Sguardi (In giro per il mondo) - Misna, 16 maggio 2013
(Uganda) VOCI SU SUCCESSIONE FIGLIO MUSEVENI, MINACCE ALLA STAMPA
La Commissione ugandese per le comunicazioni (Ucc) ha minacciato di prendere “provvedimenti” contro i mezzi di informazione che alimentano il dibattito sulla volontà del presidente Yoweri Museveni di farsi succedere dal figlio nella guida del paese.
La vicenda risale alla scorsa settimana quando il Daily Monitor ha pubblicato una lettera privata del generale David Sejusa in cui si chiedeva l’apertura di un’inchiesta sulle voci di un complotto ai danni di “chi si oppone al progetto di detenzione perpetua del potere da parte della famiglia”.
Le voci in circolazione a Kampala riferiscono che il capo dello Stato, 68 anni, alla guida dell’Uganda dal 1986, sta spingendo affinché il figlio Kainerugaba Muhoozi gli succeda alla presidenza.
“Queste informazioni infondate – ha detto Godfrey Mutabazi, a capo della Ucc – allarmano il pubblico, destabilizzano il paese e causano insicurezza. Noi non possiamo permetterlo”.
Il direttore del quotidiano che ha pubblicato la lettera e altri due giornalisti sono stati interrogati per ore dalla polizia. Al loro rifiuto di esibire copia originale della missiva rivelando da chi l’avessero ottenuta i tre sono stati minacciati di denuncia e posti in stato di fermo. I giornalisti sono stati rilasciati il giorno seguente.
(Egitto) SINAI, GRUPPO ARMATO SEQUESTRA POLIZIOTTI E MILITARI
Uomini armati non identificati hanno sequestrato tre poliziotti e quattro militari egiziani nella penisola del Sinai. Lo riferisce l’agenzia Mena secondo cui il convoglio, composto da due minibus e diretto al Cairo, è stato bloccato a un posto di blocco nella regione di Wadi al Akhdar, nel nord della penisola, non lontano dalla città di El Arish.
Le autorità hanno sollecitato dirigenti beduini ad attivarsi per avviare una mediazione con i rapitori, ma finora nessuno ha rivendicato il sequestro.
La penisola, meta tra le più esclusive del turismo egiziano e abitata da tribù beduine tradizionalmente diffidenti nei confronti del governo centrale, è stata teatro dopo la caduta di Hosni Mubarak di una sollevazione che ha favorito l’infiltrazione nella zona di gruppi armati di matrice islamista. Il più grave degli incidenti si è verificato nell’agosto scorso, quando un commando armato ha ucciso 16 guardie di frontiera egiziane.
(Nigeria) BOKO HARAM: A MAIDUGURI È EMERGENZA QUOTIDIANA
“C’è un sentimento di déjà-vu, come se stessimo vivendo qualcosa che abbiamo già visto” dice alla MISNA Barrister Zannah Mustapha, direttore di un’ong che assiste gli orfani di Maiduguri. In questa città ai confini del Sahel, roccaforte storica di Boko Haram, lo stato di emergenza non sembra una novità.
A Maiduguri e a Yola, un’altra città del nord-est della Nigeria dove martedì sono entrate in vigore le misure straordinarie del governo, sono arrivati oltre 2000 soldati a supporto di quelli già sul terreno. Secondo Mustapha, però, “per gli abitanti non è cambiato molto perché di fatto vivono in una condizione di emergenza da almeno due anni”. Lo testimoniano da tempo i check point agli angoli delle strade, le perquisizioni e le sparatorie quotidiane, il coprifuoco dalle nove di sera alle sei del mattino.
Mustapha parla a ragion veduta perché conosce Maiduguri palmo a palmo. La sua organizzazione, Future Prowess Islamic Foundation, paga l’iscrizione a scuola e acquista pasti decenti per tanti bambini che hanno perso i genitori negli scontri a fuoco tra i soldati e i militanti di Boko Haram. Un’emergenza, questa, cominciata ormai diversi anni fa. Almeno dal 2009, quando le rivolte guidate dall’imam Mohammed Yusuf innescarono un ciclo di repressioni militari e attentati che in poche settimane a Maiduguri fecero 700 morti.
Secondo Mustapha, allora, le misure straordinarie del governo sono anzitutto un messaggio politico. “Il presidente Goodluck Jonathan – sottolinea il direttore della Future Prowess Islamic Foundation – sta dicendo al mondo che è forte abbastanza per imporre il rispetto della legge e della sovranità dello Stato; e lo sta dicendo magari anche per le sue difficoltà politiche interne, in vista delle elezioni del 2015”.
Di sicuro, l’offensiva dell’esercito negli Stati nord-orientali di Borno, Yobe e Adamawa è un ostacolo ulteriore al tentativo di avviare un qualche tipo di percorso negoziale. “Non puoi dialogare se sei in guerra” dice Mustapha, sottolineando come appaiano ormai angusti gli spazi di manovra di un comitato incaricato dal governo di valutare l’ipotesi di un’amnistia a beneficio dei militanti di Boko Haram che si dimostrassero disposti a deporre le armi. Oggi la Future Prowess Islamic Foundation assiste 450 orfani. E l’emergenza non è finita.
(Argentina) GOVERNO DENUNCIA POLITICA EUROPEA SU BIO-CARBURANTI
Il governo di Cristina Fernández ha fatto ricorso all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto/Omc) contro quelli che ritiene gli ostacoli imposti dall’Unione Europea all’importazione e vendita di bio-carburanti, sollecitando chiarimenti.
Il Wto/Omc ha riferito di aver ricevuto “una richiesta di consultazioni con la Ue e/o i suoi Stati membri che interessano l’importazione e la commercializzazione di bio-carburanti” oltre a diverse “misure di sostegno” al settore.
La controversia fa, tra l’altro, riferimento alle misure adottate dai Ventisette per promuovere le energie rinnovabili e l’introduzione di un meccanismo per controllare e ridurre le emissioni nocive. L’Argentina ritiene che queste misure violino principi contenuti nell’Accordo generale sui dazi doganali e il commercio del 1994 “relativi alla non discriminazione”, oltre all’Accordo sulle sovvenzioni e i mezzi compensatori, l’Accordo sulle misure in materia di investimenti relazionati al commercio e l’Accordo sulle barriere tecniche al commercio.
La Ue ha ora 60 giorni per rispondere alla richiesta argentina, trascorsi i quali Buenos Aires può chiedere al Wto/Omc una risoluzione per costringere il blocco comunitario a modificare le sue presunte pratiche illegali. Già lo scorso anno Buenos Aires aveva denunciato i limiti imposti dalla Spagna alle esportazioni di bio-diesel verso l’Argentina, dopo l’espropriazione della Repsol da parte del governo argentino: una mossa che ha sollevato dure critiche dall’intera Ue. Madrid aveva in seguito modificato le normative in merito ottenendo il ritiro della querela argentina.
(Colombia) EX DEPUTATO CONDANNATO PER STRAGE DI CIVILI
La sezione penale della Corte suprema di giustizia colombiana ha inflitto 30 anni di carcere all’ex deputato liberale del dipartimento nord-occidentale di Antioquia César Pérez García per il massacro di Segovia, la località in cui l’11 novembre 1988 furono assassinate 43 persone e ferite più di 40.
Pérez García, 78 anni, è stato riconosciuto colpevole di un “crimine di lesa umanità” per la strage perpetrata dal gruppo armato ‘Muerte a Revolucionarios del Nordeste’, uno squadrone paramilitare guidato da Fidel Castaño, fondatore con i suoi fratelli Carlos e Vicente delle Autodifese contadine di Córdoba e Urabá (Accu), poi confluite nelle più note Autodifese unite della Colombia (Auc).
Obiettivo del massacro era eliminare i militanti della Unión Patriótica (Up), il partito della sinistra nato dall’iniziativa di alcuni gruppi guerriglieri che aveva vinto le elezioni del marzo 1988 e finì letteralmente sterminato con la partecipazione dell’esercito.
Il tribunale ha stabilito che Pérez García, recluso nel carcere La Picota a Bogotá, partecipò al massacro per preservare la sua influenza politica nella regione: si era quindi rivolto a Fidel Castaño e a un altro capo paramilitare, Henry de Jesús Pérez, per chiedere loro di reprimere i sostenitori della sinistra nel comune di Segovia, marcatamente schierato con l’Up.
L’ex deputato liberale è stato accusato da uno dei sottoposti di un alto comandante dei ‘paras’, Alonso de Jesús Baquero, alias ‘el Negro Vladimir’, di aver finanziato la strage.
Pérez García si è sempre dichiarato innocente.