(Pakistan) Pakistan, violenze fra islamici di diverse confessioni non si placano (Giovanni Bensi, Meridiani, 14 febbraio 2013)

14.02.2013 11:26

In Pakistan, uno dei maggiori paesi musulmani, l’islam si caratterizza per varietà confessionali e differenze dettate da diverse tradizioni culturali.

L’islam sunnita fondamentalista, che sostiene gruppi estremistici come i taliban afghani, è rappresentato principalmente dalla corrente deobandi, così chiamata dalla città di Deoband nella regione indiana dell’Uttar Pradesh, dove sorse nel XIX sec. La controparte dei deobandi sono i barelvi che traggono il nome dalla città di Bareilly, sempre nell’Uttar Pradesh, dove si organizzarono nel XIX sec. e che preferiscono chiamarsi Ahl-e-Sunnat wa-l-Jama’at, “Gente delle tradizione e della comunità”. I barelvi appartengono all’islam tradizionale indo-centroasiatico basato sulle confraternite sufiche (mistiche) come la Naqshbandiya, il maggiore di questi gruppi. Anche il clero barelvi, come quello deobandi, ha le sue università e un’organizzazione politica, la Jami’at Ulema-e-Pakistan (Jup, Comunità degli ulema del Pakistan), affiliata alla coalizione Muttahida Majlis-e-Amal (Fronte Unito d’Azione) che vinse le elezioni legislative nel 2002.

La Jup fu fondata e diretta fino al 1971 da Allama Khwaja Qamar ud-Din Sialvi, morto nel 2003. Il suo successore, Allama Shah Ahmad Noorani Siddiqi, nello stesso anno cedette la carica a suo figlio Shah Anas Noorani che si dimise nel marzo 2008. Una presidenza ad interim è ora detenuta da Sahibzada Haji Muhammad Fazal Karim. Di recente il movimento barelvi ha intensificato i contatti con gli sciiti perché entrambi sono ostili ai taliban e hanno organizzato manifestazioni comuni contro di loro sia in Pakistan che in India. Anche il Sunni Tehreek (Movimento sunnita), partito politico vicino ai barelvi, ed il Shurat-e Ittihad (Consiglio dell’unità) che riunisce otto organizzazioni sunnite sempre di orientamento barelvi, hanno lanciato il Save Pakistan Movement per frenare il processo di “talibanizzazione”. I barelvi ritengono che i taliban siano il prodotto di una cospirazione globale anti-islamica e li hanno accusati di “fare il gioco” degli Usa per dividere i musulmani e screditare l’islam nel mondo. Alla corrente barelvi appartiene l’ex ministro degli esteri pakistano Shah Mehmood Qureshi.

Anche i barelvi non sono immuni dall’intolleranza e dal radicalismo di altri movimenti islamici del Pakistan. Nell’ultimo decennio del secolo scorso e nel primo dell’attuale si sono verificati episodi di violenza fra barelvi e deobandi. Il conflitto fra le due correnti si intensificò nel maggio 2001, quando scoppiarono disordini dopo l’assassinio di Saleem Qadri, leader del Sunni Tehreek. Nell’aprile 2006 a Karachi, una bomba esplosa in un’assemblea di barelvi intenti a celebrare la festa del Mawlid an-Nabi (la “Nascita del profeta”) uccise almeno 57 persone, compresi alcuni leader del Sunni Tehreek. Nell’aprile dell’anno seguente, sempre nella stessa occasione, furono gli attivisti di questo partito che cercarono di impadronirsi con la forza di una moschea a Karachi, uccidendo una persona e ferendone tre. Il 27 febbraio 2010 un gruppo di militanti, probabilmente taliban spalleggiati da deobandi dell’organizzazione Sipah-e-Sahaba Pakistan (Esercito dei compagni [del Profeta Muhammad] in Pakistan), che ha come scopo la lotta contro l’influenza sciita nel paese, attaccarono dei fedeli barelvi che celebravano il mawlid a Faizalabad e a Dera-Ismail-Khan. Il 4 gennaio 2011 l’ex governatore del Punjab, Salman Taseer, fu assassinato da un barelvi a causa della sua opposizione alle leggi sulla “bestemmia”. Oltre 500 ulema di orientamento barelvi non esitarono ad approvare l’omicidio e proposero di boicottare i funerali di Taseer.

Il governo pakistano non ha preso nessuna misura efficace per impedire le violenze interconfessionali e raramente ha indagato sui presunti colpevoli. Secondo dati forniti dalla organizzazione non govermativa Human Rights Commission of Pakistan (Hrpc), nel 2011 sono morte almeno 389 persone in seguito ad azioni violente motivate da intolleranza intraislamica.

In Beluchistan degli Hazara sciiti (un gruppo etnico di lingua persiana originario dell’Afghanistan centrale) sono stati ripetutamente aggrediti, fino all’assassinio di almeno 100 persone, senza che i colpevoli venissero arrestati. Per tutto il mese di settembre del 2012 sono stati uccisi in scontri con i sunniti almeno 320 sciiti. Gruppi estremistici sunniti, come la Lashkar-e Jhangvi (teoricamente fuorilegge) o la Lashkar-e Tayyiba (letteralmente “Esercito del bene”, comunemente tradotto anche come “Esercito dei giusti”) in vaste aree del paese godono praticamente dell’impunità. È noto in Pakistan che alcuni gruppi estremistici sunniti godano della protezione dell’esercito, dei servizi segreti Isi (Intelligence Service Interforce) guidati da Muhammad Zahir-ul-Islam, o dei gruppi paramilitari ad essi legati, come i Frontier Corps.

Il Pakistan è dilaniato da insanabili conflitti interconfessionali (e anche interreligiosi), da altrettanto gravi problemi sociali ed economici, e possiede anche l’arma atomica (come l’India) in un’area gravida di tensioni che va dall’, all’Afghanistan, Iran e Medio oriente. È chiaro che un paese in queste condizioni è un catalizzatore di instabilità e pericolo. E sembra non rendere giustizia al suo stesso nome, Pakistan, che significa “Paese dei Puri” (pak, appunto).