(Kirghizistan) Miniere, clan e politica: l’economia traballa in Kirghizistan (Fabio Belafatti, Meridiani, 21 febbraio 2013)

22.02.2013 05:16

Nei prossimi giorni il governo kirghiso dovrebbe ultimare la revisione del contratto per la gestione della colossale miniera d’oro di Kumtor, il fulcro dell’economia del paese. ll governo vuole estrarre più tasse dalla compagnia che gestisce il sito, la canadese Centerra.

Da 17 anni la miniera d’oro di Kumtor è gestita dalla compagnia canadese Centerra, con una partecipazione al 33% del governo kirghiso. Kumtor è la principale industria del paese centroasiatico: l’oro che esce da questa miniera corrisponde al 50% delle intere esportazioni kirghise ed è responsabile per il 12% del Pil nazionale. Cifre che danno un’idea dell’importanza dell’impianto, ma anche delle scarse dimensioni dell’economia kirghisa, così dipendente dal settore minerario e legata a doppio filo ad una singola azienda.

I dati interessanti non finiscono qui: la Centerra paga allo Stato kirghiso il 14% di tasse sui guadagni, contro il 17-20% pagato in media dalle altre compagnie minerarie che operano nel paese. La Centerra è spesso indicata come responsabile di gravi squilibri ambientali nel paese ma versa allo Stato solo 300.000 dollari l’anno per compensare questi disagi (cifra che nel 2012 corrispondeva solo allo 0.07% dei suoi profitti).

La posizione dell’azienda nel paese è all’apparenza invidiabile. Merito del precedente presidente, il corrottissimo Kurmanbek Bakiyev, che offrì condizioni più che vantaggiose alla Centerra per operare in Kirghizistan. Tutto questo però sembra destinato a cambiare.

Il nuovo regime politico, emerso dalla rivoluzione/colpo di Stato che nel 2010 ha rimosso Bakiyev, ha messo subito mano agli accordi con Centerra. Nel 2012 il governo arrivò persino a minacciare di nazionalizzare la compagnia. Le azioni della Centerra crollarono e il mondo affaristico minerario mondiale rimase col fiato sospeso per mesi. Poi, preso forse atto dell’impossibilità di gestire Kumtor senza massicci investimenti stranieri, il parlamento kirghiso respinse la proposta di nazionalizzazione a favore di una rinegoziazione del contratto.

Cosa ha reso così precaria la posizione di un’azienda che per peso economico sembrerebbe capace di cambiare le sorti dell’intero paese? In una parola, i clan. La politica del Kirghizistan è quasi completamente nelle mani di clan locali che si spartiscono potere, risorse economiche e possibilità di business. 

Per fare affari un’azienda ha bisogno di assicurarsi l’appoggio dei clan giusti, e ogni volta che c’è un cambio violento al vertice della politica nazionale (come già successo due volte in otto anni), la posizione delle compagnie straniere va ridiscussa per assicurarsi che i clan vincenti possano prendersi la loro fetta di torta. Non è possibile affermare che Centerra fosse e sia coinvolta in questo tipo di affari, ma se non lo fosse sarebbe un caso unico di business che prospera in Asia centrale senza appoggi politici.

Le compagnie che  accettano questo meccanismo ottengono in cambio un paradiso di profitti (se la situazione politica resta stabile). I clan tendono a “mungere” le compagnie straniere e a estrarre risorse per mantenere la propria rete clientelare. Quando un’azienda non si piega a queste richieste, la forza di mobilitazione dei clan può radunare ampio sostegno popolare a favore della ridiscussione degli accordi, magari facendo dei “problemi ambientali” un buon catalizzatore di attenzione.

Un cambio di leadership non rappresenta solo una sostituzione di cariche: in un paese come il Kirghizistan, diventa un’occasione per trasformare le regole del gioco e spingere le compagnie straniere a pagare di più. A guadagnarci sono soprattutto i clan: nell’era di Bakiyev, il clan al potere guadagnava direttamente e personalmente dalle attività della miniera di Kumtor. Ora i nuovi clan stanno ancora lottando per accaparrarsi il potere economico e devono anche inventarsi nuovi modi per incanalare le risorse statali a proprio vantaggio.

Il sistema mina il rispetto per i diritti di proprietà, con effetti devastanti sulla capacità di attirare investimenti esteri. Ogni successo del settore privato potrebbe in qualsiasi momento essere annullato da confische arbitrarie e da logiche clientelari. L’economia finisce col dipendere sempre più da poche grandi aziende strettamente legate al sistema politico e disposte a giocare secondo le regole dell’arbitrio autoritario, mentre la piccola impresa annaspa.

Il rischio è che nel mezzo a questo folle gioco di potere tra clan, un calo dei profitti di una singola azienda abbia un impatto immenso sull’economia nazionale. È questo il caso della Centerra stessa: nel 2011, una manifestazione della popolazione locale bloccò l’estrazione mineraria per qualche giorno causando un crollo della crescita del Pil dal +8,5% al +5,7%. Nell’inverno 2012, dieci giorni di sciopero dei lavoratori della Centerra causarono un calo tale nella produzione. La banca centrale kirghisa dovette rivedere le stime della crescita del pil dal +5,7 al -0,9.

Il risultato è quindi un win-win game nel breve termine per l’élite al potere e per le aziende, che prosperano nella collaborazione reciproca, ma nel medio-lungo termine a rimetterci è la qualità dell’ambiente degli affari, l’economia nel suo complesso e il benessere della gente.