Libia: intervento militare o via diplomatica? (ISPI)

17.02.2015 15:20
A quattro anni esatti dall’inizio della rivoluzione in Libia che portò alla caduta di Gheddafi, il paese nordafricano torna al centro delle attenzioni delle cancellerie internazionali. La pubblicazione del video che mostra la decapitazione di 21 ostaggi egiziani per mano dell’ISIS ha scatenato la risposta dell’Egitto che da due giorni è impegnato in raid aerei contro le postazioni militari del gruppo islamista nell’est del paese. L’Italia, minacciata direttamente dai miliziani nel medesimo video, si è dapprima schierata a favore di un intervento militare per poi adottare una posizione meno interventista. In questo clima di violenza l’ambasciata italiana, l’ultima rappresentanza occidentale ancora attiva a Tripoli, è stata evacuata e, già nei giorni scorsi, era stato diramato l’ordine di lasciare il paese ai pochi connazionali ancora presenti nel paese. Mentre nelle principali capitali europee si sta ora discutendo su quale strategia adottare, il premier libico al Thani ha lanciato un appello a tutte le potenze mondiali affinché sostengano la Libia anche attraverso azioni militari.

Per analizzare e discutere circa le possibili soluzioni per la stabilità nel paese e il ruolo che può assumere l’Italia, l’ISPI ha organizzato per il 23 febbraio la tavola rotonda “Italia e Libia: cosa rischiamo, cosa si può fare”. (foto: Twitter)
Le posizioni internazionali: gli interventisti
L’Egitto si sta mostrando come il paese maggiormente favorevole ad un intervento armato in Libia. Subito dopo la pubblicazione del video, il presidente al–Sisi ha autorizzato i primi raid contro obiettivi dell‘ISIS a Derna e Sirte che sono proseguiti durante tutta la giornata di ieri. Il Generale Haftar, già sospettato nel 2014 di voler attuare un colpo di stato, si è felicitato dell‘operazione criticata però dal Congresso nazionale libico, ovvero il Parlamento sostenuto dalle milizie islamiche a Tripoli, che la ritiene un’aggressione alla sovranità nazionale. Mentre resta poco chiaro se l‘Egitto sospenderà gli attacchi, al–Sisi si è appellato al Consiglio di sicurezza dell‘Onu affinché adotti al più presto una risoluzione per un intervento internazionale in Libia. Il presidente egiziano ha già incassato il sostegno di Putin che si è detto pronto a cooperare attivamente contro la minaccia islamista.
 
Le posizioni internazionali: la via diplomatica
Dopo la dichiarazione del ministro degli Esteri Gentiloni secondo il quale l’Italia, minacciata direttamente dai miliziani nel medesimo video, sarebbe stata pronta a guidare un intervento armato in Libia sotto l’egida dell’Onu, il nostro paese ha assunto una posizione meno interventista, come affermato ieri dal premier Renzi. Secondo il ministro della difesa Pinotti il primo passo che dovrebbe compiere la comunità internazionale adesso è quello di mettere tutti i soggetti moderati intorno a un tavolo e favorire la stabilizzazione interna. Anche la Francia, che aveva guidato l’intervento militare del 2011, si mostra cauta e fa appello al Consiglio di Sicurezza affinchè si riunisca per decidere nuove misure.
 
Quanto è forte la presenza dell’ISIS in Libia?
La presenza dello Stato Islamico in Libia è in crescita, ma rimane numericamente poco rilevante. Non bisogna confondere le forze islamiche – di vario tipo – con ISIS. Nel settembre scorso, a Derna un primo nucleo di combattenti di ritorno da Siria e Iraq che costituivano la brigata al–Battar, circa 300 uomini, si é fuso con un gruppo di giovani jihadisti locali (Youth Shura Council) creando una enclave del Califfato in Libia. Al–Baghdadi ha inviato degli emissari che potessero fornire una visione strategica all’azione del gruppo, da qui una prima espansione nella zona di Sirte. Piccoli nuclei in giro per il paese si sono attivati dichiarandosi fedeli al Califfato, tuttavia il numero complessivo potrebbe essere di poco superiore al migliaio. Altri gruppi islamico–radicali come Ansar al–Sharia numericamente piú cospicui e in aperta lotta con le forze del gen. Haftar a Bengasi, si mantengono invece autonomi dal Califfato.
 
Com’è la situazione in Libia?
La Libia è oggi un paese diviso in due. Da una parte le milizie islamiste, legate alla Fratellanza musulmana, controllano la maggior parte della Tripolitania e dell’ovest. Dall’altra, le forze del generale Haftar mantengono le loro posizioni in diverse zone dell’est e assediano da settimane la città di Bengasi. A contribuire all’instabilità libica, rileva Arturo Varvelli, ISPI, si aggiunge la penetrazione di milizie jihadiste, che in alcune zone della Cirenaica si sono legate all’Isis. L’intervento di attori regionali nel contesto libico è uno dei fattori principali nella polarizzazione tra i due fronti. In questo contesto di caos, la posizione dell’Italia si basa sull’interesse a una mediazione tra i diversi gruppi e un accordo politico tra le parti come pre–condizione per una eventuale azione di peace–keeping, che avrebbe comunque degli altissimi rischi e andrebbe ponderata in tutte le sue conseguenze regionali.
 
Un possibile esito, positivo, degli attacchi dell’ISIS in Libia è evidenziato da Mohamed Eljarh in un articolo pubblicato dall’Atlantic Council. Secondo lo studioso gli episodi dei giorni scorsi possono costituire un incentivo per tutte le parti coinvolte nelle negoziazioni sulla Libia in corso a Ginevra a continuare il dialogo facilitando il compromesso tra i partecipanti. Un secondo esito potrebbe invece vedere un maggior protagonismo del generale Khalifa Haftar, grande vincitore della situazione che si è venuta a creare. Il deteriorsi della situazione e l’aumento della minaccia islamista potrebbero quindi favorire il generale che già nel 2014 aveva guidato l’operazione dignità contro le milizie islamiche a Bengasi. Infine, va tenuto presente che offrire loro una presenza occidentale sul suolo libico finirebbe per alimentare una nuova fortissima propaganda e favorirebbe una convergenza dei gruppi radicali sotto il cappello dell’ISIS, che potrebbero ricompattarsi nonostante le diversità.