(Siria/Riflessioni strategiche) Prove di dialogo sulla Siria (Mario Arpino, AffarInternazionali, 19 febbraio 2013)
Non si comprende ancora bene cosa stia accadendo, ma attorno alla cruenta stagnazione della crisi siriana si intravedono dei segnali. Intanto, sebbene se ne stia parlando molto di meno, il numero dei morti continua ad aumentare. Settantamila secondo l’alto commissariato dei diritti umani dell’Onu, che sollecita il Consiglio di sicurezza a deferire la Siria alla Corte penale internazionale, e addirittura novantamila secondo stime non confermate del Dipartimento di Stato Usa.
Settecentomila sarebbero i profughi. Tuttavia, tra tutte queste disgrazie, paradossalmente è ripartito il campionato di calcio, con tanto di stadi aperti e affollamento di spettatori, mentre l’Agenzia di Stato per il turismo spiega al mondo che questa continua ad essere la vera, grande risorsa del paese.
Segnali di fumo
Cosa stia succedendo in quella parte del paese che è sotto il controllo degli insorti - patrioti siriani e bande straniere di jihadisti - non è dato di sapere, nonostante la quotidiana pioggia di comunicati. È di questi giorni la notizia che una fonte non meglio identificata dell’opposizione ha lanciato un appello perché gli esiliati rientrino nelle zone liberate, al fine di “amministrarle per il bene della popolazione”. Nel comunicato si legge che “… la liberazione di aree della Siria da parte degli eroi della rivoluzione e dell’esercito libero è un grande risultato, che ha offerto sostegno all’opposizione politica fuori dalla Siria nella lotta contro il regime”.
Bashar al-Assad, intanto, assicura che non cederà mai a pressioni che lui considera esterne, ma nello stesso tempo apre uno spiraglio (“sono disponibile ad ascoltare, ma senza condizioni preliminari”) alla proposta di uno dei leader all’estero, intesa ad aprire trattative esclusive con il vicepresidente Faruq al-Sharaa, ritenuto non coinvolto nella repressione. Nel frattempo, procede al secondo rimpasto governativo nel giro di sei mesi, sostituendo ben sei ministri. Tra questi quelli delle finanze e del petrolio, mentre i titolari di esteri, difesa e interni non sono stati toccati.
Nel corso di questi avvicendamenti, il portavoce del ministro degli esteri ha fatto sapere di essere fuggito, “… ma non in Europa o negli Usa”. Altro mistero. Tuttavia - partite di calcio a parte - la sicurezza nella stessa capitale sembra piuttosto precaria, se la settimana scorsa i terroristi sono riusciti a uccidere una delle personalità militari più protette, il generale Zarife, comandante delle truppe d’élite del regime.
Timide aperture
In tutta questa entropia, qualche segnale indirettamente interpretabile come dinamico può essere percepito nel comportamento di alcuni degli attori esterni, quali Russia, Iran e forse anche Cina. Russia e Cina sembrano cominciare a stancarsi - lo si è notato negli ultime riunioni del Consigli di sicurezza - delle perturbazioni apportate all’ordine internazionale dalla Corea del Nord, e simile posizione potrebbe essere presa, un domani, anche nei confronti delle velleità iraniane. Gli Stati Uniti, dal canto loro, con la designazione del repubblicano dissidente Hagen al Pentagono sembrano avviati ad un allentamento della tensione nei confronti dell’Iran, come già traspariva nel primo mandato di Barack Obama.
Ma sono cose che vanno “mercanteggiate”, e che non possono non influire anche sulla situazione in Siria. La recente dichiarazione del direttore del monopolio statale per l’export degli armamenti in Russia, secondo il quale Mosca continuerà a vendere armi alla Siria, ma si tratterà solamente di sistemi di difesa aerea, non compresi nell’embargo Onu, può essere letta come un primo segnale.
Stessa cosa per il rifiuto di fornire caccia Mig-29M e missili superficie-superficie a corto-medio raggio tipo Iskander. Fonti di intelligence segnalano che Iran e Hezbollah continuano ad addestrare proprie milizie in Siria - in questo momento affiancando i ribelli - ma potrebbero anche servire a tutelare gli interessi iraniani sul territorio nei confronti delle milizie integraliste sunnite, qualora al-Assad dovesse cadere e la Siria frammentarsi territorialmente.
Va ricordato che anche le minoranze cristiane, curde e alauite, che al momento sono neutrali o pro-regime, giustamente temono questa evenienza, e potrebbero dover essere protette proprio da queste milizie. Sul fronte Usa, i segnali di possibile apertura all’Iran, e come conseguenza riflessa al regime siriano, vengono dal nuovo segretario di stato Kerry, che ha fatto intendere una disponibilità a negoziati diretti sul nucleare.
Essendo al tramonto la stella di Ahmadinejad, a rispondere è stata la “guida” Khamenei, con una negazione che tuttavia è sembrata contenere un messaggio criptato: “… Noi non desideriamo avere l’arma nucleare, che consideriamo criminale. Tuttavia, certo non rinunceremo solo perché ce lo chiedono gli Stati Uniti”.
Possibili interpretazioni
La 49a conferenza sulla sicurezza internazionale svoltasi a Monaco all’inizio di febbraio, ha fornito una base di decifrabilità a questa massa di segnali veri o presunti, solo apparentemente scollegati. In sostanza l’Iran, con l’appoggio della Russia, di una parte dei dissidenti siriani e di una sorta di silente assenso degli Usa, starebbe tentando di rilanciare il suo piano in sei punti dello scorso dicembre, da sviluppare “… per aiutare il regime siriano a liberare il campo pacificamente”.
Un comitato di riconciliazione nazionale con la supervisione dell’Onu, dopo la sospensione degli scontri, avrebbe il compito di indire libere elezioni parlamentari, scrivere una nuova Costituzione e stabilire la data per le presidenziali. È in questo quadro che andrebbe guardato anche l’incontro di delegati iraniani e russi con il siriano Moaz al-Katib, predicatore sunnita “moderato”, accettato dai Fratelli musulmani, ma inviso ai gruppi salafiti e jihadisti.
Il ministro degli esteri di Teheran, Ali Akbar Salehi, ha dichiarato:”… se vogliamo fermare il bagno di sangue, non possiamo continuare a scaricare le colpe su una parte o sull’altra”. Si prefigurerebbe, a questo modo, una sorta di Siria tripartita, per la cui realizzazione, tuttavia, sarebbe anche necessario il tacito assenso di Arabia Saudita e Qatar.
In prima analisi l’idea, che questa volta viene dai “cattivi”, detta così potrebbe sembrare - se non ottima - sufficientemente buona e vantaggiosa. Per tutti tranne che, ovviamente, per Bashar al-Assad, che comunque dovrebbe rassegnarsi a lasciare il campo. Sarà difficile che il meccanismo possa funzionare in tempi brevi. Ma, almeno, qualcosa si muove e comincia a prendere forma.
Giornalista pubblicista, Mario Arpino collabora con diversi quotidiani e riviste su temi di politica militare e relazioni con il Medioriente. È membro del Comitato direttivo dello IAI.