Disabituati alla globalità (Marco Emanuele, 6 aprile 2013)
Lo sguardo necessario per cogliere ed accogliere la complessità della vita viene soltanto da un occhio capace di rinnovarsi. Abbiamo consolidato l'abitudine alla separazione e alla contrapposizione, riducendo il "tutto" a sommatoria scomponibile di volta in ragione del prevalere di interessi particolari, tradendo in tal modo la "natura" della realtà che, è facile intuirlo, appartiene alla "natura" di ciascuno di noi, autori, attori, spettatori del/nel grande spettacolo della storia.
Lo sguardo qui proposto è filosofico nel senso che privilegia lo sguardo profondo come sguardo dell'oltre che già ci percorre. La disabitudine alla globalità, che invece ci caratterizza, taglia fuori dal nostro orizzonte culturale ciò che non conosciamo e che, per questo, ci fa paura; abbiamo bisogno, invece, in questo tempo storico in cui - pur fra molte distorsioni - le esperienze umane sembrano avvicinarsi, di nuovi paradigmi strategici: dalla separazione e dalla contrapposizione all'integrazione. Su questo si gioca la nostra stessa sopravvivenza, nella ri-creazione del progetto umano nel contesto dell'ambiente naturale.
Siamo chiamati, allora, a processi di ri-abitudine, prima di tutto alla bellezza armonica della natura umana (naturalmente "discussa" da differenze e da contraddizioni ineliminabili); ri-abituarci all'armonia significa tendere alla perfezione, lavorare e lottare perchè - a partire dal linguaggio - si operino mediazioni necessarie e si componga - insieme e dinamicamente - il meraviglioso mosaico della vita.