Quale terra i miti erediteranno (Valerio Magrelli, la Repubblica, 6 marzo 2013)

07.03.2013 05:41

Verso l'inizio del Novecento, un mirabile triangolo intellettuale venne tracciato fra India, Russia e Germania. Come una specie di costellazione, i nomi di tre grandi pensatori si intersecarono in un cielo destinato a conoscere tutto l'orrore delle Guerre Mondiali. Eppure, la sintonia raggiunta fra questi uomini non rimase priva di eredità, e in certi casi arrivò a modificare la Storia del XX secolo. Stiamo parlando di un politico (Gandhi), un romanziere (Tolstoj) e un teologo martire (Bonhoeffer). Infatti, fra il 1909 e il 1910, il teorico della non-violenza scrisse all'autore di Guerra e pace. Tolstoj, le cui vedute rivoluzionarie avevano provocato la sua scomunica da parte della Chiesa ortodossa, rispose alle lettere ammirate di Gandhi in un clima di piena concordanza sui temi della pace e dell'antimilitarismo. Giusto vent'anni dopo, sarà invece Bonhoeffer a stringere un rapporto epistolare con il Mahatma, ossia la "grande anima" (come fu chiamata la guida spirituale dell'India).

A ricostruire tale impressionante convergenza filosofica, è Remo Bodei, in un intervento che compone, con quello di Sergio Givone, Beati i miti, perché avranno in eredità la terra (Lindau). L'idea di presentare una serie di brevi opere a quattro mani, caratterizza la nuova collana i Pellicani/le Beatitudini, nata per affrontare quella che viene considerata la "Magna Charta" del cristianesimo. Si tratta del Discorso della Montagna che Cristo tenne vicino al lago di Tiberiade, come si dice nel testo evangelico di Matteo 5, 5. Coordinato da Roberto Righetto con la collaborazione di Lorenzo Fazzini, il progetto editoriale prevede otto libri per altrettante Beatitudini e si è aperto con la prima, cioè Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli, a firma Gianfranco Ravasi e Adriano Sofri. Ad essa sono seguiti i testi sulle restanti sette, in cui compaiono, tra gli altri, studi di Franco Cardini, Luigi Ciotti, Franco Cassano, Goffredo Fofi, Luisa Muraro e Eraldo Affinati.

Ma torniamo ai contributi di Givone e Bodei su Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Il secondo, si è visto, si concentra sui grandi interpreti della mitezza evangelica in epoca moderna (e ai nomi menzionati occorrerà aggiungere almeno quello di un missionario come Schweitzer). La sua analisi, però, muove da un serrato confronto fra l'etica cristiana e quella aristotelica, per sottolineare come, in entrambe le visioni, la mitezza non escluda il ricorso a una "giusta ira" nei confronti del male o dell'indifferenza. Un simile parere contrasta fortemente con quanto diffuso nella società contemporanea, dove la mitezza è spesso assimilata alla passività, alla debolezza, alla mancanza di coraggio. Nessuno, d'altronde, potrebbe confermare tali posizioni meglio dello stesso Bonhoeffer, che nella sua pura fede non esitò a partecipare alla congiura per uccidere Hitler del 1944, ben nota come "Operazione Valkiria" - scelta pagata con l'impiccagione.

Diversa l'impostazione che Givone dà al proprio lavoro, intitolato Abitare la terra. Pur soffermandosi sull'etimo della parola "beati" (che traduce i mites del latino), pur confrontando i diversi significati che la mitezza assume nel pensiero greco e nella cultura giudaicocristiana (in particolare nell'Antico Testamento, con i Salmi, nelle lettere di san Paolo e nella concezione ascetica e mistica del cristianesimo tipica del Medioevo), il suo esame si orienta piuttosto sulla seconda parte del titolo, per indagare appunto il concetto di "eredità della terra" e la sua reinterpretazione formulata dal pensiero ecologico. Nel contrapporsi alla prospettiva laica di Bodei, l'impostazione religiosa di Givone pone l'accento sulla necessità di salvaguardare la terra ricevuta in eredità per le prossime generazioni. «I miti», leggiamo, «avranno in eredità la terra in quanto miti. Vale a dire: non c'è altro modo di ereditare la terra che disponendosi verso di essa in un atteggiamento di totale remissione, di totale accoglienza e di totale consenso».

La parte finale del testo affronta i movimenti più recenti, dal pacifismo degli anni Sessanta all'ecologismo dei nostri giorni, per abbracciare il neoumanesimo di Hans Jonas e la sua parola d'ordine: «Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza della vita umana sulla terra». Secondo il pensatore tedesco, saremo giudicati per come avremo lasciato la terra alle generazioni future. Da qui la conclusione, secondo cui bisogna custodire la terra opponendo, alla rapace violenza del dominio, la misura, la cura, insomma, la mitezza dell'ospite. Per questo Givone può concludere affermando: «Beati i miti, perché abitano la terra in modo che possa ancora essere abitata dopo di loro».