News by Misna
- (Tunisia) NUOVA COSTITUZIONE, UN PASSO VERSO IL FUTURO (Intervista)
Parità tra uomo e donna, libertà di culto e di coscienza, affermazione dei diritti civili e indipendenza della magistratura: sono alcuni dei capisaldi della nuova Costituzione tunisina, approvata dal parlamento dopo una lunga crisi politica, e acclamata come un “possibile modello” per l’intero mondo arabo. Una svolta che precede l’attesa nomina di un governo di consenso, guidato dal premier Mehdi Jomaa, incaricato di traghettare il paese verso nuove elezioni politiche. La MISNA ne ha parlato con padre Ramon Echevarria, missionario dei Padri Bianchi e vicario della diocesi di Tunisi.
Dopo mesi di stallo, la Tunisia sembra aver intrapreso la strada giusta. Come valuta gli sviluppi degli ultimi giorni?
“Aver fatto la Costituzione è un buon primo passo. Finalmente il paese sembra essere uscito da quella impasse in cui era piombato da mesi, grazie alla buona volontà di diverse parti sociali e politiche e questo, in un momento così critico, è importante. Ma non è la prima volta che la Tunisia segna la strada, all’interno del mondo arabo. Penso alle riforme introdotte dal presidente Habib Bourguiba, che all’epoca prevedevano normative più avanzate di quelle in vigore in molti paesi europei”.
Quali sono i prossimi passi da compiere?
“La sfida vera, non è tanto la Costituzione quanto la governabilità e l’economia della Tunisia. Abbiamo bisogno di un governo capace e ne abbiamo bisogno in fretta. Una cosa che mi ha colpito, leggendo la lista dell’esecutivo presentato ieri dal primo ministro Mehdi Jomaa, è che molti dei ministri abbiano sui 40 anni. Si tratta di una nuova generazione di tecnici per lo più indipendenti, molti dei quali educati o formati anche all’estero. Per non fallire, questa transizione politica dev’essere capace di far ripartire l’economia”.
Cosa chiedono i tunisini al governo di Mehdi Jomaa?
“Per capire quello che succede qui bisogna guardare oltre Tunisi, nelle regioni di Gafsa, Kasserine e Sidi bou Sid. La gente è stanca: non vede attuate le riforme per le quali è scesa in piazza rovesciando il governo di Zine el Abidine Ben Ali e in più soffre le conseguenze di una crisi economica durissima. Oltre due anni di proteste, scioperi e violenze hanno letteralmente paralizzato la produzione agricola, l’industria e il turismo, le principali voci dell’economia nazionale”.
Come si profila il prossimo appuntamento con le urne?
I tunisini sono stanchi di sentir parlare i politici, li vogliono vedere in azione. Se questo governo riuscirà a infondere un po’ di fiducia, le cose pian piano miglioreranno e la gente tornerà a interessarsi alla cosa pubblica. Le elezioni, che si terranno nei prossimi mesi, sono un appuntamento da non sottovalutare ma il malcontento, per ora, è ancora troppo forte”.
Eppure rispetto ad altri paesi dell’area, la Tunisia sembra l’unica ad aver imboccato una strada costruttiva. Come valuta gli accadimenti nei vicini Egitto e Libia?
“L’Egitto, a differenza della Tunisia, è stato sempre governato da militari. Ma credo che molte delle forze che ora sostengono il governo di transizione e, di fatto, il generale Abdel Fattah Al Sissi, non abbiano molta capacità di valutare le cose sul lungo periodo. In poco tempo i militari potrebbero cancellare ogni segno della rivoluzione del 2011 e ripristinare esattamente lo status quo dell’era Mubarak. Quanto alla Libia, il discorso è anche più complesso, poiché affonda le sue radici in una realtà fortemente caratterizzata dalle pressioni tribali e dalle divisioni regionali. I timori che il vuoto lasciato da Gheddafi possa sprofondare il paese verso il baratro, sono oggi più che mai concreti”.
- (Coree) ESECUZIONI DI REGIME AL NORD, INIZIANO LE MANOVRE AL SUD
Oggi iniziano le manovre militari sudcoreane su alcune isole a ridosso del contestato confine marittimo con la Corea del Nord. Nei giorni scorsi il regime nordcoreano aveva annunciato con la solita retorica che le manovre, le prime di una serie che coinvolgerà da febbraio anche l’alleato statunitense, sarebbero equivalse alla minaccia di una guerra nucleare e che avrebbero avuto una risposta adeguata. Oggi Seul ha rifiutato ancora le pressioni di Pyongyang e offerte di distensione giudicate solo tatticismi. Ha confermato invece le esercitazioni con l’uso di veri proiettili e ha promesso una risposta immediata in caso di provocazioni. L’area delle manovre, infatti, include l’isola di Yeonpyeong, sottoposta a un bombardamento d’artiglieria il 23 novembre 2010 che provocò 4 morti e 19 feriti tra civili e militari sudcoreani.
Intanto emergono le drammatiche notizie dell’esecuzione nelle ultime settimane dei congiunti di Jang Song-thaek, zio del leader Kim Jong-un accusato di alto tradimento e giustiziato lo scorso 12 dicembre. Dal Nord filtrano informazioni del massacro dell’intera famiglia di Jang, fratelli, sorelle, figli e nipoti, inclusi i bambini, spesso uccisi davanti ai consanguinei per rendere più efficace la repressione.
Le fonti sono soprattutto dell’agenzia d’informazione Yonhap riprese in questi giorni dai media sudcoreani. “Alcuni congiunti sono stati uccisi a colpi di pistola davanti ad altri che cercavano di resistere all’arresto nelle loro case”, segnala Yonhap.
“Nessuna traccia” del traditore e della sua famiglia deve sopravvivere, avrebbe ordinato Kim, terzo erede della dinastia comunista che presiede il regime di Pyongyang. Tra gli assassinati, la sorella di Jang e il marito (ambasciatore nordcoreano a Cuba), oltre a un nipote, Jang Yong-chol, già ambasciatore in Malesia e i suoi due figli. La moglie di Jang Song-thaek, Kim Hyong-hui, sorella del padre di Kim Jong-un, Kim Jong-Il, anch’essa – come il marito – generale e con un ruolo di primo piano nella leadership del paese fino all’inspiegabile caduta in disgrazia dell’intera famiglia, sarebbe morta già lo scorso autunno in circostanze non chiare.
Pochi sopravvissuti si troverebbero ora in aree isolate del paese, in condizioni di detenzione. Sconcertanti i particolari dell’esecuzione di Jang, che sarebbe stato dato in pasto ai cani, secondo media cinesi ripresi dal quotidiano singaporeano The Straits Times.
- (Sudafrica) SU RAMPHELE SCOMMESSA AD ALTO RISCHIO (Intervista)
“Non basta un leader nero per avere il voto dei neri” dice alla MISNA padre Morare Matsepane, gesuita al fianco dei poveri di Città del Capo, attento osservatore della politica del Sudafrica. Parla della candidatura di Mamphela Ramphele con ‘Democratic Alliance’: finora, per molti, il “partito dei bianchi”.
Ramphele candidata di ‘Da’ e non di ‘Agang’, il partito che lei stessa aveva fondato l’anno scorso. Se l’aspettava?
“Le voci giravano da tempo, ma c’erano anche state smentite. Quando un anno fa Ramphele aveva annunciato un nuovo impegno in politica ‘Democratic Alliance’ si era fatta avanti ma lei aveva rifiutato. ‘Agang’ in un primo tempo era stato visto come un’alternativa credibile, a metà strada tra il governo dell’’African National Congress’ e ‘Da’. Il progetto si è però scontrato con la difficoltà nel raccogliere i fondi necessari, difficoltà divenute evidenti un mese fa. Il motivo è che ‘Agang’ guarda alle classi medie e al mondo delle imprese, soggetti politici che almeno in parte sostengono l’‘Anc’ o ‘Da’”.
Per ‘Agang’ non c’era spazio…
“Di certo, sul destino del partito adesso c’è grande incertezza. Non è chiaro se i dirigenti saranno assorbiti in ‘Democratic Alliance’ o continueranno la loro campagna elettorale”.
Ramphele ha fatto la scelta giusta?
“Diciamo che molti commentatori l’hanno criticata. Nei mesi scorsi Ramphele aveva attaccato di continuo ‘Democratic Alliance’, accusandola di non curarsi della maggioranza nera e povera della popolazione. Poi, all’improvviso, cosa fa? Cambia partito”.
Adesso ‘Democratic Alliance’ è più forte?
“I dirigenti del partito hanno fatto una scommessa. Basata sulla convinzione che gli elettori neri voteranno per loro se presenteranno un candidato alla presidenza nero. Ma si sbagliano. I neri sceglieranno ‘Democratic Alliance’ solo se questo partito dimostrerà di avere a cuore i loro problemi. Non è un caso che finora l’‘African National Congress’ abbia mantenuto una maggioranza solida. La minaccia nei confronti del partito della lotta contro l’apartheid potrebbe venire piuttosto da un’altra forza politica, gli Economic Freedom Fighters di Julius Malema. Nelle township, nelle comunità più povere, con i loro berretti rossi hanno un seguito sempre maggiore”.
- (Myanmar) INVESTITORI CONFERMANO IMPEGNO A FIANCO GOVERNO
Positivi i risultati dal secondo Myanmar Development Cooperation Forum (Incontro per la cooperazione per lo sviluppo del Myanmar) che si è concluso oggi nella capitale birmana Naypyidaw. L’accordo tra governo e partner nello sviluppo consentirà di accelerare l’applicazione del Piano di azione dell’Accordo di Naypyidaw con il fine di assicurare iniziative coordinate e concrete di sviluppo. Il piano era stato approvato lo scorso anno e le sue fasi iniziali sono state al centro dei due giorni di incontri e comunicazioni.
Data la tendenza positiva, i partner si sono impegnati ad accrescere il loro ruolo per sostenere le strategie governative che vanno emergendo, riconoscendo maggiore fiducia alle capacità di un’amministrazione erede, seppure in senso riformista e liberista, del vecchio regime militare e in cui gli interessi degli uomini in divisa e quelli ad essi collegati restano essenziali.
Tuttavia, in molti sono pronti a riconoscere che le quattro fasi di riforme presentate dal presidente Thein Sien ieri a inizio dei lavori (riforma politica, riforma socio-economica, riforma amministrativa e riforma del settore privato) vanno pendendo consistenza.
A conferma, il credito all’investimento per un miliardo di dollari nel settore energetico da parte della Banca mondiale. Il presidente dell’istituzione, il sudcoreano Jim Yong Kim, ha evidenziato l’importanza di un più rapido e migliore accesso di tutta la popolazione a servizi medico-sanitari, elettricità e progresso agricolo per combattere la povertà di un paese che è ancora agli ultimi posti nelle classifiche di reddito e sviluppo umano in Asia.
Tuttavia i fondamentali economici cominciano a rafforzarsi e per quest’anno l’incremento del Pil potrebbe assestarsi attorno al 7,5%, tra i più elevati del continente. La Banca mondiale ha deciso finanziamenti allo sviluppo per i prossimi anni per un controvalore complessivo di due miliardi di dollari.
- (Cisgiordania) CREMISAN, ATTESA PER IL VERDETTO SUL MURO
“Se Israele costruisce un muro per la sua sicurezza e non una barriera che ha il solo scopo di dividere i contadini palestinesi dalle loro terre, allora lo costruisse sulla sua terra, non sulla nostra. La Terra Santa non ha bisogno di altri muri”: lo dice padre Ibrahim Shomali, parroco di Beit Jala, contattato dalla MISNA alla vigilia del pronunciamento della Suprema corte israeliana sulla costruzione di un muro di sicurezza sul terreno di 58 famiglie palestinesi nella Valle di Cremisan, Betlemme.
Il progetto coinvolge anche i due conventi salesiani della zona: quello delle suore che, oltre a possedere parte delle terre che potrebbero essere confiscate, gestiscono una scuola materna con 400 bambini, e quello dei monaci, famosi per i vigneti che prendono il nome della stessa valle, Cremisan.
Il villaggio di Beit Jala, sostenuto dai frati salesiani, dalla Chiesa locale e dai vescovi, non si è arreso e per mesi ogni venerdì si è riunito nella pineta del monastero per pregare, insieme a delegazioni internazionali.
“La barriera mira a unire gli insediamenti di Hilo e Har Gilo, ma per noi i danni economici saranno imponenti e a pagarli sarà in gran parte la comunità palestinese” insiste il sacerdote, in prima linea per sostenere i contadini palestinesi nella resistenza pacifica alla costruzione del Muro che prevede anche la confisca di circa 300 ettari di terreno agricolo appartenenti a 58 famiglie – che coltivano principalmente ortaggi, ulivi e uva da vino – e la creazione di un posto di blocco che i palestinesi di Beit Jala potranno superare soltanto con un permesso dei militari.
“Più che in un verdetto favorevole – aggiunge padre Ibrahim – domani confidiamo nell’aiuto di Dio e delle associazioni internazionali e per i diritti umani da sempre al nostro fianco”.