Sguardi (In giro per il mondo) - Misna, 17 maggio 2013
BREVI DALL’AFRICA (Centrafrica , Somalia, Ciad, R.D.Congo, Burkina Faso)
CENTRAFRICA – Rimane alta la tensione al confine col Camerun dopo scontri a fuoco tra combattenti della ribellione Seleka e militari di Yaoundé, che si sono verificati nei due ultimi giorni. La popolazione della località camerunese di Garoua-Boulaï resta in stato di allerta e teme possibili incursioni dei ribelli del paese vicino. Dopo il colpo di stato a Bangui lo scorso 24 marzo, centinaia di centrafricani si sono rifugiati in Camerun, tra cui soldati dell’esercito legato all’ex presidente François Bozizé. A Garoua-Boulaï il governo camerunese ha dispiegato uomini del Battaglione di intervento rapido (Bir) per lottare contro la crescente insicurezza. L’inviata Onu in Centrafrica, Margaret Vogt, ha avvertito che “l’anarchia in Centrafrica costituisce una minaccia diretta alla sicurezza dei suoi vicini, soprattutto Ciad, Camerun e Repubblica democratica del Congo”.
SOMALIA – Riconosciute colpevoli di raccogliere fondi destinati agli insorti al Shabaab, due somale residenti negli Stati Uniti sono state condannate al carcere. La corte federale di Minneapolis, nel Minnesota – Stato che ospita la più grande comunità di cittadini somali del paese – ha condannato la 36enne Amina Farah Ali, con a carico 13 capi di accusa per terrorismo, a 20 anni di detenzione e la 66enne Hawo Mohamed Hassan a dieci anni. Nei giorni scorsi la stessa corte ha emesso altre sette condanne nell’ambito di un’inchiesta dell’Fbi sulla rete di reclutamento e finanziamento della milizia islamica creatasi negli Stati Uniti.
CIAD – “Rientrerò in Ciad, andrò dalla polizia che mi ha convocato anche se rischio di subire la stessa sorte dei miei colleghi che, in buona fede, su richiesta del parlamento, hanno accetto di farsi interrogare e poi si sono ritrovati in carcere”: lo ha detto uno dei principali esponenti dell’opposizione, Saleh Kebzabo. Il capofila dell’Unione nazionale per lo sviluppo e il rinnovamento (Undr) si trova in Sudafrica per una sessione del Parlamento panafricano. Dopo l’annuncio di un fallito tentativo di destabilizzazione delle istituzioni, lo scorso 1° maggio, le autorità ciadiane hanno fatto arrestare una decine di persone tra militari e deputati. Per il presidente Idriss Deby Itno è stata una “cospirazione” mentre per Kebzabo si è trattato di una “messa in scena per mettere a tacere l’opposizione”.
R.D. CONGO – Più di 20 persone hanno perso la vita nel crollo di una miniera non lontano dal villaggio di Rubaye, nel territorio di Masisi, nell’est del paese. Lo ha riferito all’emittente locale ‘Radio Okapi’ il portavoce del governo, Lambert Mende, aggiungendo che ricerche sono in corso per mettere in salvo eventuali superstiti. L’estrazione del ricco sottosuolo della provincia del Nord Kivu viene spesso effettuata con modalità clandestine, quindi senza alcuna tutela per la mano d’opera. Le risorse minerarie, dall’ora al coltan, fanno gola ai numerosi gruppi armati, locali e stranieri, attivi nella provincia confinante con Rwanda e Uganda.
BURKINA FASO – Boicottaggio della seduta plenaria dell’assemblea plenaria, in agenda per il 21 maggio, in segno di protesta per la creazione del Senato: lo ha annunciato il capofila dell’opposizione, il deputato Zéphirin Diabré. “E’ un’istituzione superflua, costosa, non rappresentativa delle regioni e delle attese dei giovani. Il Senato è soltanto destinato a facilitare la revisione dell’articolo 37 della costituzione che stabilisce un limite al mandato del capo dello Stato” ha dichiarato Diabré. Sulla carta l’ultimo mandato del presidente Blaise Compaoré, al potere dal 1987, si concluderà nel 2015, ma i suoi sostenitori auspicano una revisione costituzionale per consentirgli di candidarsi nuovamente. Suo fratello minore, François, è stato già indicato come suo possibile successore. Nel 2011 il Burkina Faso è stato destabilizzato da un’ondata di ammutinamenti militari e proteste sociali che hanno fatto vacillare il potere del presidente.
(Madagascar) UNIONE AFRICANA, RITIRO DI RAJOELINA PER SALVARE ELEZIONI
Una critica aperta alla candidatura dell’attuale presidente di transizione Andry Rajoelina, a cui viene chiesto di ritirarsi dalle elezioni di luglio: il monito è arrivato dal Consiglio pace e sicurezza dell’Unione Africana (UA), al termine di una riunione dedicata alla “preoccupante situazione” in Madagascar. L’istituzione continentale auspica un passo indietro da Rajoelina ma anche da parte di altri due candidati controversi, l’ex presidente Didier Ratsirika e la moglie dell’ex capo di stato Marc Ravalomanana, Lalao, in lizza alle presidenziali in agenda il 24 luglio. L’UA chiede un’ “azione di salvataggio del processo elettorale” e avverte che “non riconosceremo le autorità malgascie che potrebbero essere elette in violazione di precedenti accordi presi con noi e con la Comunità di sviluppo dell’Africa australe (Sadc)”.
Il comunicato diffuso in conclusione della riunione tenuta ad Addis Abeba evidenzia che “è deplorevole e grave che Rajoelina non abbia rispettato il suo impegno solenne a non candidarsi. Sta ignorando e calpestando uno dei principi fondamentali del nostro statuto e pertanto sta rischiando sanzioni mirate” ha riferito il quotidiano locale ‘Madagascar Tribune’. La nota ricorda che “gli autori di un cambiamento di potere anticostituzionale non possono partecipare ad elezioni organizzate per ristabilire l’ordine costituzionale”. L’organismo continentale punta anche il dito contro la Corte elettorale speciale (Ces) del Madagascar, che “ha preso una decisione sbagliata e anticostituzionale” nel convalidare le tre candidature in questione.
Dopo aver sottolineato che la conferma della loro partecipazione al voto rappresenta “un grave pericolo per la stabilità del Madagascar”, l’UA chiede al mediatore internazionale, l’ex presidente mozambicano Joachim Chissano, di convincere i tre candidati a ritirarsi per “salvare il processo elettorale”. Due giorni fa anche l’Unione Europea ha criticato le tre candidature, precisando che “il sostegno finanziario al Madagascar dipenderà anche dalle condizioni di preparazione del voto”.
Almeno sulla carta, dopo una serie di accordi firmati tra le principali correnti politiche rivali con la mediazione della Sadc, le presidenziali sono state convocate per il prossimo 24 luglio e le legislative il 25 settembre. I due appuntamenti con le urne dovrebbero archiviare la transizione cominciata quattro anni fa. Nel marzo 2009, dopo proteste popolari contro l’allora presidente Ravalomanana e con il consenso dell’esercito, il potere è passato nelle mani dell’ex sindaco della capitale, il giovane Rajoelina.
(Guatemala) RÍOS MONTT, RINVIATO PRONUNCIAMENTO CORTE COSTITUZIONALE
La Corte Costituzionale del Guatemala ha rinviato a lunedì la decisione sui ricorsi presentati dagli avvocati dell’ex dittatore José Efraín Ríos Montt, condannato la settimana scorsa a 80 anni di carcere per genocidio e crimini contro l’umanità durante il suo regime (1982-1983).
I magistrati si sono riuniti ieri per analizzare un ricorso in appello e le due richieste di destituire il ‘Tribunal de Mayor Riesgo’ presieduto da Yazmín Barrios che ha giudicato colpevole il generale dell’esercito a riposo per il massacro di 1771 indigeni Ixiles nei 17 mesi della sua presidenza ‘de facto’, il periodo più sanguinoso della lunga guerra civile (1960-1996).
Per Barrios è stato dimostrato che l’obiettivo di Ríos Montt era “la scomparsa fisica della regione Ixil attraverso piani elaborati – la cosiddetta strategia della ‘terra bruciata’ – e non di azioni spontanee”, come sostenuto dalla difesa. La giudice ha allo stesso tempo assolto il capo del’intelligence militare all’epoca dei fatti, José Mauricio Rodríguez Sánchez, processato con l’ex dittatore.
Su Ríos Montt pesa un’altra causa, quella per la strage di Dos Erres, perpetrata il 7 dicembre 1982, quando le forze speciali antiguerriglia Kaibiles assassinarono 201 persone, per la maggior parte donne e bambini. Finora, cinque dei militari ceh parteciparono al massacro sono stati condannati a 6060 anni di prigione ciascuno, una pena simbolica per ciascuna delle vittime che nella prassi si traduce a 50 anni di detenzione.
Secondo una Commissione della Verità sostenuta dalle Nazioni Unite, durante il regime di Ríos Montt furono commessi in media 800 omicidi al giorno.