(Thailandia/Malesia) La Thailandia chiede aiuto alla Malesia contro la violenza separatista (Emiliano Quercioli, Meridiani, 8 febbraio 2013)

10.02.2013 18:04

 Il 23 gennaio, in Tailandia, nella provincia meridionale del Pattani, un insegnante di etnia thai è stato ucciso di fronte ai suoi studenti per mano di alcuni gruppi separatisti di matrice islamica.

Il problema della guerriglia separatista islamica è una ferita aperta nella storia del paese, nonostante in Thailandia la stampa e gli ambienti governativi tendano a minimizzare.

L’azione dei gruppi separatisti musulmani, in uno Stato a maggioranza buddista come la Thailandia, si concentra principalmente nella parte meridionale del paese, cioè nelle quattro province di Songkhla, Pattani, Yala e Narathiwat, al confine con la Malesia.

Qui la popolazione di etnia malese non ha mai accettato pienamente la sovranità del governo thailandese a maggioranza thai e buddista e per decenni ha rivendicato una maggiore autonomia da Bangkok. Le spinte separatiste si sono inizialmente limitate alla richiesta di una maggiore rappresentanza a livello politico e sono state assecondate dal governo di Bangkok che ha concesso privilegi e incarichi governativi a personalità di etnia malese e musulmana.

Dal 2001 c’è stata una rapida escalation di tensione che è coincisa con l’arrivo al governo di Thaksin Shinawatra e del suo partito populista Thai Rak Thai (Trt). Durante gli anni del governo di Shinawatra le azioni terroristiche dei gruppi separatisti malesi si sono intensificate e hanno fatto numerose vittime tra le forze di polizia, fino a sfociare in una vera e propria guerriglia a partire dal 2004.

La risposta del governo è stata l’istituzione della legge marziale e una violenta repressione culminata nella strage di Tak Bai del 25 ottobre 2004, in cui 85 manifestanti furono uccisi dalla polizia. L’uccisione dei dimostranti ha rappresentato il punto di non ritorno per la guerriglia separatista, che si è ulteriormente intensificata, tanto che l’intera la popolazione non malese è entrata nel mirino dei terroristi. Gli obiettivi dei separatisti malesi sono sempre più spesso le scuole e gli insegnanti di etnia thai, simboli della volontà assimilazionista della componente maggioritaria thailandese e buddista.

Nelle quattro province meridionali della Thailandia operano numerosi gruppi armati che portano la bandiera del separatismo e dell’islamismo radicale.

Il gruppo separatista più attivo e ampiamente sostenuto dalla popolazione malese è il Pattani United Liberation Organization (Pulo), fondato nel 1968 e dedito ad attività sia di propaganda politica che di guerriglia. Nel corso degli anni ’90 si sono staccati dal nucleo principale diversi gruppi minori. Alcuni sono scesi a patti con il governo tailandese e si sono trasformati in organizzazioni politiche legali. Altre organizzazioni storiche sono il Barisan Revolusi Nasional Melayu Pattani (Brnmp) fondato nel 1963 con base in Malesia e il piccolo, ma molto agguerrito Runda Kumpalan Kecil (Rkk), che insieme al gruppo Islamico dei mujahideen del Pattani, si è specializzato negli attentati dinamitardi simultanei, che hanno colpito molte volte la Thailandia. Tutti queste milizie, a cui se ne aggiungono altre di dimensioni più ridotte, si sono unite nel 1989 in una organizzazione-ombrello chiamata Bersatu (“unità” in lingua malese), e da quel momento combattono congiuntamente contro Bangkok.

Il governo tailandese accusa i gruppi separatisti di legami con il terrorismo internazionale e con altre organizzazioni islamiche come la Jemaah Islamiah, organizzazione radicale islamica con ramificazioni in tutto il sud-est asiatico. Questi sospetti legami sono stati in parte confermati dallo stesso leader del Bersatu, Wan Kadir Che Wan, che ha ammesso la presenza di militanti islamici stranieri in Thailandia. Anche la vicina Malesia è sospettata di finanziare e dare asilo agli insorti.

Ad oggi lo stillicidio di attacchi da parte dei gruppi separatisti continua e Bangkok sembra saper rispondere solo con la repressione. Nonostante i quasi 6000 morti degli ultimi dieci anni una soluzione negoziata appare ancora molto lontana, anche se non più impossibile.

Il governo populista di e del suo Pheu Thai Party (erede del Trt) è in carica dal 2011 e sembra aver preso sul serio la questione separatista e aver compreso che la sola risposta repressiva è controproducente. Il governo Shinawatra si è detto disponibile a prendere in esame le istanze dei gruppi che rivendicano maggiore autonomia e a mettere il decentramento dello Stato thailandese tra le priorità dell’agenda di governo.

Ad incoraggiare la possibilità di pace in Thailandia c’è il compromesso raggiunto tra i gruppi separatisti islamici operanti nelle Filippine e il governo di Manila, raggiunto grazie alla mediazione della Malesia. Il governo tailandese ha studiato attentamente il testo dell’accordo e ha inviato una delegazione di alto livello a Kuala Lumpur per sondare la disponibilità della Malesia a impegnarsi in un secondo intervento pacificatore. Il ruolo della Malesia è particolarmente importante data la prossimità geografica alle province autonomiste e la comunanza etnica e linguistica con i gruppi ribelli.

La risposta del governo malese è arrivata per voce del primo ministro malese Najib Razak, che si è detto disponibile ad assumere il ruolo di mediatore. Il capo del governo malese ha promesso di migliorare i controlli alla frontiera, e ha dichiarato che il governo della Malesia non sostiene in alcun modo le attività dei guerriglieri.

E’ quindi possibile che la visita in Thailandia del primo ministro malese Najib Razak prevista per fine febbraio porti verso sviluppi positivi. In attesa della reazione dei gruppi separatisti e nel tentativo di incentivare l’effetto trainante dell’accordo filippino, il governo tailandese ha comunque già attuato delle prime concessioni tra cui degli stanziamenti per l’insegnamento in lingua malese e per la creazione di una televisione satellitare in lingua locale.

Rimane comunque la forte ostilità a qualsiasi compromesso da parte dell’esercito e degli ambienti più nazionalisti della corte, che vedono in queste concessioni una lesione dell’integrità della Thailandia e della stessa sovranità del re Bhumibol.

Tutto l’establishment di corte è fortemente conservatore e, insieme alle forze armate, sfrutta l’influenza su un monarca ormai molto anziano e malato per bloccare qualsiasi forma di distensione nel timore che un compromesso con le minoranze vada a intaccare privilegi radicati.

Nonostante questo, il primo ministro Yingluck Shinawatra gode al momento di un ampio sostegno popolare e di una forte maggioranza in parlamento, circostanza che fa intravedere una soluzione politica pacifica.