Sguardi (Passaggi culturali) - a cura della redazione

02.05.2013 17:05

- Wilde. Un "boy" shakespiriano nel gioco fatale dell'estetismo inglese. Nella cultura inglese di fin de siècle "il gesto della lettura è un'operazione che si carica di valenze complesse. Spesso non può prescindere dalla vita, anzi si confonde e si sovrappone a essa e assume l'intensità di una rivelazione" (Bini). Questo accade soprattutto quando si incontra il libro "fatale" com'è nel caso de Il ritratto di Mr. W.H. di Oscar Wilde (a cura di Benedetta Bini, Marsilio), nato e letto al suo tempo nella forma abbreviata del racconto e poi ampliato con l'aggiunta di un audace commento esegetico. Rifiutata dagli editori, l'opera così rifinita apparve postuma solo nel 1921 negli Stati Uniti. Ma quella prima parte, tutto sommato innocua, fu prova bastevole, assieme al Ritratto di Dorian Gray, per puntare l'indice contro il suo autore e il suo stile di vita. (...). (Caterina Ricciardi, Alias Il Manifesto, 28 aprile 2013)

- Darwin. Sempre la stessa impertinente domanda su Dio. Fiero difensore dell'autonomia della ricerca scientifica, cauto e dubbioso per indole oltre che per scelta metodologica, allergico a ogni forma di speculazione filosofica, e proprio per questo determinato a non immischiarsi in questioni metafisiche che non gli competevano, sin dalla prima pubblicazione dell' Origine della specie Charles Darwin fu importunato da una domanda assillante: credeva in Dio ? A rivolgergliela era una moltitudine di colleghi perplessi, recensori polemici, ecclesiastici oltraggiati, lettrici smaniose, ammiratori devoti e atei radicali. "Metà degli stupidi di tutta Europa mi scrive per farmi le domande più insulse", si lamentava con il cugino Reginald nel 1879, in una delle trentadue missive che Telmo Pievani include nell'antologia di Lettere sulla religione, tradotte da Isabella Blum (Einaudi). "Per piacere, una volta o l'altra dimmi che fare quando mi danno dell' "ateo", aggiungeva in calce alla epistola. (...). (Valentina Pisanty, Alias Il Manifesto, 28 aprile 2013)

- Asch. Nel viaggio di Paolo Israele è alle spalle. Spira aria di rivolta nelle pagine che Sholem Asch ha dedicato alla figura enigmatica di Paolo Di Tarso. Il libro, che ha per titolo L'apostolo, (Castelvecchi, traduzione di Simone Perugini), è avvincente come una biografia, suggestivo come un romanzo. Ma è anche un'opera di teologia politica che legge il messianismo nel punto di intersezione fra mondo ebraico e mondo cristiano. Voce nota e apprezzata della letteratura yiddish, Asch aveva lasciato la Polonia alla fine degli anni trenta per trasferirsi negli Stati Uniti dove L'apostolo uscì nel 1943 solo nella traduzione inglese. Che senso poteva avere, d'altronde, raccontare la storia di Paolo di Tarso nella lingua parlata dagli ebrei dell'Europa orientale ? E per di più nel 1943, quando la maggior parte di loro era condannata allo sterminio ? (...). (Donatella Di Cesare, Alias Il Manifesto, 28 aprile 2013)

 

 

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