Brevi dal mondo (Misna, 3 settembre 2013)
- Tanzania. Il mercurio avvelena i minatori bambini.
Il mercurio avvelena i minatori bambini, interi villaggi e anche i loro coetanei che vivono nei pressi delle cave dove si estrae la polvere d’oro: lo dicono alla MISNA esperti tanzaniani, confermando e aggravando le accuse di un’organizzazione non governativa americana.
“Nelle miniere di piccole dimensioni – sottolinea Haji Rehani, esperto dell’ong tanzaniana Agenda for Environmental and Responsible Development – il mercurio è utilizzato per creare un’amalgama che viene poi bruciata, consentendo di separare la polvere d’oro dalla terra e dal materiale roccioso”. Secondo Rehani, nelle cave o nelle loro case ragazzini di 12, 13 o 14 anni inalano ogni giorno sostanze altamente nocive. “Le conseguenze sulla loro salute e sulla loro crescita – sottolinea l’esperto – sono devastanti: il mercurio colpisce il sistema nervoso centrale e, in un corpo che si sta sviluppando, può causare disabilità permanenti”.
Il mercurio è un metallo pesante utilizzato soprattutto nelle miniere di piccole dimensioni, quelle dove la concentrazione di polveri aurifere è minore e dove nella lavorazione non è impiegato il cianuro come avviene nei giacimenti più ricchi. Secondo il governo di Dar es Salaam, il problema riguarda circa 800.000 persone, una buona parte delle quali minorenni.
In un rapporto pubblicato il mese scorso, l’organizzazione non governativa americana Human Rights Watch aveva denunciato condizioni di sfruttamento e di pericolo dopo aver effettuato sopralluoghi in 11 miniere e intervistato circa 200 lavoratori nelle regioni di Geita, Shinyanga e Mbeya. Alcuni giorni dopo, il governo di Dar es Salaam ha ammesso che il lavoro minorile nelle cave aurifere è “un problema”. Allo stesso tempo, ha addotto come giustificazione il fatto che a causa delle sue ristrettezze finanziarie gli ispettori incaricati di garantire il rispetto delle leggi nel settore estrattivo sono appena 81.
Secondo gli esperti sentiti dalla MISNA, però, il fenomeno è legato a doppio filo alle difficoltà economiche e sociali di un’ampia fetta della popolazione. “Per molte famiglie mandare i figli a scuola è un peso economico – sottolinea Rehani – mentre almeno in teoria le miniere offrono la possibilità di guadagni immediati”. Spesso, confermano diversi missionari, nelle cave finiscono orfani o comunque ragazzi che vivono in condizioni di povertà. A volte hanno visto un ex compagno di classe con un cellulare, acquistato grazie al guadagno di una giornata fortunata.
Secondo il quotidiano Daily News, la Tanzania appare contagiata da una sorta di “febbre dell’oro”. Il paese è il quarto produttore africano del metallo e solo nei primi sei mesi del 2013 il valore delle esportazioni ha superato il miliardo e 800 milioni di dollari. “Circa il 10% della produzione proviene da miniere di piccole dimensioni – calcola il Daily News – ma la quota sta crescendo in conseguenza dell’aumento dei prezzi dell’oro sui mercati mondiali e della difficoltà a individuare fonti di reddito alternative”.
- Centrafrica. A Bangui una marcia per la pace e l'unità nazionale.
Più di 3000 persone tra donne, giovani e commercianti sono scesi per le strade di Bangui, dove si è tenuta una manifestazione pacifica per chiedere alle autorità di transizione “il ritorno definitivo della pace” in Centrafrica ma anche “la sicurezza dei cittadini” e “la difesa dell’unità nazionale”. Lo ha riferito l’emittente locale Radio Ndeke Luka, precisando che la marcia è stata organizzata dal Coordinamento delle organizzazioni della società civile per la pace in Centrafrica (Coscipac), come preludio ad altre iniziative per la Giornata internazionale della pace che si terrà il 21 settembre. Sono stati scanditi slogan a sostegno del presidente Michel Djotodia, a favore di un processo di transizione pacifico e appelli “al senso di responsabilità dei cittadini”.
Al termine della marcia gli organizzatori hanno consegnato al capo di Stato un memorandum che auspica il ritorno della pace e della sicurezza su tutto il territorio nazionale, la fine delle divisioni tra confessioni religiose e ribadisce il sostegno alla transizione in corso.
Proprio ieri Djotodia ha chiesto perdono a tutti centrafricani rimasti vittime delle esazioni commesse dagli ex ribelli Seleka, in particolare a quelli dei quartieri di Boy-Rabé e Boeing. “So che in molti non mi vogliono perché considerano che sono io ad aver portato qui i Seleka. Chiedo perdono ai miei fratelli e sorelle sperando che le ferite possano cicatrizzare” ha detto l’ex-capo ribelle al potere dopo il colpo di stato dello scorso 24 marzo. “Alla fine della transizione me ne andrò e lascerò il posto ad un’altra persona che verrà eletta” ha assicurato Djotodia, soffermandosi sull’urgenza di “costituire un esercito di élite che ritrovi la sua dignità e l’unità dopo essere stata indebolita negli ultimi anni da tribalismo, regionalismo e nepotismo”.
Dalla scorsa settimana la sicurezza della capitale è stata affidata a gendarmi e agenti di polizia mentre gli uomini della Seleka vengono allontanati dalle caserme e dai commissariati. A cinque mesi dal colpo di stato la situazione rimane altamente instabile anche nelle regioni settentrionali del paese.