Le 'primavere' secondo Gilbert Achcar (osservatorioiraq.it, 4 marzo 2013)

05.03.2013 16:32

L’Occidente non ha capito nulla delle insurrezioni del 2011. Parola di Gilbert Achcar*, che in questa intervista parla di risultati elettorali scontati e di un Qatar che ha comprato i Fratelli Musulmani come se fossero una squadra di calcio.

 

 

di Christophe Ayad – traduzione a cura di Francesca Manfroni

 

Come descrivere ciò che sta accadendo nel mondo arabo dal 2011?
 
Per il mio libro ho scelto una parola neutra: "insurrezione". Ma sin dall'introduzione, parlo di processi rivoluzionari di lungo periodo. Mi è sempre stato chiaro che stavamo assistendo all'inizio di un’esplosione. L'unica cosa che possiamo prevedere con certezza è che ci vorrà molto tempo.

Per Emmanuel Todd la ragione di quanto accaduto va ricercata nel boom demografico. Lei invece propende per una ‘spiegazione marxista’.

La fase durante la quale il mondo arabo si è contraddistinto per la rapida crescita della sua popolazione è finita più di 20 anni fa. Al contrario, nel 2010 lo sviluppo era bloccato, in netto contrasto con il resto del mondo. Lo stesso è successo anche in Africa sub-sahariana. Tra i segnali più evidenti, una disoccupazione record soprattutto tra i giovani.

Oltre a ciò bisogna considerare l’altra caratteristica tipica del capitalismo in salsa mediorientale: sono tutti rentier State, anche se a livelli diversi, dominati da un sistema patrimonialistico che fa capo a un clan che possiede lo Stato attraverso l’ereditarietà.

Le rivoluzioni arabe si sono tradotte in politiche di liberalizzazione, ma non in cambiamenti sociali. Perché?

In Egitto e in Tunisia è caduta solo la punta dell’iceberg, vale a dire i despoti e il loro entourage. Inoltre, in entrambi i paesi, l’ordine dello "stato profondo" – ovvero l'amministrazione, gli apparati di sicurezza - non è stato sovvertito. Per ora, solo in Libia si è verificato a un cambiamento davvero radicale: non c’è più Stato né esercito.

Per l’Occidente la vittoria elettorale degli islamisti è stata una sorpresa, anche perché non sono stati loro a lanciare queste rivoluzioni...

Le aspettative dell’Occidente, racchiuse nell’uso romantico dei termini “Primavera" e "gelsomino", si sono basate su un fraintendimento della situazione. Era evidente che i fondamentalisti avrebbero beneficiato del loro essere – sin dalla fine degli anni ‘70 – una forza egemone nell’ambito dei movimenti di protesta popolare.

Non hanno fatto altro che colmare il vuoto lasciato dal fallimento del nazionalismo arabo. La paura dei fondamentalisti è anche il motivo principale per cui i governi occidentali hanno sempre appoggiato i despoti.

Con il sostegno finanziario del Golfo e di Al-Jazeera, non potevamo che sperare che succedesse qualcosa di diverso. Ciò che mi sorprende invece è che queste vittorie non sono state affatto schiaccianti. In Egitto, il voto fondamentalista si è sbriciolato velocemente davanti ai nostri occhi, così come in Tunisia Ennahda ha solo il 40% dei suoi iscritti. In Libia, i Fratelli Musulmani sono stati sconfitti. 

La sorprendono le difficoltà che stanno affrontando gli islamisti al governo?

In primo luogo, va detto che il ritorno al dispotismo non è possibile. Si deve necessariamente passare per l'esperienza dell’islamismo al potere. Le correnti integraliste hanno costruito la loro opposizione su un semplice slogan: l'Islam è la soluzione. Ma è un concetto completamente vuoto, che ha funzionato in un contesto di povertà e ingiustizia in cui si può vendere un’illusione.

Gli islamisti hanno venduto oppio al popolo, ma ora che sono al potere non possono più farlo. Devono risolvere i problemi della gente. Hanno preso il timone in condizioni non invidiabili e non hanno alcun programma economico.

(…) 

Si può esportare il modello turco nel mondo arabo?
 
Non sono dei Fratelli a comandare la Turchia, ma una forza modernista che si è riconciliata con il principio di laicità. L'Akp è la versione islamica della democrazia cristiana europea.

La Fratellanza è invece un’organizzazione fondamentalista che sostiene l’applicazione della shari’a e considera la parola laicità un insulto. Anche dal punto di vista economico non ha nulla a che fare con il partito di Erdogan, che incarna un piccolo capitalismo industriale contro un’economia di rendita, basata sul  profitto a breve termine. 

Che ne pensa dell'influenza del Qatar su queste rivoluzioni?
 
Si tratta di un enigma. Alcuni leader collezionano auto o armi, l'emiro del Qatar preferisce giocare alla politica estera. Ha ‘acquistato’ i Fratelli Musulmani come se fosse una squadra di calcio.

C’è un uomo che ha avuto un ruolo fondamentale in questa nuova alleanza - che ricorda quella tra Mohamed ben Abdel Wahab [predicatore, 1703-1792] e la dinastia Saud nel XVIII secolo, - è lo sheikh Qaradawi, leader spirituale dei Fratelli Musulmani, ospite di lunga data del Qatar e di al Jazeera. E questo avviene in un paese dove l'emiro non tollera alcuna opposizione. 

Come spiegare la compiacenza degli Stati Uniti verso i Fratelli Musulmani?

Tutto ha inizio sotto l'amministrazione Bush. Per i neoconservatori è stato il dispotismo nazionalista ad aver generato il terrorismo, quindi era necessario rovesciare dittatori come Saddam Hussein per diffondere la democrazia nell’area.

E’ stata proprio Condoleezza Rice a rinnovare l’alleanza siglata già nel 1950-1960, ma la vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi ha bloccato il processo di avvicinamento. Poi Obama, che ha ereditato una situazione disastrosa in Medio Oriente, è sembrato indeciso e cauto. E quando la situazione è esplosa, il presidente democratico ha scelto di far finta di appoggiare la piazza.

Washington è ossessionata dalla stabilità e dal petrolio. E questa ossessione si traduce nella ricerca di alleati che abbiano un seguito popolare. 

Perché l'intervento della Nato è stato possibile in Libia e non in Siria?
 
In Siria, siamo di fronte a un rischio di caos alla libica, ma in un’area ben più pericolosa e alla presenza di Russia e Iran. La Nato lo ha detto sin dall’inizio che non sarebbe intervenuta. La questione non è "Perché l'Occidente non interviene in Siria", ma "Perché impedire la fornitura di armi ai ribelli?".

Il motivo di fondo è la paura che suscita il movimento popolare siriano, e il risultato è il deterioramento della situazione. Il regime siriano finirà per cadere, ma a che prezzo?

La miopia dei governi occidentali è sconcertante: con il pretesto di non ripetere gli errori commessi in Iraq, vale a dire lo smantellamento dello stato baathista, fanno peggio. Con la conseguenza che oggi i siriani sono convinti che l'Occidente li abbia lasciati autodistruggersi per proteggere Israele. 

La sinistra anti-imperialista vede un complotto americano dietro a queste rivoluzioni ...

Il fatto che le rivolte popolari siano supportate, per opportunismo, dalle potenze imperialiste non giustifica il sostegno alle dittature. La teoria del complotto americano è ridicola. Basta vedere l'imbarazzo di Washington. Ed è ovvio che dopo 40 anni di totalitarismo vi sia il caos. Ma come Locke, io preferisco il caos al dispotismo, perché almeno ho una scelta.

 

* Docente presso la Scuola di Studi Orientali e Africani (SOAS) di Londra, Gilbert Achcar è uno dei migliori analisti del mondo arabo contemporaneo. Nato nel 1951, ha lasciato il Libano nel 1983. Ha successivamente insegnato all'Università di Parigi-VIII, poi al Centro Marc Bloch di Berlino.