In giro per il mondo (Misna, 25 marzo 2013)
(Capo Verde) SVILUPPO NELLE CAMPAGNE CON “OPORTUNIDADES”
Creare opportunità di lavoro nelle campagne, favorendo la nascita di piccole imprese gestite da donne e da giovani: è l’obiettivo di un programma governativo teso anche, come sottolineano fonti della MISNA a Capo Verde, ad arrestare il flusso dei contadini che dalle zone rurali si spostano nelle città dell’arcipelago.
Secondo il portale di informazione Africa21, “Oportunidades” prevede stanziamenti per 26 milioni di dollari e ha una durata di sei anni. L’allocazione dei fondi è prevista dal Programma di lotta contro la povertà nelle zone rurali, un’iniziativa avviata nel 2000. Secondo il primo ministro José Maria Neves, i finanziamenti alle donne e ai giovani per l’avvio di attività imprenditoriali dovrebbero contribuire a ridurre dal 24 al 20% entro il 2018 la quota di popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà.
“Le piccole imprese – dice alla MISNA padre Gilson Frede, un missionario cappuccino – potrebbero diventare uno strumento in grado di diversificare l’economia e garantire fonti di reddito preziose”.
Di sicuro, lo sviluppo rurale è l’unica via per arrestare il flusso di migranti che dalle campagne si spostano nelle città. “Verso la capitale Praia e verso Mindelo – sottolinea padre Gilson – è in corso un vero e proprio esodo”. Un esodo per tanti versi simile a quello che, nel corso degli anni, ha portato via dall’arcipelago centinaia di migliaia di capoverdiani emigrati in Europa o negli Stati Uniti.
(Centrafrica) BANGUI: RIBELLI AL POTERE, BOZIZÉ INTROVABILE
Regna l’insicurezza e l’incertezza a Bangui dopo il colpo di stato della coalizione Seleka che, nel fine settimana, ha raggiunto l’obiettivo stabilito dai ribelli già da tempo: destituire il contestato presidente François Bozizé, al potere dal 2003, a sua volta con un putsch militare.
I paesi africani confinanti ma anche la Francia e gli Stati Uniti hanno chiesto al nuovo uomo forte, il capo ribelle Michel Djotodia, autoproclamatosi presidente, di “ristabilire la legge e l’ordine nella capitale, di rimettere in servizio la distribuzione di luce e acqua”, ma soprattutto di “rispettare gli accordi di pace di Libreville (firmati lo scorso 11 gennaio, ndr) e i diritti umani dei cittadini”. In un comunicato della presidenza dell’ex potenza coloniale, François Hollande ha affermato di “aver preso atto della partenza del presidente Bozizé” e ha invitato “tutte le parti alla calma e al dialogo attorno al governo di unità nazionale” istituito dagli accordi di Libreville. Parigi ha rafforzato il proprio dispositivo a Bangui, dispiegando altri 350 soldati arrivati da Libreville, per “garantire la sicurezza dei cittadini francesi (in circa 1200, ndr) e stranieri residenti in Centrafrica” si legge in una nota del Quai d’Orsay, portando così a 600 il numero di militari d’Oltralpe.
Nel suo primo intervento ufficiale, Djotodia, capo della Seleka, si è impegnato a “rispettare lo spirito di Libreville” e a mantenere alla guida del governo di unità nazionale il primo ministro in carica, l’oppositore Nicolas Tiangaye, con il quale ha già avuto un colloquio. Djotodia, alla guida del ministero della Difesa prima del colpo di stato, ha anche promesso di “organizzare elezioni libere e trasparenti entro tre anni”. Rivolgendosi alle forze politiche pro-Bozizé, il leader ribelle ha detto che “se si trovano ancora a Bangui, possiamo mantenere in carica anche i ministri dell’ex potere, poiché le nostre porte sono aperte a tutti”, assicurando che “non siamo qui per operare una caccia alle streghe, né per un’opera di vendetta o esclusione, ma siamo venuti per i centrafricani”.
Fonti di stampa centrafricana ed internazionale hanno sottolineato che i miliziani sono riusciti ad entrare nella capitale dopo un’offensiva lampo e scontri limitati nei quali, tuttavia, almeno 14 soldati sudafricani hanno perso la vita. Lo scorso gennaio il presidente sudafricano Jacob Zuma aveva autorizzato il dispiegamento in Centrafrica di 400 militari a sostegno del potere e per tentare di ristabilire la pace, nell’ambito della Forza multinazionale dell’Africa centrale (Fomac), composta per lo più da ciadiani e camerunensi. Finora non si ha notizia di eventuali vittime civili, ma soltanto di alcuni feriti trasportati negli ospedali locali dalla Croce Rossa. Inoltre sono stati segnalati saccheggi su vasta scala commessi da uomini armati ma anche dalla gente, sia all’interno di negozi che di abitazioni private, mentre parte della popolazione è rimasta chiusa dentro casa, memore del colpo di stato con il quale, proprio dieci anni fa, il 15 marzo 2003, Bozizé destituì l’allora presidente Ange Félix Patassé. Le unità della Fomac e i soldati francesi sono stati dispiegati per le strade del centro di Bangui per ristabilire la sicurezza.
Durante l’avanzata dei ribelli verso Bangui, cominciata mercoledì sera a più di 160 km a nord della capitale, centinaia di centrafricani si sono rifugiati a Zongo, nella provincia dell’Equateur della confinante Repubblica democratica del Congo. Assieme a loro nel fine settimana hanno attraversato il fiume Ubangi, che separa Bangui da Zongo, membri della famiglia di Bozizé assieme ad esponenti di governo e capi militari legati al vecchio potere. Lo hanno riferito fonti di stampa congolese, tra cui l’emittente locale Radio Okapi, ma le autorità di Kinshasa hanno precisato che “il presidente Bozizé non si trova a Zongo”; sarebbe arrivato nella località di Gemena per poi partire verso una destinazione sconosciuta.
Ora gli occhi dei centrafricani, dei paesi vicini e della comunità internazionale sono puntati sul nuovo uomo forte di Bangui, il 60enne Djotodia, ex funzionario e diplomatico originario del nord-est del paese, da otto anni una delle principali figure della ribellione centrafricana, molto legato ad alcuni gruppi armati ciadiani. Ha già presentato i suoi uomini come i protagonisti “di una nuova pagina della storia del paese che si è aperta”, promettendo di voler “attuare una transizione inclusiva”. Per analisti e società civile, la sfida alla quale deve far fronte il nuovo potere è “immensa, in un paese alla deriva”.
Della coalizione Seleka – alleanza in lingua sango – nata nell’agosto 2012 e passata all’azione a partire da dicembre, fanno ufficialmente parte le vecchie formazioni ribelli della Convenzione dei patrioti per la giustizia e la pace (Cpjp), la Convenzione dei patrioti della salvezza e del Kodro (Cpsk) e l’Unione delle forze democratiche per il raggruppamento (Ufdr). I tre gruppi contestavano il potere di Bozizé e denunciavamo la mancata attuazione dei precedenti accordi di pace firmati col potere nel 2007. Dopo quelli siglati a Libreville lo scorso gennaio, il successivo cessate il fuoco e la formazione di un governo di unità nazionale, i ribelli hanno continuato a criticare le autorità. In segno di apertura, mercoledì scorso l’esecutivo ha autorizzato la liberazione dei prigionieri politici e ha soppresso i posti di blocco nella capitale, ma per la Seleka le misure decise da Bangui non sono state considerate “sufficienti”.
Fonti locali della MISNA hanno riferito che tra le fila della coalizione c’è una grande maggioranza di uomini ciadiani e sudanesi, mentre i beni saccheggiati nel corso dell’offensiva sono stati sistematicamente trasportati oltre confine. Esperti del Centrafrica hanno sottolineato che il presidente Bozizé è stato “abbandonato” dai suoi storici alleati, a cominciare dal Ciad, dalla Francia e dagli Stati Uniti, che hanno progressivamente criticato le derive autoritarie del suo potere, il malgoverno e la sua incapacità a rendere sicuro il territorio nazionale. All’indebolimento del suo regime è corrisposta la nascita di gruppi ribelli che si sono poi coalizzati e nel tempo hanno anche ottenuto sostegni esterni significativi, sia dal punto di vista militare che logistico.
(Somalia) GIORNALISTA UCCISA A MOGADISCIO
Una giornalista di un’emittente radiofonica somala è stata uccisa ieri sera a Mogadiscio da un gruppo di uomini armati. Rahma Abdulkadir, reporter per radio Abduwak, emittente situata nella regione di Galgaduud nel centro del paese, è stata raggiunta da diversi colpi d’arma da fuoco mentre tornava alla sua abitazione.
Secondo i colleghi, la giornalista era a Mogadiscio da alcuni giorni per motivi personali. In base alle prime ricostruzioni, la vittima era in compagnia di un’altra donna che è riuscita a fuggire durante la sparatoria.
La Abdulkadir è la seconda giornalista uccisa da uomini armati in Somalia dall’inizio dell’ano. Un terzo è morto in marzo in seguito ad un attentato esplosivo. Almeno 18 operatori dell’informazione sono stati uccisi nel 2012 nel paese, considerato uno dei più pericolosi per chi svolge il mestiere di giornalista.
Sempre a Mogadiscio, sabato era stata uccisa una funzionaria delle agenzie per i diritti umani nel distretto di Dharkenley. Anche in questo caso, la donna era stata raggiunta da diversi proiettili esplosi da ignoti.