(S.Sede/Riflessioni strategiche) La scelta del nuovo pontefice vista dalle Americhe (Luca Ozzano, Aspenia online, 12 febbraio 2013)
Una tendenza crescente degli ultimi conclavi è quella che ha visto una sempre maggiore presenza di cardinali provenienti da paesi non europei – seppure con una perdurante sotto-rappresentazione rispetto al numero di fedeli. Non è quindi impensabile che per la prima volta venga eletto un Papa di un altro continente: accanto a pretendenti come il cardinale Peter Turkson del Ghana e il cardinale Antonio Tagle delle Filippine, alcuni osservatori considerano come accreditati pretendenti al soglio papale alcuni prelati originari delle due Americhe.
Si tratta di un’area del mondo che non solo include quasi la metà dei cattolici nel mondo (poco meno di mezzo miliardo di persone in America Latina più altri 85 milioni in America del Nord), ma che è anche molto presente a livello cardinalizio. Dopo l’Europa, le due Americhe sono infatti i continenti più rappresentati tra i cardinali con diritto di voto al conclave, rispettivamente con 19 e 14 esponenti sui 117 totali. Si può quindi immaginare che i cardinali americani possano giocare un ruolo significativo nel conclave, e magari sostenere i propri candidati.
A questo proposito, uno dei nomi più citati è quello dell’arcivescovo di New York, nonché presidente del sinodo dei vescovi USA, Timothy Dolan. Prelato fortemente conservatore, è stato protagonista delle cronache quando si è opposto con fermezza all’amministrazione Obama sulla questione della contraccezione nelle polizze sanitarie dei dipendenti degli enti religiosi. Il ruolo “politico” svolto da Dolan durante l’ultima campagna presidenziale – quando ha mostrato implicitamente, con la sua partecipazione alla Convention repubblicana e alcune dichiarazioni, la propria preferenza per quella parte politica – potrebbe rappresentare per lui un limite. Ma anche, paradossalmente, un vantaggio, nel caso la Chiesa volesse proseguire nella crociata contro il relativismo morale intrapresa da Papa Ratzinger. È una linea che certamente sarebbe apprezzata dalla destra cristiana negli Stati Uniti, nella quale negli ultimi anni i cattolici hanno assunto un ruolo sempre più di guida, rappresentati non solo dal candidato alla vicepresidenza Paul Ryan, ma soprattutto dai due principali sfidanti “targati” Christian Right presenti nelle primarie repubblicane: Rick Santorum e Newt Gingrich.
La cosa certa è che un’elezione di Dolan al soglio papale collocherebbe il Vaticano in una posizione potenzialmente critica – se non di aperta contrapposizione – verso il neorieletto presidente USA. Allo stesso modo, sarebbe probabilmente sgradita ad una parte consistente del clero di base americano, che non ha condiviso la “svolta conservatrice” imposta da Dolan. Un altro svantaggio per le chances di Dolan potrebbe anche essere l’associazione troppo stretta, per l’immagine pubblica della chiesa a livello globale, tra la curia americana e i recenti scandali relativi alla pedofilia.
Un’opzione meno problematica per i cardinali nordamericani potrebbe quindi essere il canadese Marc Ouellet, già incluso nella lista dei papabili alla morte di Giovanni Paolo II e ora nuovamente ripreso in considerazione all’indomani dell’annuncio di Benedetto XVI. Membro influente della curia romana, egli potrebbe ricevere il sostegno anche dei prelati latinoamericani, dato che presiede la commissione pontificia dedicata a quella regione. Meno “politico” di Dolan, Ouellet si situa tuttavia a sua volta teologicamente sul versante conservatore, in particolare riguardo al Concilio Vaticano II – che egli ritiene essere stato interpretato in maniera troppo liberale dalla chiesa. Una scelta che sarebbe quindi di forte continuità rispetto all’esperienza di Ratzinger.
Proprio rispetto al Concilio Vaticano II, è naturale fare riferimento all’America Latina, che con la “Teologia della liberazione” ne ha fornito l’interpretazione che possiamo definire più progressista – producendo ricadute anche a livello politico, come la controversa partecipazione di esponenti cattolici ad alcune esperienze di governo marxista tra gli anni Settanta e Ottanta. Un’esperienza, non a caso, censurata quasi tre decenni fa proprio dal Cardinale Ratzinger, in qualità di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, su incarico di Giovanni Paolo II. In America Latina (come del resto in quella del Nord), gli ultimi due pontefici si sono caratterizzati per la nomina di prelati di matrice conservatrice, che hanno via via sostituito quelli che si ispiravano appunto alla teologia della liberazione. Così, anche i prelati sudamericani hanno posto spesso come prime voci della loro agenda le questioni legate alla famiglia e all’aborto, in modo non dissimile dai colleghi anglosassoni. Nonostante questa tendenza, alcuni dei principali pretendenti latinoamericani al soglio di Pietro nel prossimo conclave si distinguono da molti dei colleghi per una particolare attenzione per la giustizia sociale: è il caso dell’arcivescovo di San Paolo, Odilo Scherer, si è espresso in modo cautamente favorevole alla teologia della liberazione, almeno nei suoi aspetti non politici; o dell’honduregno Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, l’incaricato del Vaticano per trattare con le istituzioni finanziarie internazionali la questione del debito del terzo mondo.
Più in generale, a favore di un pontefice latinoamericano potrebbe pesare il fattore demografico, spingendo il conclave a prendere in considerazione che vivono nel continente il 40% di tutti i cattolici al mondo; così come il desiderio di arginare la pressione evangelizzatrice protestante, che ha inciso in modo particolarmente forte proprio in diversi paesi dell’America Latina.
Nel complesso, la possibilità dell’elezione di un candidato americano, in particolare del Sud, dipenderà però soprattutto dalla volontà o meno della Chiesa di riconoscersi finalmente globale: ciò riguarda il suo massimo vertice e, in prospettiva, una più equa ripartizione dei seggi cardinalizi tra i continenti. Una Chiesa cattolica che si apra di più al mondo dopo essersi aperta, con Wojtyla, all’Europa dell’Est, ma che ha faticato a intaccare il predominio europeo negli anni di Benedetto XVI.