Giudizio storico. Il coraggio di "garantire" il rilancio delle imprese
Scrive Marco Fortis sul Sole 24 Ore (9 febbraio 2014): Al Forex 2014 due temi hanno tenuto banco: quello dei crediti deteriorati delle banche e quello delle difficoltà di accesso al credito delle piccole e medie imprese che operano prevalentemente sul mercato domestico, maggiormente colpito dalla crisi rispetto al più dinamico e relativamente soddisfacente mercato dell'export. (...) Se dal fatidico ottobre del 2008, cioè da quando è scoppiata la crisi finanziaria mondiale, a tutto il mese di novembre del 2013, il fatturato dell'industria manifatturiera italiana è crollato di oltre il 16% mentre quello degli altri maggiori Paesi Ue è tornato ai livelli pre-crisi (Germania e Uk) o è addirittura leggermente cresciuto (Francia), c'è una ragione precisa. Non è dipeso dal fatto che l'Italia sia stata invasa da prodotti stranieri essendo i nostri diventati improvvisamente meno competitivi. Infatti, anche l'import è precipitato e assai di più di molti beni di produzione nazionale. La ragione del crollo del fatturato domestico, che fino alla primavera del 2011 si stava in realtà riprendendo allo stesso ritmo di quello degli altri principali Paesi, è da ricercarsi esclusivamente nella ricetta di austerità che l'Europa ha brutalmente imposto anche all'Italia, oltre che a economie obiettivamente "scassate" come Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. Poco importa che l'Italia fosse stata nel 2010 uno dei soli 4 Paesi Ue in avanzo statale primario (con Svezia, Estonia e Malta), che il debito pubblico italiano fosse stato tra quelli cresciuti di meno al mondo dall'inizio della crisi e che, sempre nel 2010 il nostro Pil, al netto della spesa pubblica, fosse aumentato ben più di quello di varie altre economie importanti, come Francia, Gran Bretagna e Olanda. (...) Senza esserci potuti risollevare come gli altri principali Paesi, in quel 2011 anziché continuare a crescere come stavano facendo dopo il temporaneo collasso del commercio mondiale del 2009, ricominciammo a cadere e il Pil fu ulteriormente trascinato verso il basso. Questa volta non per colpa dell'export, che anzi dal 2010 in poi non ha mai smesso di crescere, ma dagli effetti devastanti della "cura" europea, cioè una paralisi degli investimenti e soprattutto un calo dei consumi privati da "tempi di guerra". Nella svolta negativa del 2011, sta tutta la differemza tra una crisi che avrebbe potuto guarire in 3-4 anni e che invece si è protratta per 6, perché anche questo 2014, va sottolineato, sarà un anno ancora molto debole. Applicare a un Paese forte produttore ed esportatore come l'Italia e con una base industriale composte da decine di migliaia di Pmi la stessa "cura" di austerità richiesta a Paesi tendenzialmente importatori come Grecia o Spagna non è stato intelligente da parte di Bruxelles. Innanzitutto, perchè menomando la capacità produttiva italiana si è menomata la stessa base competitiva dell'Europa nel contesto globale e in più si è generata una micidiale frenata a livello di scambi intracomunitari. E poi perché così facendo la crisi italiana è stata drammaticamente resa più complicata anziché risolta. In 6 anni di agonia è andato soprattutto in tilt un universo di relazioni e di pagamenti tra le stesse imprese, oltre che tra Stato e imprese. I crediti deteriorati sono aumentati in notevole misura e l'erogazione del credito, specie alle Pmi, si è fatta sempre più difficile. (...) Ma la vera svolta per far ripartire l'economia, la cui parte più sofferente sono proprio le Pmi dell'industria e del commercio maggiormente coinvolte dalla caduta della domanda interna, può venire solo riannodando i fili lacerati dalla fiducia e del credito. (...) In vista del prossimo semestre europeo, non è ancora ben chiaro quali siano gli intendimenti del nostro Governo riguardo alle possibili azioni da porre sul tavolo di discussione per passare finalmente dalla sola austerità alla combinazione più intelligente di rigore e crescita. Il nostro Paese non può pretendere la luna rispetto ai vincoli europei ma ha le carte in regola per avanzare proposte ragionevoli ed accettabili sulla crescita perché ha fatto i "compiti a casa" più di tutte le altre economie, come prova un avanzo statale primario 2013 previsto in 36 miliardi di euro. Roma, ad esempio, potrebbe chiedere a Bruxelles di poter scomputare dal calcolo degli obiettivi programmati di deficit/Pil pochi ma importanti miliardi da destinare al triplice potenziamento di Fondo di Garanzia, Confidi e Fondo di Sviluppo. Non sarebbe chiedere troppo visto che alla Spagna, che pure a fine 2013 ha presentato un disavanzo statale primario simmetrico al nostro di ben 34 miliardi, sono stati erogati senza batter ciglio oltre 40 miliardi di euro per salvare le sue banche e rimettere in moto il suo sistema creditizio. Ovviamente Madrid non si è posta problemi di orgoglio nazionale a chiedere questi soldi e ad assoggettarsi alle condizioni europee. La nostra richiesta a Bruxelles per rilanciare il credito alle Pmi sarebbe di gran lunga più modesta.