(Siria/Riflessioni strategiche) L'ombra lunga dei qaedisti. E Obama non scioglie il rebus degli aiuti militari (Guido Olimpio, Corriere della Sera, 22 febbraio 2013)
Gli oppositori, davanti alla nuova strage, hanno reagito con qualche distinguo. L'Esercito libero siriano — appoggiato dalla Turchia e in parte dall'Occidente — ha ripetuto la tesi d'ordinanza: è il regime che si è messo la bomba. Più sfumata la posizione dell'altra sigla, la «Coalizione nazionale», che ha parlato di «atto di terrorismo che va condannato senza riguardi per chi lo ha commesso». Frase che implica le due ipotesi: un inside job, un auto-attentato degli 007 siriani, oppure un attacco di un gruppo qaedista.
Gli smarcamenti parziali sono legati a tre elementi: l'imbarazzo per azioni indiscriminate, la necessità di placare le diffidenze occidentali, la «gelosia» verso formazioni sempre più forti. Posizioni non sempre nette, anche perché quando si combatte una guerra civile esistono convivenze e connivenze. Al tempo stesso la componente laica della rivolta non vuole vedersi accomunata a tendenze estremiste perché sa bene che sono anche questi attentati a tenere lontano gli americani dalla crisi. Washington ha paura di favorire i «radicali» e non vede con chiarezza gli sviluppi.
Nei mesi scorsi un pacchetto di mischia composto da Hillary Clinton, dal capo di stato maggiore Dempsey, dall'allora direttore dalla Cia David Petraeus era andato all'attacco del presidente: volevano che gli Usa inviassero armi ai ribelli. Una pressione che non ha dato risultati. Le cautele di Obama hanno prevalso. Al suo fianco c'era l'ambasciatore all'Onu, Susan Rice, che pure era stata decisiva nel sostenere l'impegno in Libia. Con il passare delle settimane, però, il tema è tornato al centro delle discussioni. E i consiglieri presidenziali non hanno escluso un ripensamento sul quale possono pesare gli sviluppi nel teatro.
Il problema è che gli insorti islamisti non stanno a guardare. I loro successi sono importanti, specie nel Nord del Paese. Hanno preso il controllo di basi, ora minacciano l'aeroporto di Aleppo. Usano i kamikaze non solo per richiamarsi al qaedismo ma come vera arma. Li lanciano a bordo di camion contro le difese esterne degli obiettivi: sono come dei missili da crociera umani. Le esplosioni aprono la strada alle unità ribelli integrate da molti volontari stranieri.
Sostenuti dai Paesi del Golfo, hanno creato di recente un fronte composto da Al Nusra (qaedisti duri), Suqur Al Sham e Kataib Ahrar Al Sham. Quest'ultima fazione è in crescita, è attestata su posizioni «pragmatiche», fa meno paura (in teoria) delle altre. Resta che l'obiettivo comune prevede l'instaurazione di uno stato islamico. E per arrivarci, oltre ad essere dei bravi combattenti, si preoccupano di assistere i civili nelle zone liberate. Così conquistano cuore e menti partendo dal basso, ad esempio con la gestione dei forni e la distribuzione equa del pane. Non è poco per una popolazione stremata dal conflitto e punita dai massacri del regime che bombarda con ogni cosa, compresi i missili terra-terra Scud. All'Ovest ora ci si accorge che sarebbe servito un aiuto più sostenuto ai laici per evitare che Al Nusra guadagnasse terreno. E, di recente, nuove armi prodotte in Croazia sono state inviate agli insorti che stanno lontani dalle bandiere nera della Jihad. Un tentato di bilanciare le forze che somiglia però ad un pentimento.