Turchia. I canti dei 'filassuf' che fanno paura (osservatorioiraq.it, Elisa Piccioni, 3 marzo 2013)

04.03.2013 12:29

Pubblicato per la prima volta nel 1988, ‘Samarcanda’, il libro del pluripremiato scrittore libano-francese Amin Maalouf, è nelle librerie da oltre vent’anni. 

Prima d'ora, nessuno si era sentito offeso da questo romanzo che, nel ricostruire le vicende del manoscritto di Omar Khayyam - perso durante le invasioni mongole e poi ritrovato nel XVII secolo da un orientalista franco-americano - narra l’Oriente attraverso i secoli. 

L’incriminazione del romanzo scatta a fine gennaio, quando un genitore protesta contro la scelta di un professore di suggerire a suo figlio la lettura del libro, nel tentativo di rendere le lezioni di Storia più interessanti.

La prima parte del racconto si svolge infatti in Persia nel XI secolo. Sullo sfondo della storia dell’Impero selgiuchide, il testo narra le vicende del poeta e libero pensatore Omar Khayyam, la cui vita si intreccia, nella finzione letteraria, con personaggi storici come Hassan Sabbah e Avicenna.

Nel romanzo Khayyam inizia a scrivere le celebri Rubayyat proprio a Samarcanda, dove la sera i bevitori vengono trascinati fuori dalle osterie, picchiati e insultati con l’augurio che le fiamme dell’inferno ricordino loro, per sempre, “il riflesso rossastro del vino tentatore”.

Per salvare la vita del 'Fillusf'' di Nishapur, il qadi di Samarcanda, Abu Taher, lo costringerà a racchiudere in un libro di kaghez cinese la sua sublime poesia, così da mantenerla segreta.

La secondo parte tratta invece le vicende di un orientalista franco americano, Benjamin O. Lasage, che nella fantasia dello scrittore ottiene la copia originale del manoscritto e, passando per lo scenario della rivoluzione costituzionalista persiana (1905-1907), farà di tutto per portarlo in Occidente.

Forse è l’Islam “liberale” di Omar Khayyam - già censurato dall’odierno regime iraniano - che lotta contro l’intolleranza e i fanatismi ad aver disturbato il padre dell’alunno. Oppure i versi delle sue celebri quartine, dove si canta l’amore per il vino, le giovani donne e la ricerca della libertà.  

O la descrizione dei selgiuchidi, antenati culturali degli attuali turchi, che appaiono nel libro come “sovrani illuminati” e “autori di gesti sublimi”, ma anche “incolti predatori” capaci di meschinità? 

Recatosi presso la direzione della Pubblica istruzione del distretto di Bahçelievler, l’uomo ha esposto la sua lamentela: il libro insulta la cultura orientale, l’Islam, e contiene sezioni volgari.

Come nota Hurriyet, il figlio però non appare neanche iscritto nell’Istituto dell’insegnante in questione. Tuttavia, il ministero della Pubblica Istruzione si è affrettato ad accogliere il reclamo.

Prosegue dunque l’atteggiamento contradditorio verso la libertà di stampa e di espressione dello Stato turco, che mentre rimuove la censura da testi pubblicati decenni fa ne incrimina oggi di nuovi.

È di fine gennaio la notizia della ‘liberazione’ di oltre 500 libri, tra cui i lavori del poeta turco Nazim Hikmet e le opere di Karl Marx, che potranno finalmente apparire senza rischi negli scaffali delle librerie turche.

All’origine di questa svolta il terzo pacchetto della riforma giudiziaria e la decisione  parlamentare dello scorso luglio per cui tutte le disposizioni riguardanti il divieto alla distribuzione di pubblicazioni prese prima del 2012 si consideravano decadute se non riconfermate entro sei mesi.

Ma se vecchi scritti vengono “liberati”, nuovi sono messi sotto processo. A rischiare la censura infatti anche altre due noti romanzi: 'Uomini e topi'' di John Steinbeck e il 'Il mio piccolo albero di arance' di Jose’ Mauro de Vasconcelos. 

Nonostante migliaia di testi siano ancora oggi banditi, non esiste un sistema di censura ufficiale in Turchia: una situazione ancora più pericolosa per gli editori, che prima pubblicano e poi, eventualmente, ne pagano il prezzo. 

Un caso controverso fu quello dell’editore del poema erotico di Apollinare 'Le undicimila verghe', condannato per aver pubblicato versi che “incitano e sfruttano il desiderio sessuale del popolo”.

La questione arrivò alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo che giudicò eccessiva la condanna, e condannò la Turchia per violazione della libertà di espressione.

Non sempre il governo si prende la briga di avviare processi, ma censura direttamente i brani. E’ quanto successo ad alcuni versi del poeta Edip Cansaver contenenti la parola “birra” e spariti dai libri di letteratura per licei.

La censura impedisce alle giovani generazioni di conoscere scrittori e poeti. "E' un attacco criminale alla legge e alla morale" sostiene Celal Zeynioglu, presidente dell’Associazione degli Editori turchi.

Secondo Zeynioğlu, queste pratiche repressive ricordano il regno del sultano ottomano Abdulhamid, e l’atmosfera del colpo militare del 1980.  

In una Turchia dove il numero dei detenuti politici supera quello di Cina e Iran, anche i poeti fanno paura. 

Il giorno in cui potrai esprimere tutto quello che pensi, i discendenti dei tuoi discendenti avranno avuto il tempo di invecchiare”, dice Abu Taher a Omar Khayyam nel libro incriminato.

Come nell’Oriente narrato da Maalouf , il suggerimento dei regnanti sembra essere lo stesso: “Se vuoi conservare gli occhi, le orecchie e la lingua dimentica di avere occhi, orecchie e lingua”.