Sguardi (In giro per il mondo) - Misna, 13 maggio 2013

13.05.2013 10:45

(Siria) DOPO ATTENTATI IN TURCHIA, ACCUSE E SMENTITE

La Siria vuole trascinare la Turchia “in uno scenario catastrofico” ma Ankara non cederà alle provocazioni tese ad attirarla “in un sanguinoso pantano”: lo ha detto il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan dopo gli attentati di venerdì a Reyhanli, vicino al confine siriano, costati la vita a 46 persone.

Nove cittadini turchi sono stati arrestati in relazione agli attentati; fra loro ci sarebbero, secondo le autorità locali, i pianificatori degli attentati. Sono tutti sospettati di rapporti con i servizi di intelligence siriani.

Da Berlino, dove ha incontrato il collega tedesco Guido Westerwelle, il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, ha puntato il dito contro la comunità internazionale: “L’ultimo attacco dimostra come una scintilla si trasforma in fuoco, quando la comunità internazionale rimane in silenzio e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite non è in grado di agire” ha dichiarato Davutoglu, chiedendo “un’iniziativa diplomatica urgente”. La Turchia, ha aggiunto, “ha il diritto di adottare tutte le misure che vuole e continuerà a farlo”.

Il governo di Damasco ha intanto smentito qualsiasi coinvolgimento negli attentati di Reyhanli: “La Siria non ha commesso e non commetterà mai un simile atto, non perché non ne siamo capaci ma perché i nostri valori non ce lo consentono” ha affermato il ministro dell’Informazione siriano, Omran al-Zohbi, in una conferenza stampa trasmessa dalla tv di Stato, rinviando le accuse di responsabilità allo stesso Erdogan.

Sono stati nel frattempo liberati quattro caschi blu filippini catturati la settimana scorsa da ribelli siriani sulle alture del Golan: il segretario generale dell’Onu, an Ki-moon, ha elogiato il ruolo del Qatar per ottenerne il rilascio.

(Pakistan) ELEZIONI: IN VANTAGGIO LA LEGA MUSULMANA, IL RITORNO DI SHARIF

I risultati parziali delle elezioni generali di sabato indicano un netto vantaggio della Lega musulmana del Pakistan (Pml-n) che ha ottenuto almeno 115 seggi su 272 all’Assemblea nazionale, segnando il ritorno alla guida del governo dell’ex primo ministro Nawaz Sharif, 14 anni dopo essere stato destituito da un colpo di stato militare. Non godendo di una maggioranza assoluta in parlamento, il 63enne Sharif – che dal 1999 ha trascorso anni in carcere e in esilio – ha già avviato consultazioni con altre formazioni politiche per formare un governo di coalizione.

In base ai primi dati diffusi dalla commissione elettorale, circa il 60% degli 86 milioni di aventi diritto è andato alle urne, in una tornata elettorale che si è svolta in modo “globalmente equo e regolare” secondo gli osservatori elettorali pachistani. In seconda posizione, con un serrato testa a testa, sono giunti il Partito del popolo pachistano (Ppp) del contestato presidente uscente Asif Ali Zardari e il Movimento del Pakistan per la giustizia (Pti), la formazione dell’ex campione di cricket Imran Khan; entrambi siederanno in parlamento con 25-30 rappresentanti. Il movimento di Khan è stato l’elemento politico nuovo di queste elezioni: oltre ai seggi in parlamento, ha anche conquisto la guida dell’Assemblea provinciale del Khyber Pakhtunkhwa (nord-ovest), una regione instabile spesso colpita dai droni statunitensi. Grande perdente della tornata elettorale è stato invece il Ppp, sanzionato dai cittadini dopo aver guidato il paese con risultati contrastanti. Le elezioni generali di sabato erano considerate un test politico importante: sono state le prime tenute al termine dei cinque anni di governo a guida civile dopo decenni di dominio dei militari.

Due giorni dopo il voto, gli analisti sottolineano che le questioni economiche, la lotta alla disoccupazione, la crisi energetica e il terrorismo saranno le sfide del prossimo esecutivo. La limitata crescita economica, che non supera il 4%, l’elevato tasso di disoccupazione che colpisce i giovani, i black-out che durano fino a 20 ore al giorno in alcune regioni caratterizzano la vita quotidiana di una popolazione in crescita costante. Il contesto socio-economico difficile viene aggravato dall’instabilità causata da Tehreek-I-Taliban, la fazione talebana pachistana in lotta aperta contro il potere, particolarmente attiva nelle regioni tribali. Sabato tre persone sono rimaste uccise e una ventina ferita in un attentato contro un candidato laico a Karachi (sud) mentre ieri un attacco che si è verificato a Quatta, nel Baluchistan, ha provocato sei vittime e 40 feriti. Sulla lotta al terrorismo non è ancora chiara la posizione del nuovo primo ministro: durante la campagna elettorale si è detto favorevole all’apertura di negoziati con i talebani, annunciando passi indietro per quanto riguarda il coinvolgimento di Islamabad nella guerra contro gli insorti combattuta dagli Stati Uniti. Ieri, nel suo primo discorso da capo del governo, ha invece detto di voler rafforzare il partenariato con Washington. Dal confinante Afghanistan, il presidente Hamid Karzai ha invitato il governo di Sharif a favorire i negoziati con i talebani per porre fine alla crisi in atto dal 2001.

(Venezuela) “AMICIZIA E COOPERAZIONE”, VICE PRESIDENTE CINESE DA MADURO

“Auspichiamo che la grande amicizia forgiata tra il presidente (Hugo) Chávez e i dirigenti cinesi sia portata avanti dal presidente Nicolás Manduro”: così il vice-presidente della Repubblica popolare cinese, Li Yuanchao, si è rivolto al suo omologo venezuelano, Jorge Arreaza, al suo arrivo all’aeroporto internazionale di Caracas.

Li sarà ricevuto oggi da Maduro per “approfondire la cooperazione amichevole fra i due paesi” ha aggiunto l’inviato di Pechino. “Lavoreremo con il vice presidente cinese sui grandi temi dell’alleanza strategica per il nostro sviluppo e la prosperità comune” ha replicato il presidente attraverso Twitter.

Li renderà oggi un omaggio a Chávez nel Cuartel de la Montaña, dove riposano le spoglie del presidente scomparso il 5 marzo; in agenda è previsto anche in incontro con il ministro degli Esteri, Elías Jaua, il ministro del Petrolio, Rafael Ramírez, e il presidente dell’Assemblea nazionale, Diosdado Cabello.

La cooperazione fra Caracas e Pechino è stata ampiamente sviluppata durante la presidenza di Chávez, con la firma di accordi per miliardi di dollari nei settori dell’energia, delle costruzioni, dell’industria, della tecnologia. Il Venezuela vende 640.000 barili di petrolio al giorno alla Cina, 264.000 dei quali destinati a pagare il debito contratto da Caracas col gigante asiatico – per crediti per oltre 30 miliardi di dollari elargiti da Pechino negli ultimi anni. La Cina è il secondo partner commerciale del Venezuela.