(USA/Riflessioni strategiche) Gli omicidi mirati secondo gli Usa (Mirko Sossai, AffarInternazionali, 2 marzo 2013)

02.03.2013 08:18

 

Il documento del Dipartimento di giustizia statunitense, reso pubblico dalla televisione Nbc lo scorso 4 febbraio, noto come white paper, affronta il tema della liceità di un’operazione letale nei confronti di un cittadino statunitense che sia un leader operativo importante di Al-Qaida. Si tratta di una fonte importante perché contiene le principali argomentazioni giuridiche a sostegno della politica dell’amministrazione Obama dei c.d. targeted killings, ossia gli omicidi mirati di sospetti terroristi presenti in territorio straniero.

Sono notoriamente numerose le operazioni effettuate dagli Stati Uniti mediante l’utilizzo di droni in Somalia, Yemen, Afghanistan e Pakistan. Sebbene il white paper non contenga particolari elementi di novità rispetto a quanto già noto, ha nondimeno innescato un vivace dibattito che ha coinvolto il congresso, anche per la concomitante audizione di John Brennan, in vista della conferma alla nomina di direttore della Cia.

La discussione ha riguardato soprattutto il tema della trasparenza e delle garanzie dovute a sospetti terroristi di nazionalità statunitense, in base al IV e al V emendamento (che si riferisce al due process of law) alla Costituzione degli Stati Uniti. Da più parti è stata avanzata la proposta di istituire una Corte speciale per gli omicidi mirati, sul modello di quella già operante con il compito di autorizzare intercettazioni con finalità di intelligence, istituita nel 1978. Resta da capire come un tale meccanismo possa rispettare i parametri del giusto processo.

Liceità delle operazioni
Secondo il documento in esame, gli Stati Uniti possono lecitamente impiegare la forza contro propri cittadini all’estero, anche al di fuori del teatro delle ostilità, se si verificano tre condizioni: il governo deve stabilire anzitutto che un individuo pone una minaccia imminente di attacco violento contro gli Stati Uniti; che non sia praticabile (infeasible) la sua cattura; infine che l’operazione sia condotta nel rispetto dei principi applicabili del diritto di guerra. In questo quadro troverebbe giustificazione l’uccisione nel settembre 2011 in Yemen di Anwar al Aulaqi, cittadino statunitense appartenente ad Al-Qaida.

L’ultimo criterio, affermando l’applicazione del diritto dei conflitti armati, ne presuppone l’esistenza. In effetti il documento sembra oramai dare per assodato un punto che continua ad essere in verità molto controverso: ossia l’esistenza di un conflitto armato non-internazionale globale con Al-Qaida, sottoposto agli standard minimi individuati nell’art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949.

Ma non è possibile ricondurre l’espressione ‘guerra al terrore’ all’esistenza di un unico conflitto armato secondo il diritto internazionale umanitario: la posizione prevalente è nel senso di verificare in ogni contesto geografico il superamento della soglia individuata, per i conflitti armati internazionali, dall’art. 2 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra, nello svolgimento di operazioni militari tra due o più Stati, e, per i conflitti interni, nell’esistenza di scontri di una certa intensità tra le forze armate di uno Stato e gli insorti, oppure tra gruppi organizzati all’interno di uno Stato.

È quest’ultima, ad esempio, la qualificazione del conflitto ancora in corso in Afghanistan. Ma è possibile che l’uccisione (o la cattura) di un presunto terrorista affiliato ad Al-Qaida ovunque nel mondo sia regolato dal diritto dei conflitti armati?

Imminenza della minaccia
L’eventuale applicazione del diritto dei conflitti armati ad attacchi contro individui e gruppi presenti all’estero, compreso il caso meno controverso del territorio confinante uno Stato in cui esiste un conflitto armato interno (ad esempio, il Pakistan in relazione all’Afghanistan) non risolve affatto il tema del rispetto del principio del divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali, secondo l’art. 2 (4) della Carta Onu.

In base allo jus ad bellum, non vi sarà un uso illecito in caso di consenso dello Stato territoriale, oppure se si verificano le condizioni per l’esercizio della legittima difesa in base all’art. 51 della stessa Carta.

Vi è da rilevare che quest’ultima è la giustificazione sempre addotta dall’amministrazione statunitense. Sul piano del diritto interno, la legittima difesa costituisce il fondamento dell’autorità del Presidente a usare la forza contro Al-Qaida, ottenuta dal Congresso ancora nel 2001 per reagire agi attentati dell’11 settembre.

Ma il white paper ricorre alla legittima difesa per fondare pure il criterio della ‘imminenza della minaccia’ da parte di un individuo come presupposto per l’esecuzione di un omicidio mirato, in deroga ai diritti di due process. In ciò pare esservi una sovrapposizione confusa di questioni diverse: la nozione di ‘imminenza di un attacco armato’, largamente accettata dalla dottrina, giustifica eventualmente l’impiego della forza armata contro la sovranità di uno Stato, ma non può affatto riferirsi alla sfera della vita dell’individuo attaccato, e all’eventuale contrazione della protezione di cui gode in base alle norme sulla condotta delle ostilità e a tutela dei diritti umani.

Terrorista straniero e cittadino statunitense
A tale proposito, può sorprendere che in un documento che affronta il tema delle garanzie costituzionali, non vi sia alcun riferimento agli obblighi internazionali in materia di diritti umani, posto che le convenzioni in materia ratificate dagli Stati Uniti si applicano certamente nel contesto di un conflitto armato. Il parametro dei diritti umani non gioca ad esempio alcun ruolo nella definizione del criterio della praticabilità della cattura. Non pare che l’assenza trovi spiegazione unicamente nel dibattito circa la controversa applicazione extraterritoriale delle norme sui diritti umani.

Per il white paper, sono allora i principi fondamentali del diritto internazionale dei conflitti armati a costituire il quadro giuridico per determinare la liceità dell’operazione contro un cittadino statunitense che sia un leader operativo importante di Al-Qaida, considerato quale obiettivo militare: necessità, distinzione, proporzionalità e umanità.

Come precisato, il documento si limita a operazioni contro leader di Al-Qaida di nazionalità statunitense. Taluni hanno avuto la sensazione, anche alla luce del dibattito successivo in merito all’istituzione di una Corte speciale, di una diversa valutazione da parte delle autorità statunitensi del trattamento da riservare ai propri cittadini rispetto ai sospetti terroristi di nazionalità straniera: quasi che questi ultimi possano essere uccisi più agevolmente. Una distinzione che non trova in realtà alcuna corrispondenza nel diritto internazionale.

Mirko Sossai è ricercatore di diritto internazionale al Dipartimento di giurisprudenza dell’Università degli Studi Roma Tre.