(Tunisia) Crisi politica in Tunisia: si dimette il premier Jebali (Mara Carro, Meridiani, 20 febbraio 2013)
Il 19 febbraio il primo ministro tunisino Hamadi Jebali ha presentato le dimissioni al presidente della Repubblica, Moncef Marzouki, dopo il fallimento della sua proposta di procedere ad un rimpasto di governo e dare vita ad un esecutivo di tecnici, in attesa di nuove elezioni. “Il fallimento della mia proposta non è il fallimento della Tunisia o degli obiettivi della rivoluzione”, ha detto il premier in un messaggio televisivo trasmesso dopo un lungo incontro con il presidente Marzouki. Jebali si è detto molto deluso ma ha ribadito la convinzione che un governo di tecnici fosse l’unica soluzione per traghettare il paese fuori dalla crisi politica. Dopo l’uccisione il 6 febbraio di Chokri Belaid, il segretario del Partito dei patrioti democratici, leader dell’opposizione e aperto critico del partito islamista di maggioranza, è esplosa la rabbia dei cittadini contro il governo di Jebal e il partito Ennahda.
Il 18 febbraio, nel corso di una conferenza stampa, il premier Jebali aveva annunciato che la sua iniziativa era stata respinta dalle forze politiche tunisine. “Vi dico chiaramente che l’iniziativa da me proposta non ha ottenuto il consenso di tutti ma la strada rimane aperta per trovare un compromesso sulla composizione del futuro esecutivo”, aveva detto il primo ministro. Jebali aveva assicurato che “erano stati compiuti passi avanti significativi verso una nuova soluzione”, anticipando che avrebbe incontrato il presidente Moncef Marzouki per concordare con lui le prossime tappe in vista di una soluzione alla crisi.
La proposta di Jebali di dare vita ad un governo di unità nazionale ha diviso il panorama politico tunisino. Il premier non ha ricevuto sostegno dal suo stesso partito, Ennahda, il partito che insieme al Congresso per la repubblica (partito del presidente Marzouki ) e Ettakatol guida la Tunisia fin dalle elezioni dell’Assemblea nazionale costituente del novembre 2011. In un comunicato diffuso il 18 febbraio dal Consiglio consultivo di Ennahda, convocato per discutere l’iniziativa di Jebali, il partito al governo ha ribadito di essere favorevole “ad un governo politico di coalizione basato sulla legittimità delle elezioni del 23 ottobre 2011” e di ritenere “l’iniziativa di un governo di tecnocrati non corrispondente alle necessità del periodo attuale”. Più diretto il presidente di Ennahda, Rached Ghannouchi, che davanti a migliaia di sostenitori del partito riuniti sabato 16 febbraio a Tunisi, ha parlato di un “tentativo di golpe contro il governo eletto”, ricordando come Ennahda sia “la spina dorsale della Tunisia”.
La proposta di Jebali è stata respinta anche dal Congresso per la repubblica, che dopo un’iniziale minaccia di ritirare i propri membri dall’esecutivo, ha deciso di “congelare” per una settimana la sua decisione. Contrari ad un gabinetto di tecnici anche il Partito repubblicano e il Partito dei lavoratori comunisti, entrambi attualmente all’opposizione.
A favore della proposta di Jebali si erano invece schierati Ettakatol, che aveva sottolineato la necessità di “affidare i ministeri chiave a personalità neutrali e indipendenti dai partiti politici”, e alcuni partiti all’opposizione, tra i quali il Watad di Belaid e l’Alleanza per la Tunisia, composta da Nida Tounes, Al Masar e Al Joumhouri.
Il premier tunisino aveva annunciato la formazione di un nuovo esecutivo di unità nazionale entro le 24 ore dalla morte di Chokri Belaid, come soluzione alla crisi politica innescata dall’omicidio. Una crisi che però affonda le sue radici in una ripresa economica lenta. Le risposte del governo Jebali non sono state in grado di far fronte alle sfide socio-economiche che deve affrontare la Tunisia: una disoccupazione allarmante e uno squilibrio nel livello di sviluppo tra aree urbane e rurali. La crisi economica si accompagna poi alle tensioni sociali, a sfide per la sicurezza che vengono dall’azione violenta di alcuni gruppi salafiti e allo stallo sull’adozione di una nuova Costituzione.