(Segnalazioni culturali) Il capitalismo dal volto umano (John Lloyd, la Repubblica, 22 febbraio 2013)

23.02.2013 07:52

Trovare il modo di domare e umanizzare il capitalismo — la missione che si sono proposti per un secolo i socialdemocratici — non è impresa da poco. Il sistema capitalista nelle sue svariate forme si è rafforzato grazie alla “vittoria” sul comunismo e il socialismo statalista dopo il collasso dell’Unione Sovietica e dopo che anche la Cina ha adottato i principi e la pratica dell’economia di mercato. Sembrava proprio, come era convinta Margaret Thatcher, che non esistesse alternativa al capitalismo libero di espandersi senza limiti.
Sono stati il crollo del 2008 e la crisi di lungo periodo che ne è seguita in Europa e nel resto del mondo ad aprire nuovi orizzonti. Questo non significa che le forze di centrosinistra siano state facilitate nell’andare al potere: di tutti i paesi europei solo la Francia ha un governo di sinistra e l’Italia potrebbe averne uno tra pochi giorni. Il significato del cambiamento è invece un altro: trovano molto maggiore ascolto che in passato le nuove idee e le proposte per la trasformazione del libero mercato in un fattore positivo — e non negativo — rispetto agli interessi degli individui.
Escono in questi giorni due libri, entrambi di autori britannici, che si collocano nel cuore di questo dibattito con approcci innovativi. L’autore del primo libro, Firm Commitment, (Oxford University Press, il titolo è un gioco di parole tra “impegno convinto” e “l’impegno dell’azienda”, ndr) è il professor Colin Mayer dell’Università di Oxford — ha fondato e diretto la business school di quell’Ateneo — ed è uno dei teorici più rispettati nel mondo della finanza e degli affari. Il secondo autore, Geoff Mulgan, è stato il principale consulente politico di Tony Blair e guida adesso la più importante agenzia britannica per la promozione dell’innovazione tecnologica. Il suo libro s’intitola: The Locust and the Bee. (La locusta e l’ape, con un sottotitolo indicativo: Predatori e creatori nel futuro del capitalismo, Princeton University Press, ndr)
Né l’uno né l’altro credono che il capitalismo sia in declino terminale: entrambi sono però convinti che, per usare le parole di Mayer, «la negligenza, l’incompetenza
le frodi delle quali si sono rese responsabili le “corporation” rappresentano un pericolo per la nostra sopravvivenza e quella del mondo in cui viviamo».
Si tratta di un giudizio pesante che riguarda le principali istituzioni economiche nella maggioranza delle economie mondiali, l’origine dei prodotti che compriamo e usiamo, la fonte dei servizi che ci sono necessari e delle occasioni di lavoro per tutti noi. Se davvero quelle istituzioni sono «un pericolo per il mondo in cui viviamo», allora è necessario fare qualcosa per cambiarle sostanzialmente.
Mayer è convinto che numerose società, specialmente quelle la cui proprietà è parcellizzata tra molti azionisti — come spesso negli Stati Uniti e anche di più in Gran Bretagna — operano in una pericolosa logica di breve periodo. Nel caso britannico, un azionista che nello spazio di pochi giorni acquista e vende azioni nella speranza di un profitto immediato, ha gli stessi diritti di un investitore di lungo periodo. È un po’ — scrive Mayer — come «se concedessimo il diritto di voto a quei cittadini che sono pronti a rinunciare alla cittadinanza il giorno dopo». Cercare di combattere questa tendenza alla estemporaneità non è possibile: le regole esistono per essere aggirate, mentre la responsabilità sociale dei grandi gruppi, industriali o finanziari, è efficace quanto un cerotto su una ferita purulenta. Mayer afferma che le società a proprietà
familiare — molto diffuse in Germania e in Italia — sono in genere più attente all’investimento di lungo periodo proprio perché la proprietà familiare ha interesse a preservare e reinvestire per garantire continuità.
Mayer crede anche nelle trust firm che si autoimpongono tre principi fondamentali: 1) valori proclamati pubblicamente dagli investitori, clienti, impiegati, azionisti e non dannosi per l’ambiente; 2) la garanzia del rispetto di questi valori da parte di un consiglio di amministratori fiduciari che non gestisce la società ma è garante degli interessi degli investitori; 3) il diniego del diritto di voto agli investitori di breve periodo e la garanzia agli azionisti di lungo periodo di ricevere un trattamento privilegiato, maggiore controllo, e la possibilità di trasmettere valori generazione dopo generazione.
Mayer vuole un capitalismo di lungo periodo e capace di proteggere gli interessi dei lavoratori, dei consumatori e dell’ambiente. Non si tratta di una proposta facile da realizzare e non risolverebbe un caso come quello dell’Ilva. Ma se l’Ilva fosse stata una trust firm, uno dei suoi valori sarebbe stata la protezione dell’ambiente e della salute della comunità di Taranto. Sarebbe forse stato più probabile che i suoi investimenti garantissero l’acquisizione di tecnologia per eliminare o almeno ridurre il rischio ambientale.
La società, prevede nel suo libro Mule gan, richiederà cambiamenti radicali. Il capitalismo, «vasto sistema in moto perpetuo che spinge e tira» — un po’ come un treno a vapore della prima industrializzazione — è allo stesso tempo fuori e dentro di noi, producendo una sensazione di inevitabilità delle cose. Nello stesso tempo cresce il senso di astrattezza al vertice, nelle sale delle direzioni delle grandi corporazioni e delle banche — in un mondo ben lontano da quello degli scambi dei beni e dei servizi e dalla vita di tutti i giorni. Mulgan è convinto che, se lasciato a se stesso, il capitalismo si sarebbe già autodistrutto: per sua fortuna le crisi — specialmente i crolli e le depressioni degli anni Venti e Trenta — hanno messo in moto, prima e dopo la guerra, gli interventi dello Stato, a loro volta motore di nuovi corsi, dello stato sociale e del dialogo tra capitale, lavoro e governo che hanno assicurato il futuro post-bellico del capitalismo.
Il messaggio di Mulgan è che il capitalismo deve e può essere civilizzato perché gli obiettivi della società non si valutano solo in moneta ma per la loro capacità di sostenere vite piene, ricche di relazioni, di appagamento e di affetti. Secondo l’autore di The Locust and the Bee questo non è soltanto idealismo: «Assistiamo al nascere di un’economia fondata più sulle relazioni che sui beni di scambio, sul fare più che sull’avere, sul mantenere più che sul produrre». Mulgan, poi, aggiunge consistenza al
suo obiettivo di «premiare quelle parti del capitalismo che a loro volta premiano la dimensione della vita di relazione ». Questo potrà avvenire grazie all’intervento dello Stato e delle istituzioni della società civile per raggiungere quell’equilibrio a misura d’uomo che non può nascere spontaneamente e allo stesso tempo, salvare la dimensione libertaria della società e del capitalismo anche al costo di cambiargli i connotati.
Sono abbozzi, non progetti dettagliati, ma aprono nuove strade tutte da esplorare per chi si riconosce nel centrosinistra. I pilastri della socialdemocrazia del secondo dopoguerra erano sindacati forti e responsabili, lo stato sociale, le politiche economiche keynesiane e una società liberale. Tutti risultati che sono adesso in pericolo e certamente indeboliti come mai prima d’ora.
La sinistra ha bisogno di nuovi approcci. La maggioranza dei partiti di sinistra non vuole più la nazionalizzazione delle grandi imprese e delle banche: al contrario quando queste sono sull’orlo del tracollo — come molte banche sono state e potrebbero ancora esserlo negli Stati Uniti e in Europa — approvano l’uso di fondi di Stato per tenerle in piedi. Questo non basta, i partiti della sinistra devono divulgare e rendere accessibili le idee proposte da Mayer e Mulgan: il capitalismo in tutte le sue forme è il servo, non il padrone della società e gli eccessi e gli errori di cui è responsabile e che hanno ferito e potranno ancora ferire la società devono essere corretti.
Stabilire nuove regole non è sufficiente. Come scrive Mayer, lo sappiamo bene in Italia, ma non solo: fatta la legge, trovato l’inganno. È necessaria una trasformazione profonda del diritto d’impresa che si preoccupi di garantire presente e futuro degli investitori così come di coloro che si spartiscono i dividendi. E il ruolo dei cittadini è quello di pretendere che il capitalismo sia responsabile davanti a loro delle proprie scelte: se vuole continuare a esistere e produrre profitto deve essere il primo a servire gli interessi della società.