(USA) Dibattito sui droni. La nomina di Brennan preoccupa i repubblicani (Piero Merola, Meridiani, 20 febbraio 2013)

20.02.2013 12:37

Il 56% degli americani approva l’utilizzo dei droni fuori dai confini statunitensi, e solo il 26% si dice contrario. Le percentuali sono pressoché immutate rispetto allo scorso luglio (55% di favorevoli), nonostante l’aumento del numero di attacchi e vittime degli ultimi mesi e le conseguenti polemiche nel dibattito politico internazionale. Intanto il congresso pensa alla creazione di una corte speciale con giurisdizione su possibili controversie e abusi.

Da quando, nel settembre del 2011, un drone colpì a morte Anwar al-Awlaki, cittadino americano che si era unito ad al Qaeda in Yemen, sono stati portati a termine 400 attacchi unilaterali in Yemen, Pakistan e Somalia.  Nel solo Pakistan, unica aerea di cui si dispongono dati più o meno attendibili, le vittime sono state finora oltre duemila.

John Brennan, artefice della strategia “light footprint” (impronta leggera), da consigliere speciale anti-terrorismo è stato promosso a direttore della Cia dopo l’uscita di scena di . Il timore di chi si oppone a una guerra dei droni è che questo passaggio di consegne rafforzi l’impiego di droni, e lo renda di fatto incontrollato. “Da quando l’agenzia dei servizi segreti è diventata una forza aerea che va in giro ad uccidere della gente?”, ha denunciato il senatore repubblicano , chiedendo di sottrarre  il programma dalle mani dell’intelligence e metterlo sotto il controllo del Pentagono dove esistono sufficienti misure di supervisione.

Proprio Brennan, però, che nelle audizioni congressuali di inizio febbraio aveva circoscritto in casi di “ultima istanza” l’utilizzo dei droni contro presunti obiettivi terroristici, ha mandato dei segnali di apertura sull’opportunità di una corte speciale: “L’amministrazione Obama ha avviato dei colloqui interni sulla praticabilità dell’opzione ed è giusto che se ne discuta”, ha spiegato il nuovo capo della Cia, che ha comunque posto dei dubbi sul “giusto equilibrio tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario” sulle prerogative della Corte. 

Il modello che sta ispirando i legislatori è quello della corte istituita nel 1978 dal Congresso – con l’approvazione del Foreign Intelligence Survellaince Act (Fisa) – in seguito a rivelazioni sull’abuso di intercettazioni telefoniche da parte della National Security Agency, allora diretta dall’ammiraglio Bobby Ray Inman. Inman, oggi ottantunenne, rinunciò alla nomina di capo del pentagono di Clinton nel 1993 e nel 2006 è tornato sotto i riflettori proprio per aver criticato il ricorso indiscriminato del governo Bush a intercettazioni giustificate nell’ottica dell’anti-terrorismo (poi rimesse qualche mese dopo sotto la supervisione della corte speciale). Nell’organo siedono undici giudici, nominati dal Segretario alla giustizia e in carica per sette anni, che hanno il compito di esprimersi sui singoli casi. Secondo gli ultimi dati messi a disposizione dalla Casa Bianca, nel 2011 la corte ha emesso circa 1750 ordini per approvare ispezioni o operazioni di sorveglianza elettronica, respingendone soltanto trenta.

La corte sui droni dovrebbe funzionare allo stesso modo, ma la sua efficacia potrebbe risultare limitata. A livello logistico è difficile credere che la Cia, che opera fuori dai confini americani, ricorrerà realisticamente alla corte ogni volta che verrà identificato un possibile sospetto da “rimuovere” nel più breve tempo possibile. Al tempo stesso, se anche si concedesse al governo la deroga di autorizzare le operazioni in caso di “sufficiente evidenza” senza passare dalla corte, per alcuni esperti costituzionalisti si limiterebbe la sfera d’azione del presidente che resta il comandante in capo delle forze armate e del suo esecutivo. Una posizione che sarebbe comunque contraria alla sentenza della corte suprema del 2004 sul caso Hamdi  (cittadino statunitense catturato in Afghanistan nel 2001) contro Rumsfeld – ai tempi a capo del Pentagono – che ha ribadito la necessità di un’autorizzazione del congresso per la detenzione di cittadini americani impegnati all’estero nei panni di combattenti contro la propria nazione.

Sette anni dopo, nel 2011, il dipartimento della giustizia ha redatto un “libro bianco” sulla legittimità dell’eliminazione di cittadini statunitensi colpevoli di attività di stampo terroristico per chiarire i nodi più spinosi della controversia. Nel rapporto di sedici pagine si chiarisce che le decisioni dell’esecutivo sugli assassini mirati non possano essere sottoposte a controlli e supervisioni esterne, contrariamente a quanto stabilito dalla sentenza del 2004. 


La Casa Bianca chiede anche di poter scavalcare la corte speciale sui droni se gli obiettivi sono leader operativi di al Qaeda (che pongano una minaccia imminente agli Stati), se la loro cattura è inattuabile oppure se l’operazione è condotta nel rispetto delle leggi militari. “Siamo in una guerra diversa, non manderemo delle truppe né lanceremo bombe, ma dobbiamo individuare un equilibrio costituzionale per queste nuove sfide che ci troviamo a fronteggiare”, ha spiegato l’ex-segretario alla difesa Robert Gates che ha abbracciato la proposta del congresso sulla corte speciale.

Con queste limitazioni la corte speciale perderebbe prima ancora di nascere qualsiasi autorità sui temi più controversi legati agli attacchi degli aerei senza pilota, dalla trasparenza delle operazioni alle responsabilità legate alla morte di civili.