News da Misna (Corea del Sud, Colombia)

13.10.2014 17:05

Corea del Sud. Nonostante le tensioni che periodicamente salgono d’intensità, come lo scambio di colpi di armi pesanti venerdì in un’area limitata della linea d’armistizio che segna il confine provvisorio tra i due paesi, i tentativi di dialogo possono proseguire.

Questa almeno la visione sudcoreana ribadita oggi dalla presidente Park Geun-hye che ha però anche avvertito che il Sud resta pronto a rispondere in modo fermo alle provocazioni.

L’affermazione di Park acquista ancora più forza in quanto espressa durante la sessione plearia del Comitato preparatorio presidenziale per l’unificazione tra le due Coree, alla seconda sessione dopo quella di agosto. “Secondo un proverbio che indica che “il dialogo deve proseguire anche durante un conflitto’, dobbiamo proseguire con i colloqui per allentare le tensioni e rendere possibile la pace nella Penisola coreana”, ha segnalato Park, prima donna a accedere alla massima carica sudcoreana, con ampi poteri. Con lei, e anche con il predecessore, il cristiano Lee Myug-bak, alla linea del dialogo a ogni costo, degli aiuti incondizionati e degli investimenti in iniziative limitate ma significative, si è sostituito un atteggiamento di fermezza che nega molte delle richieste di Pyongyang, funzionali di fatto solo al sostentamento del regime, e una diversa organizzazione delle forze armate per potere rispondere in modo efficace ma anche ponderato a provocazioni armate al Nord.

Al momento, l’impegno per il dialogo è concentrato soprattutto sul tentativo di far ripartire i colloqui sul nucleare del Nord con il coinvolgimento di Cina, Giappone, Usa e Russia. Aperture in questo senso sono state segnalate Pyongyang, che sarebbe pronta a discutere un trattato che non fermi lo sviluppo ella tecnologia, ma ne blocchi di fatto la possibilità di utilizzo bellico.

Sono andate crescendo negli ultimi giorni le pressioni nordcoreane per fare avanzare l’iniziativa di dialogo sulla riunificazione. Una possibilità mai accantonata su entrambi i lati della linea d’armistizio, ma che differenza di regimi, abissali disparità di sistema economico e l’ostilità di Pechino a una iniziativa che teme allontanerebbe dalla sua influenza l’alleato nordcoreano sono stati ostacoli di tutto rispetto.

Colombia. “Sì, ho autorizzato io ‘Timochenko’ ad andare a Cuba..ma non significa che abbia abbassato la guardia di un solo millimetro”: così il presidente Juan Manuel Santos ha risposto alle polemiche confermando di aver dato personalmente il ‘via libera’ al massimo leader delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), Rodrigo Londoño Echeverri, alias ‘Timochenko’, per recarsi almeno in un paio d’occasioni all’Avana, sede dello storico processo di pace fra governo e guerriglia.

A chi “si sta stracciando le vesti”, il capo dello Stato ha segnalato che “alle Farc negli ultimi quattro anni è stato dato il colpo più duro che in qualsiasi altro momento della loro storia”. Già proprio con Santos come ministro della Difesa, nel precedente governo del conservatore Alvaro Uribe (2002-2010) ora suo acerrimo rivale, le Farc avevano subito la famosa ‘Operazione Jaque’ che aveva portato alla liberazione di Ingrid Betancourt e cominciato progressivamente a perdere i leader di riferimento, fino all’entrata in scena di Timochenko’ nel 2011, dopo l’uccisione del suo predecessore Alfonso Cano per mano dei militari.

“Affinché non si perdessero quattro mesi per consultarsi su qualsiasi decisione, ebbene sì ho autorizzato due volte il signor ‘Timochenko’ ad andare e risolvere i problemi che interessano e rapidamente” ha insistito il presidente.

Il ministero dell’Interno in una nota ha ricordato che il numero 1 delle Farc non ha mai partecipato formalmente ai colloqui. Per tutta risposta, in un ‘tweet’ Uribe ha accusato Santos di stare “consegnando la Colombia alle Farc”.