. A far temere per l’appuntamento del prossimo anno è la polarizzazione del paese tra i pro-Ouattara e i pro-Gbagbo. Se le tensioni sul terreno sono nettamente diminuite, il processo di riconciliazione non è andato molto avanti e a distanza di tre anni società civile e difensori dei diritti umani denunciano l’impunità attorno ai crimini commessi durante l’ultima tornata elettorale del 2010. Decine di pro-Gbagbo sono rientrati dall’esilio, altri sono stati liberati e altri ancora vengono processati dalla giustizia ivoriana mentre è fermo l’iter giuridico contro l’ex presidente presso la Corte penale internazionale (Cpi). Sono in tanti ad aver denunciato una giustizia a “due velocità” che finora non ha preso nella sua rete militari e politici legati a Ouattara, anch’essi coinvolti nei massacri post-elettorali.
- (Libia) TRIPOLI, SMENTITO ANNUNCIO DI UN ‘COLPO DI STATO’.
Ore di confusione si sono susseguite questa mattina dopo che si è diffusa la notizia di un possibile colpo di Stato in atto a Tripoli: il ministro della Difesa Abdulah al Thani – riporta il quotidiano Libyan Herald – ha dichiarato che le forze armate hanno sventato un tentativo di golpe messo a segno dall’ex capo di Stato maggiore, Khalifa Haftar.
Secondo quanto riportato dall’emittente al Arabiya, le forze di Haftar avrebbero tentato di prendere possesso dei centri di potere della capitale per dare vita ad un comitato presidenziale che potesse governare fino a nuove elezioni. Poche ore dopo, il premier Ali Zeidan ha ordinato il suo arresto precisando che Haftar “non fa più parte dell’esercito”.
“Il comando nazionale dell’esercito libico si sta muovendo per impostare la nuova road map verso la democrazia e salvare il paese dalla sciagura. Terremo incontri con partiti e gruppi di potere per testare la condivisione di questa tabella di marcia” aveva detto Haftar in un messaggio trasmesso da Al Arabiya.
Figura di spicco nella rivoluzione del 2011 contro Muammar Gheddafi, Haftar ha combattuto nella guerra contro il Ciad, negli anni ‘70, ma in seguito a contrasti con l’ex guida libica è stato costretto all’esilio negli Stati Uniti. Rientrato in Libia dopo l’inizio della rivolta, nel 2011, è diventato uno dei leader militari del Consiglio nazionale transitorio.
- (Cina) XINJIANG, NUOVE VITTIME IN UN “ATTACCO TERRORISTICO”.
Ancora violenze nella grande regione autonoma cinese occidentale delle Xinjiang, una quindicina le vittime, tra cui quattro civili. A riferirlo sono le fonti ufficiali cinesi, tra cui l’agenzia d’informazione ufficiale Xinhua, che riferiscono come “diversi terroristi” siano stati uccisi oggi pomeriggio durante un “attacco terroristico” nella contea di Wushim, prefettura di Aksu. Per le fonti cinesi “terroristi a bordo di auto e di motociclette hanno attaccato una squadra di poliziotti che stavano raccogliendosi all’ingresso di un parco per un pattugliamento di routine”.
I fatti di oggi sono una conferma che la situazione nella vasta area, abitata dall’etnia musulmana degli Uighuri, al confine con paesi di fede islamica, continua ad essere instabile dopo i ripetuti casi di violenze degli ultimi anni.
Gli Uighuri hanno raramente rivendicato azioni violente o xenofobe contro gli immigrati di etnia Han, di cui temono il predominio numerico, culturale e economico, data l’immigrazione incentivata da Pechino.
Per le autorità, i disordini sono abitualmente attribuiti a “terroristi”, membri di movimenti separatisti che hanno per scopo la destabilizzazione della regione in accordo con simili gruppi stranieri. Dal canto loro, le associazioni per i diritti umani hanno denunicato in più di un’occasione comportamenti “discriminatori”. L’Islam locale, per quanto forte strumento identitario, non ha mai ufficialmente abbracciato cause radicali o tanto meno jihadiste.
Un centinaio i morti dovuti alle tensioni locali, tra cui diversi poliziotti. Ultimi incidenti registrati, quelli dello scorso gennaio, quando tre esplosioni hanno colpito diverse località della regione, provocando tre morti. Un’azione dimostrativa di alto significato, anch’essa attribuita dalle autorità di Pechino all’estremismo uighuro, si era verificata lo scorso ottobre sulla piazza Tiananmen. Allora, tre membri della stessa famiglia erano morti sul loro veicolo incendiatosi, pare, mentre cercavano di fare detonare ordigni incendiari davanti all’ingresso principale della Città Proibita. Insieme a loro erano deceduti anche due passanti di un gruppo investito dall’auto.
- (Siria) ESPLOSIONI E SCONTRI AD ALEPPO, NEGOZIATO IN STALLO.
Almeno cinque ordigni sono esplosi sotto l’edificio principale dell’hotel Carlton ad Aleppo, usato come base dall’esercito siriano. Il bilancio al momento è di 5 morti fra i soldati e almeno 18 feriti secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh).
Subito dopo le esplosioni, l’esercito sostenuto dalle milizie filogovernative ha aperto il fuoco sugli attentatori, uccidendo un numero imprecisato di ribelli.
Intanto a Ginevra, dove sono in corso i colloqui tra rappresentanti del governo di Damasco e dell’opposizione armata “nessun progresso” è stato registrato nella giornata di oggi secondo Faisal Moqdad, viceministro degli Esteri siriano. Una considerazione condivisa dal portavoce della delegazione dell’opposizione, Louai Safi che ha dichiarato: “Al momento le trattative sono in fase di stallo, come tutti sapete”.
Nessuno dei due inoltre ha dato indicazione alcuna sul prosieguo dei negoziati e, per il momento, il mediatore delle Nazioni Unite e della Lega Araba Lakhdar Brahimi non ha in programma di parlare con la stampa.
Dal canto suo Moqdad ha ribadito che “la lotta del governo contro il terrorismo rimane una priorità” e che “coloro che non vogliono combattere il terrorismo non sono sicuramente parte del popolo siriano”.
“Non abbiamo alcun problema a discutere del terrorismo avviato dal regime ( … ) ma senza un’autorità di transizione non governativa non cambierà nulla” ha ribadito Safi, sottolineando che la sua delegazione ha presentato un documento che i rappresentanti del governo non hanno neanche voluto prendere.