(Segnalazioni culturali) William Styron, un maledetto sull'orlo del buio (Livia Manera, Corriere della Sera, 16 febbraio 2013)

16.02.2013 19:16

Scrittura, alcol e l'abisso della depressione  William Styron era talmente innamorato della frase di Flaubert «è necessario avere una vita ordinata e regolare come un borghese, se si vuole essere e violenti e originali nel proprio lavoro», che la teneva incorniciata sulla sua scrivania e la metteva in pratica ogni giorno con una scrupolosa routine. Sveglia verso mezzogiorno; un'ora a letto a leggiucchiare; colazione con la moglie Rose; passeggiata fino all'ufficio postale; caffè con Lillian Hellman; quattro ore di lavoro alla scrivania; e infine un drink per rilassarsi e una cena con i Kennedy a Hyannis Port, o con García Márquez e Mike Nichols a Martha's Vinyard, o con i vicini di casa in Connecticut Mia Farrow e Philip Roth.

È dunque intorno alla vita di uno scrittore che ha avuto tutto — amore, successo, fama, ricchezza e prestigio sociale — per finire i suoi anni ridotto all'ombra di se stesso implorando che gli fosse risparmiato di apparire davanti agli ospiti, che si articola l'emozionante volume delle Selected Letters of William Styron (Random House), la cui uscita è l'evento letterario di questo mese negli Stati Uniti, per molte, ottime ragioni.
Ragioni che non riguardano solo la generosità intellettuale e affettiva di un grande bevitore che si rivolgeva a una galleria impressionante di amici famosi mescolando considerazioni intellettualmente serie, battute salaci, fantasie erotiche, piaggerie e momenti di toccante sincerità e generosità. Ma piuttosto, per la capacità di queste lunghe, ariose lettere di resuscitare un mondo di leoni letterari — Updike, Mailer, James Jones, Bellow, Salinger e Heller — che nel giro di pochi anni si sarebbero dileguati lasciandoci al loro posto una generazione di scrittori politicamente corretti e allevati ad acqua minerale. Come ha detto la scrittrice Fran Leibovitz al sindaco Bloomberg quando ha vietato il fumo nel locali pubblici a New York: «Lo sa come si chiamava bere e fumare e tirar tardi a parlare nei locali, sindaco? Si chiamava "la storia dell'arte"». Bei tempi. Assolutamente andati.
Ma al di là della nostalgia, queste Selected Letters aprono anche gli occhi sul fatto che pochi hanno scritto tanto sul mestiere di scrivere come Styron nella sua corrispondenza: prima, con la gioia e la speranza della giovinezza, negli anni in cui lavorava a Un letto di tenebre — il romanzo d'esordio che lo avrebbe reso famoso nel 1951 — poi con rabbia e frustrazione nei terribili dieci anni in cui avrebbe scontato le aspettative sul secondo, fallimentare romanzo E questa casa diede alle fiamme.
Infine con la sincerità e la sicurezza che si guadagnò sul campo assumendosi nella maturità due enormi rischi — quello di scrivere di uno schiavo negro essendo un bianco nato in Virginia nelle Confessioni di Nat Turner e quello di raccontare l'Olocausto senza essere ebreo, nella Scelta di Sophie — due libri di enorme successo contestati a sinistra dalle Pantere nere e a destra da una parte dell'establishment ebraico.
Certo, avere sposato un'ereditiera bella, intelligente e socievole come Rose Burgunder, che ha curato questo volume, aveva aiutato. E altrettanto, forse, avere «oliato ogni ingranaggio del potere», come gli rinfacciava Norman Mailer. Ma l'ultima parola su Styron fino a ieri era quella della figlia Alexandra nel memoir del 2011 Reading my father. Dove la terza dei suoi quattro figli si chiedeva: «come è possibile che un uomo capace di commuovere il mondo intero sia stato un simile mostro in famiglia?».
Oggi le lettere di Styron ribaltano questo giudizio e ci aprono gli occhi sul fatto che pochi scrittori hanno letto e commentato il lavoro degli altri con altrettanta onestà.
A Roth, Styron scriveva: «L'attacco di (un certo critico) a Portnoy mi è quasi incomprensibile perché non riconosce che malgrado i suoi difetti il libro funziona…». A Mailer diceva che Il parco dei cervi «non è un libro gradevole, ma non scende a compromessi, e solo per questo si merita una medaglia». E per il tormentato, infelice autore di Revolutionary Road, Richard Yates, il più anziano Styron aveva non solo parole di incoraggiamento, ma argomenti di aiuto concreto, come quando riuscì a farlo assumere da Robert Kennedy per scrivere i suoi discorsi. Più prosaicamente, altrove, Styron nota che «la disgraziata alleanza» del suo vicino Arthur Miller con quel «barile di gelatina sexy» di Marilyn Monroe ha portato al loro angolo di Connecticut una quantità di «deficienti con la Pontiac e la camicia corta».
Gli anni d'oro delle allegre tavolate nella casa estiva degli Styron a Martha's Vinyard con Clinton e Márquez che litigano parlando di politica e Sinatra sullo yacht ancorato nella baia, sono in verità destinati a finire il giorno del 1985 che Styron implora la moglie in viaggio in Europa: «TI PREGO, torna a casa». Era l'inzio della spaventosa depressione che gli avrebbe ispirato — quando si dice l'ironia della sorte — il suo libro più amato in tutto il mondo: il memoir del 1990 Un'oscurità trasparente.
La depressione se ne andò, e poi tornò nel 2000. Certo che si sarebbe arreso al suicidio, scopriamo qui che Styron aveva preparato una lettera d'addio ai suoi fan, che per fortuna non fu necessario diffondere. «La battaglia che ho affrontato contro questa malattia», vi si legge, «è un successo che mi ha portato quindici anni di vita soddisfacente, ma alla fine la malattia ha vinto la guerra. Ognuno deve sforzarsi di combattere perché è molto probabile che vincerà la battaglia e quasi certo che vincerà la guerra. A tutti voi, sofferenti e non sofferenti, invio il mio sincero affetto».