(Segnalazioni culturali) Quel che resta della vera Sicilia (Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 23 febbraio 2013)
Ci fu un tempo in cui a Palermo si viveva nei tunnel della stazione ? «donne, bambini, anziani seduti per terra, o accomodati alla meglio su materassi sudici, difendevano il loro spazio vitale con la ferocia di bestie ferite» ? e qualche padre faceva prostituire la figlia in cambio di una scatoletta di carne. Nella campagna siciliana le condizioni erano, se possibili, peggiori: i contadini «vivevano come animali, con i loro animali. Il mulo che rappresentava il solo mezzo di sostentamento, oltre alle loro braccia, entrava per ultimo e usciva per primo da quell'unica stanza, in cui la famiglia contadina viveva e si accampava per la notte, a ridosso della schiena pulciosa della bestia e scaldandosi con il suo fiato». Erano anni, quelli tra lo sbarco degli americani e la presa del potere da parte della Dc, in cui la Sicilia fu amministrata direttamente dalla mafia. E in quello scenario per certi versi squallido, per altri epico, in una terra dannata eppure di fascino grandioso, si muove un gruppo di giovani amici. Hanno fatto la guerra, qualcuno la Resistenza. Sono figli di famiglie borghesi o aristocratiche, ma si pongono il problema della miseria materiale e morale in cui sopravvive gran parte dei siciliani. Li uniscono gli studi al liceo Umberto e l'idea di riscatto sociale e culturale, l'amore per la loro isola e il sogno di un socialismo compatibile con la libertà e anche con il libertinaggio intellettuale. Uno di loro, il protagonista del libro, è l'avvocato Nino Sorgi.Il suo primogenito con il tempo ha lasciato Palermo e ha fatto un mestiere diverso. Marcello Sorgi, ex direttore del telegiornale radio, del Tg1 e della Stampa, è uno scienziato della politica e del potere, di cui decifra i codici che poi spiega nei suoi editoriali. Ma ha coltivato anche la passione per la sua Sicilia con una serie di libri: La testa ci fa dire, un dialogo con Andrea Camilleri; Edda Ciano e il comunista, storia dell'amore nato a Lipari tra la figlia del Duce e un pescatore; Le amanti del vulcano, la disfida tra Ingrid Bergman e Anna Magnani; Il grande dandy, saggio biografico su Raimondo Lanza di Trabia. Insomma, da tutta la vita Sorgi sfiora la figura del padre. Ora ha trovato il coraggio di affrontarla, vincendo una serie di sentimenti, compreso il dolore per averlo perduto, con un libro (pubblicato da Rizzoli) con cui Sorgi conferma cose già note ai suoi lettori ? l'intelligenza fredda, la scrittura fine ? e mostra un'umanità che non è una sorpresa per chi lo conosce bene.Le sconfitte non contano è il titolo. Che si comprende solo all'ultima pagina. Quando, ricapitolando la propria storia ? gli amici caduti nella battaglia contro la mafia, i contadini uccisi o arrestati per aver occupato le terre, il declino culturale della sinistra, la vittoria definitiva del capitalismo, sia pure «molto diverso da quello feudale che ci trovammo a combattere nel dopoguerra» ?, Nino Sorgi e il figlio concludono appunto che «le sconfitte non contano, anzi servono egualmente a cambiare le cose, come le idee segnano sempre il solco della Storia. Riconoscerlo è una prova d'intelligenza, non il segno di una resa. Era questa la lezione di una vita. L'eredità che mio padre mi consegnava, in un tiepido e ammaliante pomeriggio romano di venticinque anni fa».Dell'eredità di Nino Sorgi, oggi messa in comune con il lettore, fa parte una galleria di personaggi che sarebbe riduttivo contenere in poche righe. La sua casa e il suo studio legale ? all'inizio un appartamento diviso con una famiglia, con una sala d'aspetto governata da un ex ferroviere divenuto guardia del corpo e un balcone su cui venivano sistemati polli, capretti e conigli vivi, «portati dalla campagna come doni e spesso anche come pagamento in natura» ? divennero il punto di riferimento di artisti, scrittori, giornalisti, cineasti di passaggio a Palermo. Nel libro si affacciano Girolamo Li Causi, Pompeo Colajanni, Paolo Robotti, Emanuele Macaluso e altri nomi leggendari del comunismo italiano, e poi Danilo Dolci, Ignazio Buttitta, i frati di Mazzarino, Carlo Levi che insegna a disegnare al piccolo Marcello, la redazione dell'Ora, i magistrati antimafia, Francesco Rosi, i grandi letterati siciliani a cominciare da Leonardo Sciascia, e ovviamente Enzo ed Elvira Sellerio. C'è la Sicilia antica ? memorabili le pagine sulle statue dei santi conservate nella villa di Mondello, con il sacro cuore di Gesù consultato come oracolo ? e quella che si modernizza a prezzo di sofferenza e di sangue. Ma, dovendo scegliere, i passi che rimangono più impressi sono quelli sulle battaglie giovanili di Nino Sorgi in difesa dei contadini che non sottostavano alle angherie dei mafiosi, pretendevano di dividere il raccolto secondo la legge (60 a loro e 40 al padrone), e sulla via di casa venivano circondati dai uomini a cavallo ? «quasi come in un western» ? che si riprendevano il grano, talora a fucilate. Morirono così cinquantacinque contadini. Solo una volta un agricoltore uccise un mafioso. Si fece undici mesi di carcere preventivo, prima che l'avvocato Sorgi lo facesse assolvere.Eppure, quando compare per la prima volta sulla scena, nelle pagine iniziali, il protagonista ha sul volto un sorriso, ironico e all'apparenza immotivato, che nel corso del libro non lo abbandonerà mai. Immotivato perché è un sorriso, anzi una risata liberatoria seguita a un naufragio, che rischiò di fare vittime illustri: la troupe de Il gattopardo, tra cui Claudia Cardinale, oltre a Suso Cecchi D'Amico, la sceneggiatrice, e a Franco Cristaldi, il produttore (Luchino Visconti e Alain Delon erano rimasti prudentemente a terra). Era stato proprio Sorgi a proporre una gita in barca alla riserva dello Zingaro, a bordo de L'aliante, residuato bellico affondato nel mare buio sulla rotta del ritorno. «Quel naufragio, di cui avrebbe riso sconsideratamente per anni, lo divertiva ? scrive oggi il figlio ? perché somigliava a un certo suo modo di essere e di vivere, e alla fine a lui stesso».