(Segnalazioni culturali) Addio Dworkin filosofo dei diritti (Giancarlo Bosetti, la Repubblica, 15 febbraio 2013)

16.02.2013 09:11

Era uno dei più grandi teorici liberali dell`uguaglianza e della giustizia scomparso a 81 anni Ronald Dworkin, giurista e filosofo, una delle figure più citate al mondo nel campo delle controversie sui diritti, nelle quali ha portato il contributo di una riflessione morale, insieme a una capacità analitica di leggendaria sottigliezza e profondità. Americano, del Rhodes Island, è vissuto a cavallo tra Stati Uniti e l`Inghilterra, tra Harvard e Yale- dove si è formato e dove ha poi insegnato giurisprudenza - e Oxford, alternando in seguito incarichi prestigio sia New York e allo University College di Londra. Elegante, con le sue cravatte brillanti, l`espressione ironica, solo tre mesi fa Dworkin aveva lasciato il suo bianco e bellissimo appartamento di Belgravia, era venuto a Roma a ricevere dal presidente della Repubblica il Premio Balzan.

Lascia una vasta produzione che ha segnato la formazione di una cultura e di una mentalità liberale negli ultimi quarant`anni, dal 1977 quando uscì l`opera, precoce per l`autorevolezza con cui si impose nel mondo, I diritti presi sul serio, tradotto in italiano nel 1982. Si affacciava già lì una teoria etica dell`uguaglianza e del liberalismo incentrata sul principio che il buon governo e un buon ordinamento della giustizia devono «uguale rispetto e considerazione» a tutti gli individui indipendentemente dalle diverse possibili concezioni dellavita.

Il suo linguaggio era quello dei filosofi analitici, data la sua formazione (aveva studiato filosofia con Quine ad Harvard) e anche dell`analisi giuridica, alla quale aveva dedicato anni importanti di apprendistato in grandi studi legali di New York. La sua prima opera era un atto di sfida verso il positivismo giuridico dei suoi maestri (in particolare Hart, con il quale tuttavia mantenne un ottimo rapporto personale), verso cioè la dottrina legale per cui la verità degli enunciati consiste nella loro corrispondenza con le norme adottate da determinate istituzioni sociali. Ma Dworkin si distanziava anche dalle dottrine utilitaristiche secondo le quali il diritto ha la funzione di massimizzare il benessere collettivo. Se peri positivisti a determinare il diritto è, nelle forme più estreme, il comando del sovrano, e nelle forme più moderate è il "riconoscimento", comunque, di una autorità legittimata, non dunque la so stanza della questione all`esame, ma il pedigree dell`autorità, per Dworkin a decidere non sono vincoli di natura istituzionale o la sedimentazione di pratiche di accettazione sociale, bensì ragioni basate su prin- cipi: le decisioni giuridiche devono far valere preesistenti diritti politici. Lagiustiziaha dunque per lui uno sfondo morale.

Nell`Impero del diritto (1986) Dworkin fornisce un`opera unitaria, in cui difende il «diritto come interpretazione». Per lui la fonte dell`obbligo non può essere separata dalla comunità di riferimento; è questa il soggetto del diritto. Ma non si consegna a un relativismo senza regole, nel fluttuare di principi incommensurabili, pur rifiutando di abbracciare una teoria universalistica di stampo kantiano. E si rende così la vita difficile, come difficile è sempre la vita del buon giudice.

Non c`è dubbio che Dworkin sarebbe incorso nell`accusa di "monismo" daparte di Isaiah Berlin, dal quale ha più volte preso le distanze, anche nel recente Giustizia per i ricci (2011). Troppo scomodo e intrattabile per un giurista il pluralismo del pensatore di Riga, secondo il quale non vi è una sola risposta alle domande della filosofia sulla verità. Anche per questo il titolo è puntato esplicitamente sulla distinzione di Berlin tra "volpi" e "ricci", di cui alla celebre battuta dedicata a individuare le personalità cui si addice il motto delle prime (tante cose velocemente) rispetto ai secondi (una sola, ma in profondità). Il giudice deve dedicarsi a trovare l`unica e sola giusta sentenza. E Dworkin gli dedica anche un`altra metafora, quella di Ercole: e cioè forza, saggezza, una conoscenza totale delle fonti della legge e delle informazioni sul caso, e una grande quantità di tempo per decidere. Il giudice-Ercole-riccio è il giudice ideale e se nella realtà fosse veramente tale troverebbe l`unica soluzione vera e giusta.

Molte sue idee sono oggi parte di una koiné politico-filosofica: la concezione liberale dell`eguaglianza, prima di tutto, il che significa eguaglianza di risorse, diversamente da quanto pensano sia gli utilitaristi (eguaglianza di benessere) sia ovviamente gli egualitarismi estremi delle economie pianificate. Ma diversamente anche dalla prospettiva di Rawls di una eguaglianza di beni primari. Il liberalismo è per Dworkin una «moralità politica» necessaria al fondo di qualunque moderna prospettiva politica e in particolare a quella che gli era cara, quella che ha ispirato il "pacchetto del New Deal" ro oseveltiano, vale a dire un addomesticamento del capitalismo da considerarsi non un principio costitutivo della società ma un "derivato" largamente preferibile alle inique alternative della pianificazione autoritaria.

Di grande peso è stata, nel corso degli anni, la riflessione di Dworkin sui temi che hanno diviso la società americana sull`aborto e il fine vita. Qui ha esercitato tutto il suo equilibrio (in Life`sDominion, 1993, come tanti successivi articoli) nel tentativo cruciale di mettere in luce un terreno comune, tra il partito pro -choice e il partito pro-life: il rispetto per il valore intrinseco della vita, che tutti gli esseri umani sono in grado di percepire. Il giudizio negativo sull`aborto non ci consente tuttavia, secondo Dworkin, di giudicarlo un omicidio sulla base del principio dei "diritti del feto", dal momento che non si possono attribuire al feto, almeno fino a 24 settimane, diritti o interessi da tutelare, come se fosse una persona. La comune convergenza sul valore della vita deve dunque consentire di trovare un accordo.