Sguardi (In giro per il mondo) - Misna, 6 maggio 2013

06.05.2013 15:33

(Sudan) ABYEI, MONITO DELL’UNIONE AFRICANA DOPO GLI SCONTRI A FUOCO

Una minaccia ai progressi raggiunti da Sudan e Sud Sudan nell’affrontare i problemi relativi alla sicurezza comune: l’Unione Africana ha definito in questi termini scontri a fuoco che nella regione contesa di Abyei hanno contrapposto esponenti di due comunità ritenute alleate dei governi di Khartoum e di Juba.

Ieri nelle violenze hanno perso la vita tra gli altri un capo tradizionale Dinka, Kuol Deng Majok, 17 pastori Misseriya e due peacekeeper etiopici di una missione delle Nazioni Unite incaricata di monitorare il rispetto di un accordo sulla smilitarizzazione di Abyei.

Secondo la presidente della Commissione dell’Unione Africana, Nkosazana Dlamini-Zuma, l’episodio di ieri costituisce “un crimine odioso che minaccia la stabilità dell’area e i progressi ottenuti da Sudan e Sud Sudan nell’affrontare i problemi relativi alla sicurezza comune e le sfide di carattere socio-economico”.

All’uccisione del capo tradizionale sono seguite proteste di strada ed episodi di violenza nel centro urbano di Abyei, alcuni dei quali mirati contro la comunità sudanese residente in città. Secondo il quotidiano Sudan Tribune, i manifestanti hanno dato alle fiamme anche una moschea; i peacekeeper dell’Onu, per parte loro, avrebbero sparato sulla folla ferendo in modo grave tre ragazzi.

Secondo il governo di Juba, i presidenti Omar Hassan al Bashir e Salva Kiir hanno già avuto colloqui telefonici “finalizzati a trovare una soluzione al problema”. Le ricostruzioni dell’accaduto fornite dal Sudan e dal Sud Sudan, però, restano diverse. Khartoum ha sostenuto che all’origine della battaglia c’è stato un furto di bestiame ai danni dei Misseriya, suoi tradizionali alleati. Juba ha invece denunciato un agguato premeditato contro Deng, ribadendo il suo impegno affinché Abyei torni al Sud “a ogni costo”.

Considerata una delle regioni più ricche di petrolio dell’Africa orientale, Abyei è rimasta contesa nonostante la fine della guerra civile sudanese nel 2005 e la nascita di uno Stato del Sud indipendente due anni fa. Nel 2011 si sarebbe dovuto tenere un referendum per decidere se la regione avrebbe dovuto essere governata da Khartoum o da Juba. La consultazione però non si è mai tenuta a causa delle difficoltà nell’identificare gli aventi diritto al voto: solo i residenti Dinka, come vorrebbe il Sud Sudan, o anche i pastori arabi Misseriya, che si spostano nella regione solo alcuni mesi l’anno.

(Brasile) ‘NHÁ CHICA’ PRIMA BEATA AFROBRASILIANA

“Figlia e nipote di schiavi, analfabeta, orfana dall’infanzia, visse nella povertà e la semplicità…dedicando la sua vita a servire le persone, soprattutto nel nobile compito di ascoltare e consigliare”: così la Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), ha ricordato Francisca de Paula de Jesus (1808-1895), “affettuosamente chiamata dalla gente Nhá Chica”, zia Francesca, la prima afro-brasiliana beatificata sabato a Baependi, la località dello Stato di Minas Gerais dove trascorse gran parte della vita.

“Il riconoscimento della santità di Nhá Chica da parte della Chiesa, passati poco più di 100 anni dalla sua morte, conferma l’importanza di mettere in rilievo l’esempio della sua vita di fedeltà a Cristo e al suo Vangelo” aggiungono i vescovi in una nota a firma del presidente della Cnbb, il cardinale Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida, del vice-presidente monsignor José Belisário da Silva, arcivescovo di São Luis, e del segretario generale, monsignor Leonardo Ulrich Steiner, vescovo ausiliare di Brasília.

“La sua cura per i più poveri le fruttò il titolo di Madre dei poveri” hanno aggiunto i presuli, salutando la diocesi di Campanha “e tutti coloro che si sono dedicati alla causa di canonizzazione di Nhá Chica, così come il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, per aver presieduto la cerimonia di beatificazione di questa Serva di Dio”.

(Sudan) DARFUR: CROLLO NELLA MINIERA, BILANCI CONTRASTANTI

Le autorità del Nord Darfur hanno smentito i bilanci circolati la scorsa settimana riguardo alle vittime e i dispersi nel crollo di una miniera d’oro nella località di al Siraif. In un comunicato diffuso oggi, ad una settimana dall’incidente, il governatore della regione settentrionale del Darfur Al Fatih Abdel Aziz Abdel Nabi, riferisce di cinque vittime accertate a fronte delle cento ipotizzate nei giorni scorsi.

Il comunicato precisa inoltre che non ci sarebbero notizie di dispersi nella zona di Jebel Amer.

Informazioni in totale contrasto con quelle fornite alcuni giorni fa dal capo del distretto, Haroun al Hassan secondo cui le vittime del crollo sarebbero state “almeno 60”.

BREVI DALL’AMERICA LATINA (GUATEMALA, BRASILE, ECUADOR)

GUATEMALA – La Corte Costituzionale ha sospeso “in modo provvisorio” il processo per genocidio e crimini contro l’umanità a carico dell’ex dittatore José Efraín Ríos Montt (1982-1983) e del suo ex capo dell’intelligence, José Rodríguez, fino a quando non sarà chiarito l’esito di un ricorso presentato dal legale del generale golpista, Francisco García Gudiel. Le udienze sarebbero dovute riprendere oggi, dopo l’assegnazione di un nuovo avvocato a Rodríguez.

BRASILE – La Procura di Rio Grande do Sul e la Commissione nazionale della verità hanno ordinato l’esumazione delle spoglie dell’ex presidente João Goulart, alla guida del paese fra il 1961 e il 1964, quando fu rovesciato dall’esercito, per determinare le cause esatte della morte, avvenuta nel 1976 in una località del nord dell’Argentina. Le autorità militari di allora sostennero che Goulart morì per infarto, ma fonti vicine alla famiglia ipotizzano un avvelenamento.

ECUADOR – Il presidente Rafael Correa ha auspicato il raggiungimento di un accordo commerciale con l’Unione Europea, con cui i negoziati potrebbero riprendere – ha detto – nel giro di tre mesi. Correa ha inoltre annunciato di aver dato inizio alla procedura affinché l’Ecuador faccia il suo ingresso, come membro a pieno titolo, nel Mercosur (mercato comune sudamericano).

AMERICA LATINA – Spetterà a un latinoamericano riattivare i negoziati del Doha Round, paralizzati da circa un lustro: il nome si conoscerà domani con l’elezione del nuovo direttore generale dell’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto/Omc) fra i due finalisti, il brasiliano Roberto Azevêdo e il messicano Herminio Blanco.

(Somalia) MOGADISCIO, PRESTO PER STRADA UNA FORZA SPECIALE

È di otto vittime e oltre una ventina di feriti il bilancio definitivo delle due esplosioni avvenute ieri mattina al centro di Mogadiscio.

Nel condannare il duplice attentato, il presidente Hassan Sheikh Mohamoud ha annunciato il prossimo dispiegamento di una forza speciale di 1300 uomini per le strade della capitale, con il compito di prevenire gli attacchi di Al Shabaab.

Il nuovo corpo sarà dotato di veicoli per pattugliare le strade della città e radio per coordinare le attività di controllo. “I nostri nemici hanno cambiato strategia – ha detto il presidente – e adottano tecniche di guerriglia. Ci prepariamo a rispondergli”.

Secondo le ricostruzioni in circolazione, un attentatore suicida si è scagliato con la sua auto contro un convoglio di mezzi governativi all’incrocio della Strada al Chilometro 4, uno dei principali snodi stradali nella zona sud. Bersaglio dell’attacco un convoglio con a bordo una delegazione della cooperazione allo sviluppo qatariota. Tutti i membri del gruppo, tuttavia, sarebbero rimasti illesi.

La seconda esplosione si è verificata al passaggio di un convoglio del ministro della Sicurezza interna Abdi Karin Hussein Guled, anch’egli rimasto illeso. Le emittenti radiofoniche locali riferiscono che le vittime sono perlopiù civili, molti dei quali sono stati ricoverti negli ospedali della zona.

(Siria) ARMI CHIMICHE, DA ESPERTI ONU ACCUSE AI RIBELLI

I ribelli siriani avrebbero fatto uso di gas sarin nel conflitto in corso nel paese: lo ha reso noto l’ex procuratore del Tribunale penale internazionale e membro della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulle violazioni di diritti umani in Siria, Carla Del Ponte. In un’intervista alla Radio svizzera italiana, Del Ponte ha affermato che in base alle testimonianze raccolte negli ospedali, tra i medici e gli infermieri  “i ribelli hanno utilizzato armi chimiche, facendo uso anche di gas sarin”.

Del Ponte non ha escluso la possibilità che anche le truppe governative abbiano fatto ricorso all’uso di armi chimiche, precisando che “saranno necessarie altre investigazioni sul campo”.

Le dichiarazioni dell’esperta Onu giungono in una fase di altissima tensione del conflitto, segnato nel fine settimana da due raid dell’aviazione israeliana in territorio siriano.

Secondo le informazioni in circolazione, ieri i caccia israeliani avrebbero centrato il centro di ricerche a Jamraya, teatro di un attacco già nello scorso gennaio. Danni sarebbero stati riportati anche nelle basi della Quarta Divisione e della Guardia presidenziale, i reparti scelti del regime di Bashar al Assad sul monte Qasioun, sede del sistema difensivo siriano.

Un’incursione che arriva a circa 48 ore da quella che, tra giovedì e venerdì, avrebbe preso di mira un altro stock di missili. E che la Siria ha bollato, per bocca del vice ministro degli Esteri Faisal al Medad, come “una dichiarazione di guerra”.

Come prima reazione, i raid di Tel Aviv hanno avuto quella di ricompattare le posizioni di paesi della regione molto distanti negli ultimi mesi: alle denunce iraniane ha fatto eco l’Egitto, che parla di “aggressione israeliana”, e della Lega Araba, che denuncia la “grave violazione della sovranità” nazionale della Siria.

(Venezuela) RICORDANDO CHÁVEZ, PETROCARIBE VERSO CREAZIONE ZONA ECONOMICA

Un omaggio al defunto presidente venezuelano Hugo Chávez, suo principale promotore, un attestato di sostegno al suo successore, Nicolás Maduro, e la firma di un memorandum di intenti per procedere verso la creazione di una zona economica speciale: questo, in sintesi, l’esito del VII Vertice di Petrocaribe, l’alleanza politico-energetica che riunisce 18 paesi latinoamericani e caraibici, celebrato ieri a Caracas.

A due mesi esatti dalla morte di Chávez, la sua immagine ha accompagnato i lavori del summit, con una cerimonia programmata alla stessa ora della sua scomparsa il 5 marzo. La chiusura si è svolta nel Cuartel de la Montaña, l’ex Accademia militare oggi Museo storico della Rivoluzione Bolivariana, dove riposano le spoglie del defunto presidente.

Nella dichiarazione finale, ministri e delegati di Petrocaribe – nato nel 2005 – hanno ricordato ancora Chávez come fondatore del meccanismo mediante il quale il Venezuela rifornisce di greggio paesi del Centro America e dei Caraibi a tariffe preferenziali, impegnandosi a portarlo avanti. I partecipanti al summit “approvano la proposta del Venezuela per promuovere il rafforzamento di Petrocaribe attraverso la formazione della zona economica di Petrocaribe (Zep)” si legge nel documento. “Se c’è un meccanismo di cooperazione che ha tutte le condizioni per avanzare con un importante capacità finanziaria verso una nuova zona economica, quello è Petrocaribe” ha dichiarato Maduro.

Petrocaribe riunisce Antigua e Barbuda, Bahamas, Belize, Cuba, Dominica,Granada, Guatemala – che ha fatto il suo ingresso in occasione del summit – Guyana, Haiti, Honduras, Giamaica, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Suriname e Venezuela.

(Swaziland) SINDACATI IN TRIBUNALE PER ESSERE RICONOSCIUTI

Una confederazione di sindacati dello Swaziland ricorrerà oggi in appello contro una sentenza che ne vieta il riconoscimento: lo dicono alla MISNA esponenti della società civile del regno africano, dopo aver denunciato nei giorni scorsi fermi di dirigenti di organizzazioni dei lavoratori e di partiti politici clandestini.

A ricorrere contro la sentenza del Tribunale per le relazioni industriali di Mbabane saranno i rappresentanti del Trade Union Congress of Swaziland (Tucoswa). Secondo il vice-segretario generale dell’organizzazione, Nduduzi Gina, il mancato riconoscimento è incostituzionale perché la Carta fondamentale non prevede partiti politici ma riconosce la libertà di espressione e di associazione.

In primo grado i giudici avevano sostenuto che nello Swaziland possono essere riconosciuti sindacati ma non confederazioni sindacali, che a differenza dei primi avrebbero un carattere politico.

Lo Swaziland è considerato una monarchia pressoché assoluta. Nel regno la tensione sta aumentando sia a causa di difficoltà di carattere economico sia per l’avvicinarsi delle elezioni legislative, ritenute dagli oppositori non democratiche. “In occasione della festa dei lavoratori del 1° maggio – sottolinea Musa Hlophe, attivista di Swaziland Coalition of Concerned Civic Organisations – sono stati arrestati o fermati diversi esponenti dell’opposizione o del mondo sindacale”. Tra questi ci sarebbe anche Mario Masuku, presidente del People’s United Democratic Movement (Pudemo), uno dei principali partiti clandestini del regno.

(Nigeria) VIA LIBERA AGLI INVESTIMENTI NELL’ELETTRICITÀ

Più di 592 miliardi di naira, all’incirca tre miliardi e 700 milioni di dollari: è la somma che il governo della Nigeria si è impegnato a stanziare per migliorare la rete di distribuzione dell’elettricità, un settore storicamente in difficoltà dal quale dipende lo sviluppo economico del paese più popoloso d’Africa.

A fare i numeri, riferisce l’agenzia di stampa Nigerian News Agency, è stato il vice-presidente Namadi Sambo. In una nota diffusa dal suo ufficio si sottolinea che gli investimenti sono parte di una strategia nazionale tesa anche a portare la capacità di erogazione di elettricità a 20.000 megawatt al giorno.

Uno dei capisaldi della politica di Goodluck Jonathan, alla guida dello Stato dal 2010, è la privatizzazione dei servizi di generazione e distribuzione. Dal 1° giugno scorso una riforma del settore elettrico tesa ad attirare investimenti stranieri ha determinato forti rincari per 160 milioni di nigeriani. Nonostante le tante promesse, anche sul piano della produzione è stato fatto poco: lo scorso anno il dato ufficiale era di appena 3800 megawatt al giorno, molto al di sotto del fabbisogno nazionale.

(Tanzania) ARUSHA, LO SHOCK E I TIMORI DEL NUNZIO APOSTOLICO

“Alcuni gruppi estremisti si sono rafforzati ma la Tanzania resta terra del dialogo, dove cristiani e musulmani vogliono vivere in pace gli uni accanto agli altri”: lo dice alla MISNA monsignor Francisco Padilla, il nunzio apostolico scampato solo per caso all’esplosione avvenuta ieri all’ingresso di una chiesa ad Arusha.

Per ora gli inquirenti non hanno fornito ricostruzioni dell’accaduto ma prime indiscrezioni e testimonianze sembrano confermare l’ipotesi che un attentatore abbia lanciato una bomba a mano tra la folla di fedeli che stava assistendo all’inaugurazione della chiesa. I morti sono stati almeno due e i feriti una sessantina. Monsignor Padilla parla con la MISNA dopo aver portato in ospedale la sua solidarietà e la sua benedizione a chi, ieri, è stato meno fortunato di lui. “L’arcivescovo di Arusha che era insieme con me e l’intera Chiesa della Tanzania – sottolinea il nunzio – sono sotto shock”.

Uno shock legato al fatto che, nel nord della Tanzania, mai luoghi di culto erano stato oggetto di attentati. “La grande maggioranza degli abitanti di questo paese – insiste monsignor Padilla – crede nella pace e nel rispetto reciproco tra le religioni”.

Nell’ultimo anno, però, i motivi di preoccupazione erano aumentati. A ottobre avevano fatto scalpore l’assalto ad alcune chiese in un quartiere tra i più poveri di Dar es Salaam, abitato per lo più da musulmani. In relazione a questo episodio e per suoi presunti legami con Uamsho (Risveglio, in lingua swahili), un gruppo radicale forte soprattutto nell’arcipelago autonomo di Zanzibar, era anche stato arrestato un imam. A febbraio, proprio a Zanzibar, un sacerdote cattolico era stato assassinato di fronte all’ingresso della sua chiesa.

“In Tanzania – dice monsignor Padilla – sono arrivati elementi radicali che vogliono alimentare il caos e che in qualche caso potrebbero essere strumentalizzati a fini politici”. Tesi che attendono ancora riscontri, certo; ma che le indiscrezioni sui primi arresti effettuati dopo l’esplosione di Arusha sembrano destinate a rilanciare. Oggi ufficiali di polizia hanno riferito che sono finite in manette otto persone, quattro di nazionalità tanzaniana e quattro originarie dell’Arabia Saudita. Queste ultime sarebbero arrivate all’aeroporto di Arusha sabato.