(Libano) I diritti civili che lacerano il Libano (Marco Di Donato, AffarInternazionali, 22 febbraio 2013)

22.02.2013 15:28

Il dibattito politico libanese si aggrava di una nuova spina: il riconoscimento del matrimonio civile. In assenza di una direttiva univoca, in Libano ogni singola comunità religiosa regolamenta autonomamente le leggi concernenti lo statuto personale, rendendo nei fatti impossibile l'unione in matrimonio di due soggetti di diversa confessione.

Pubblico e privato
La mancanza di una giurisprudenza statale ha finora costretto tutti quei libanesi che intendevano celebrare un matrimonio misto a recarsi nella vicina isola di Cipro per poi tornare in patria e far riconoscere legalmente l'unione coniugale. La possibilità di contrarre matrimoni fra soggetti di confessione diversa, disancorando dunque l'istituto delle nozze dal vincolo di esclusività comunitaria, è una questione che non riguarda solo la sfera personale, ma soprattutto quella politica.

Le comunità libanesi tendono a conservare gelosamente il controllo sui propri affiliati, rendendoli totalmente dipendenti da un punto di vista religioso, politico, economico e sociale. Mantenere il controllo su un nuovo nucleo familiare che verrà a formarsi è un bene non solo per garantire la sopravvivenza della comunità, ma soprattutto per crescere numericamente e, quindi, anche in termini di potere. In una realtà piccola come il Libano, dove quattro milioni di abitanti si dividono in 18 diverse confessioni, i numeri sono parte integrante degli equilibri politici.

Per questo motivo quando i cittadini libanesi Kholoud Sukkariyah e Nidal Darwish hanno cancellato dalla loro carta di identità l'appartenenza confessionale e sono riusciti, in base al decreto n. 60 del 1936, a far sì che la loro fosse la prima unione civile (per civile si intende la difformità confessionale fra i coniugi) celebrata su territorio libanese, la politica locale ha immediatamente reagito.

Il decreto del 1936 permette a quanti non sono appartenenti ad alcuna confessione locale di fare riferimento alla legge civile concernente lo statuto personale, tutelati dalle garanzie del diritto individuale previste nella Costituzione. Il passaggio preliminare è stato dunque quello di “liberarsi” dall'etichetta confessionale (nella pratica cancellare la specifica confessionale dalla carta di identità) divenendo così soggetti legali indipendenti e aconfessionali che possono avvalersi delle deroghe previste dal decreto n. 60. Ed è proprio questo passaggio a spaventare in modo particolare le autorità politiche e religiose libanesi.

Tensioni inter-religiose
Il gran mufti Muhammad Rashid Qabbani ha emesso una fatwa apostrofando quanti si avvarranno del matrimonio civile come “apostati” ed “infedeli” che nel momento della morte non meriteranno nemmeno la sepoltura in terra islamica. La sua voce sembra essere tuttavia abbastanza isolata o quantomeno circoscritta all'ambito religioso sunnita. Già fra i sunniti di ispirazione laica (pensiamo in questo caso a Tayyar al-Mustaqbal) le posizioni sono diametralmente opposte.

Dall'Arabia Saudita infatti il leader sunnita del 14 Marzo Saad Hariri si è espresso con favore circa l'introduzione di una legge che regolamenti il matrimonio civile. Una mossa politica che mira a candidare il giovane Hariri come il propugnatore dei diritti civili in opposizione alle “retrograde politiche religiose degli sciiti di Hezbollah”.

A parte le già citate critiche mosse dell'establishment religioso sunnita, bisognerà altresì tenere nel giusto conto la volontà del Partito di Dio il quale, sebbene non abbia ancora assunto una posizione ufficiale in merito agli ultimi avvenimenti, nel 2011 si era già espresso negativamente circa la possibilità di inserire nel quadro legislativo libanese una legge civile concernente lo statuto personale.

Sempre sul fronte sciita, più netta sembra essere invece la posizione di Amal, che ha esortato la politica libanese a prendere le distanze dalla fatwa di Qabbani e sottolineata la necessità di aprire un tavolo di dialogo sulla questione. Lungo la stessa linea si sono indirizzati personaggi come il druso Walid Jumblatt e molta parte delle forze politiche cristiane. Cristiani che per ora sembrano particolarmente propensi ad un'apertura in merito con due ministri in carica nell'attuale governo (il ministro della giustizia Shakib Qortbawi ed il ministro degli interni Marwan Charbel) che hanno espresso il loro parere favorevole in merito ad un rapido riconoscimento del matrimonio civile.

I due hanno immediatamente seguito la linea dettata dal presidente della Repubblica Michel Suleiman, il quale aveva fin da subito accolto con favore il gesto di Sukkariyah e Darwish entrando in contrasto con le dichiarazioni del premier. Dall'ufficio del premier sunnita Najib Miqati, giunge tuttavia una brusca frenata, rendendo noto che il premier ritiene “una perdita di tempo inutile” aprire una discussione sul tema: il paese ha ben altri problemi.

Ristagno
Problemi seri. Come ad esempio la nuova legge elettorale. Se le forze politiche libanesi non riusciranno ad accordarsi su un testo comune in tempo utile, le legislative di giugno rischiano di essere posticipate. In un momento di tensioni regionali così forti, principalmente a causa della Siria, il Libano non può permettersi di ristagnare in un perdurante clima di incertezza politica: il dibattito sulla possibilità di celebrare o meno il rito civile in Libano non fa che rendere ancora più instabile il già fragile equilibrio interno. Inoltre dal punto di vista economico il paese sta affrontando una situazione difficile, con l'inflazione al 10% e la bilancia dei pagamenti che nel 2011/2012 ha fatto registrare un deficit di quattro miliardi di dollari.

Secondo Mounir Rached, consulente per il ministero delle Finanze libanese, nonostante il paese sia in recessione nessuna misura efficace è stata adottata per fronteggiare la situazione. A questo difficile scenario economico si aggiungono le violenze tra miliziani sunniti ed alawiti a Tripoli e più in generale una sensazione di insicurezza, a partire dalle zone di frontiera con la Siria. In un contesto del genere quella del matrimonio civile può essere una battaglia nella quale impegnarsi per combattere in realtà una guerra molto più vasta.

I partiti più piccoli e con un seguito meno ampio cercano dunque di trovare nuovi voti in vista delle elezioni sponsorizzando il riconoscimento legale del matrimonio. Altri partiti più forti (si veda Hezbollah) preferiscono invece mantenere per ora una posizione silente, consapevoli dell'ambiguità della questione ed evitando di essere trascinati in un confronto che potrebbe sfavorirli. Del resto il futuro del Libano si giocherà in relazione ad altre tematiche legate alla sicurezza, alla ripresa economica, ma soprattutto alla gestione della crisi siriana.

Marco Di Donato è dottorando presso l'Università degli Studi di Genova e presidente del Centro Italiano di Studi sull'Islam Politico (CISIP). Svolge attività di giornalista per la testata Osservatorioiraq.it .