In giro per il mondo (Misna, 27 marzo 2013)

27.03.2013 10:43

(Brasile) DAI SUPERMERCATI NO A BOVINI ALLEVATI ILLEGALMENTE IN AMAZZONIA

“La difesa dell’ambiente ha molto più senso quando il settore economico dimostra che la sua attività va ben oltre il guadagno, che vuole una società giusta ed equa”: così il vice-procuratore generale della Repubblica Mario Gisi ha commentato l’impegno assunto dall’Associazione brasiliana dei supermercati di non acquistare carne di bovini allevati in aree deforestate dell’Amazzonia.

L’Associazione ha firmato un accordo con la Procura generale assumendo la responsabilità di rispedire al mittente la carne proveniente da aree in cui siano state comprovate irregolarità ambientali o sociali, inclusi l’invasione di terre demaniali da parte di allevatori e la pratica del lavoro in forma di schiavitù. L’intesa prevede che l’Associazione impegni inoltre gli oltre 2800 negozi associati a promuovere e sostenere le comunità tradizionali che si battono per la preservazione dell’ambiente.

Accordi analoghi per togliere dal mercato beni prodotti illegalmente in Amazzonia sono stati già sottoscritti dalla Procura con i rappresentanti dei macellatori di bovini, dei conciatori di pelli, dei produttori di scarpe di cuoio ma anche degli acquirenti di soia, la cui espansione, al pari dell’estrazione illegale di legname e dell’allevamento, è tra le principali cause della devastazione del ‘polmone’ del pianeta.

(Colombia) TERRA E VIOLENZA POLITICA, UNA SENTENZA STORICA

Il Tribunale superiore di Bogotá ha ordinato la restituzione di 70 ettari di terra sottratti con la forza nel 1991 a un dirigente comunale della Unión Patriótica (Up), schieramento di sinistra letteralmente sterminato dai paramilitari, dai narcotrafficanti e dalle forze governative fra gli anni ‘80 e ‘90.

Si tratta del primo riconoscimento a familiari dei militanti dell’Up assassinati dall’entrata in vigore della cosiddetta ‘Legge delle vittime e della restituzione delle terre’, nel gennaio 2012, e giunge proprio mentre lo schieramento cerca di recuperare la personalità giuridica persa nel 2002. Fonti di stampa precisando che beneficiari della storica sentenza sono la moglie e i tre figli della vittima, di cui non è stata svelata l’identità. Il terreno strappato ai legittimi proprietari si trova in località Servitá, nelle campagne di Villavicencio, nel dipartimento centrale di Meta.

Secondo gli inquirenti, il proprietario cominciò a ricevere minacce di morte da uomini armati nel 1991 affinché cedesse la fattoria per 10 milioni di pesos dell’epoca (circa 4000 euro oggi) che mai gli furono versati; fu quindi costretto a vendere il lotto, passato in mano a un narcotrafficante, prima di essere ucciso. Il tribunale ha stabilito chela vendita del terreno fu frutto di “pressione indebita” annullando così il contratto e offrendo alla famiglia la possibilità di recuperare la proprietà. Casi analoghi, secondo la stessa corte, sono stati segnalati in 23 dei 29 comuni del dipartimento di Meta.

L’Up nacque nel 1985 grazie a un accordo tra il governo di Belisario Betancur (1982-1986) e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), nel primo processo di pace formale fra le parti, infine fallito. Dalla sua fondazione, l’Up fu oggetto di una campagna di sterminio in cui si contarono – secondo le stime più accreditate, essendo sempre stato impossibile stilare un bilancio certo – oltre 4000 vittime tra dirigenti e militanti, inclusi due candidati alla presidenza, 13 parlamentari, 70 consiglieri comunali e 11 sindaci.

(Mali) VERSO MISSIONE PEACEKEEPING ONU, RISCHI E CONDIZIONI

“Vista la natura e l’importanza della minaccia residua, una forza parallela alla missione Onu sarà assolutamente necessaria in Mali per svolgere operazioni importanti sia di combattimento che di contro-terrorismo”: lo precisa il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in vista del prossimo voto di una risoluzione da parte dei 15 Stati membri del Consiglio di sicurezza che a breve dovrebbero dare il loro consenso all’invio di caschi blu. La missione, che dovrebbe essere dispiegata entro luglio,  potrebbe coinvolgere fino a 11.200 uomini.

“I caschi blu non hanno l’esperienza né l’equipaggiamento necessario per svolgere questo tipo di missione, quella della lotta al terrorismo” aggiunge Ban nel suo rapporto, in cui, però, non si precisa da quale parte potrebbe venire il sostegno all’ Onu. Alcuni analisti hanno già sottolineato che le Nazioni Unite auspicano il mantenimento della presenza militare francese in Mali. Altre interpretazioni hanno invece evidenziato che rimane ancora in piedi l’opzione Misma, cioè la Missione internazionale di sostegno al Mali a comando africano. A lei, appoggiata dai soldati maliani, potrebbe essere assegnata un ruolo offensivo nei confronti dei gruppi estremisti e di stabilizzazione, mentre all’Onu toccherebbe una missione di natura più politica. “I caschi blu dell’Onu saranno in numero sufficiente per garantire la sicurezza delle zone popolate considerate più a rischio” precisa il rapporto a firma di Ban, consegnato al Consiglio di sicurezza, aggiungendo che “prima del dispiegamento dovranno essere riunite le condizioni politiche e di sicurezza”.

Dall’11 gennaio è in corso un’operazione militare francese Serval, attuata assieme ai soldati di Bamako, del Ciad e di altri paesi dell’Africa occidentale; dopo aver ripreso il controllo dei tre capoluoghi settentrionali di Kidal, Gao e Timbuctù, ora le forze sono impegnate a ristabilire pienamente la sicurezza e a dare la caccia a elementi di Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi) nascosti nei territori montuosi all’estremo nord-est del paese, tra cui il massiccio del Tigharghar.

“Anche quando l’integrità territoriale del Mali sarà stata pienamente ristabilita, numerosi rischi permarranno: gli attacchi dei gruppi terroristi, la proliferazione di armi, il traffico di droga e altre attività criminali, ordigni non esplosi e seppelliti” ha avvertito il segretario generale. La lettura dell’attuale situazione politica maliana fatta da Ban è di segno negativo: “Il processo politico registra un ritardo pericoloso e non sono riunite le condizioni per un voto libero, credibile e pacifico. In assenza di riconciliazione non c’è posto per un dibattito costruttivo, anzi lo svolgimento di elezioni potrebbe generare altra instabilità e violenzE” conclude il rapporto.

 Dal terreno investigazioni realizzate dall’organizzazione di difesa dei diritti umani Human Rights Watch (Hrw) hanno accusato le forme armate di Bamako di aver torturato sette uomini sospettati di essere vicini ad Aqmi durante l’operazione di riconquista del nord. I sette, tutti di etnia tuareg, hanno raccontato di essere stati picchiati mentre i loro corpi portano segni evidenti di tortura; un acido iniettatoli avrebbe bruciato la loro pelle. Non sono le prime accuse mosse nei confronti dell’esercito maliano, ma per il governo di Bamako, che si è impegnato a processare eventuali colpevoli, queste violazioni sono “soltanto casi isolati”.