(In giro per il mondo) da agenzia Misna, 18 febbraio 2013
(Repubblica Democratica del Congo) Maniema: scontri in zona mineraria, civili in fuga da milizie.
E’ stato un fine settimana di scontri e incertezza nella località mineraria di Punia, a 245 km da Kindu, capoluogo della provincia orientale del Maniema. L’emittente locale ‘Radio Okapi’ che cita il portavoce del governo congolese, Lambert Mende, ha riferito che al termine di combattimenti durati alcune ore le forze regolari (Fardc) hanno respinto i miliziani Raïa Mutomboki che per 24 ore erano riusciti a prenderne il controllo. Fonti della società civile hanno testimoniato che nonostante il ritorno alla calma la popolazione rimane chiusa dentro casa, temendo una nuova offensiva dei ribelli dopo le violenze che hanno già causato la fuga di migliaia di persone nel vicino territorio di Lubutu, nella Provincia Orientale. Secondo fonti dell’Ufficio Onu di coordinamento degli Affari umanitari (Ocha) da tre giorni sono in corso interventi di assistenza a più di 37.000 sfollatti accampati al nord di Punia.
“Abbiamo capito che l’occupazione di questa località da parte dei miliziani rientra nella logica dei saccheggi poiché si tratta di una zona aurifera (…) Come già sapete gli invasori stranieri si dirigono sempre verso le zone minerarie per cercare di prenderne il controllo e saccheggiarle” ha spiegato Mende, precisando che il gruppo dei Raïa Mutomboki è arrivato da Kasese, 125 km ad est di Punia. L’offensiva ha fatto seguito all’ultimatum lanciato la scorsa settimana dal colonnello Shabani Kingumba che ha chiesto alle autorità di Kinshasa di sostituire i soldati dispiegati a Punia, accusandoli di esazioni ai danni delle popolazioni locali. Inoltre il capo milizia si è lamentato del fatto che ogni appello al dialogo lanciato al governo congolese è “sempre rimasto inascoltato”. All’inizio del mese le Fardc erano intervenute per sloggiare da Kasese, un’altra località del Maniema occupata per dieci giorni, i Raïa Mutomboki che si presentano come una milizia di autodifesa in lotta contro i ribelli ruandesi delle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (Fdlr).
Nei mesi scorsi fonti locali della MISNA hanno più volte denunciato il riaccendersi delle violenze in ampie porzioni del vasto territorio conteso dell’Est della Repubblica democratica del Congo, mentre i riflettori della comunità internazionale sono puntati sul Nord Kivu e il suo capoluogo di Goma. Dalla nascita nell’aprile 2012 della ribellione del Movimento del 23 marzo (M23), buona parte delle truppe regolari congolesi sono state dirottate verso quella zona, lasciando altre aree interamente scoperte e in balia di una miriade di milizie armate. “Dal mese di agosto si sta consumando un altro ‘conflitto dimenticato’ nel conflitto: è quello patito dalle popolazioni del Masisi bersagliate da più gruppi ribelli che incendiano villaggi, commettono pesanti crimini, costringendo i civili a una fuga senza fine” ha detto alla MISNA Danilo Giannese del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (Jrs) nei Grandi Laghi. Tra novembre e dicembre almeno 28 civili sono rimasti uccisi in scontri incrociati tra gruppi rivali: la milizia di autodifesa Raïa Mutomboki e i suoi alleati Mayi Mayi, contro i ribelli Nyatura, ma anche le Fdlr.
(Ghana) Aboliti i sussidi per la benzina.
Una decisione azzardata, che non tiene in conto le difficoltà di milioni di poveri: la maggiore confederazione di sindacati del Ghana ha definito in questi termini l’abolizione dei sussidi che tradizionalmente mantenevano stabili i prezzi della benzina.
“La rimozione totale dei sussidi – ha sottolineato in una nota il Congresso dei sindacati – determina incrementi dei prezzi destinati a ripercuotersi a catena su tutta l’economia”.
La misura, riferisce l’emittente di Accra Citi Fm, è stata annunciata dal governo ieri. Secondo i calcoli dell’Autorità nazionale per il petrolio, i prezzi della benzina e del gasolio aumenteranno del 20%, mentre quello del kerosene del 15. La scelta è stata motivata con un incremento della spesa prevista dai 631 milioni di dollari dello scorso anno al miliardo e 260 milioni per il 2013. Un onere troppo grande, è stato spiegato, per un paese dove in rapporto al Prodotto interno lordo il deficit pubblico ha raggiunto un livello doppio rispetto al 6,7% fissato come limite massimo solo nel luglio scorso.
I sussidi per la benzina sono un elemento importante nella politica e nell’economia di diversi paesi dell’Africa. Un anno fa nella vicina Nigeria l’abolizione dei contributi pubblici aveva innescato scioperi e proteste, costringendo il governo a una parziale marcia indietro. Il Ghana è diventato un paese produttore di petrolio nel dicembre 2010, ma per la benzina raffinata continua a dipendere dalle importazioni.
(Siria) Commissione ONU, conflitto sempre più settario.
Negli ultimi sei mesi il conflitto in Siria si è trasformato sempre di più in un conflitto civile e settario, si è radicalizzato e militarizzato anche a causa della crescente presenza di combattenti stranieri; a pagarne le conseguenze è stata in primo luogo la popolazione civile mentre, benché in misura diversa, sia le forze governative che quelle ribelli si sono macchiate di crimini di guerra e crimini contro l’umanità: sono le prime conclusioni della Commissione d’inchiesta dell’Onu sul conflito in corso nel paese.
Guidata da Paulo Pinheiro e dall’ex procuratore del Tribunale per l’ex Jugoslavia, Carla del Ponte, la Commissione ha riferito oggi a Ginevra i risultati del suo lavoro sottolineando le conseguenze del conflitto sul piano umanitario: “La dinamica distruttiva della guerra civile ha avuto un impatto non soltanto sulla popolazione, ma anche sul tessuto sociale, a danno delle generazioni future, e minaccia la pace e la sicurezza dell’intera regione”. Sia i ribelli che le forze governative, ha avvertito la Commissione, “continuano a mettere in pericolo la popolazione posizionando obiettivi militari all’interno di zone civili”.
Nel fine settimana, è stato invece l’inviato di Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahimi, a chiedere alle parti colloqui per una soluzione politica e al governo siriano una “delegazione accettabile” incaricata di intavolare le trattative. Secondo Brahimi, la recente posizione espressa da Mouaz Al Khatib, leader della Coalizione nazionale siriana, “ha aperto la porta” a prospettive nuove. Al Khatib ha in particolare chiesto che sia l’attuale vice-presidente Farouq Al Sharaa a guidare i negoziati mentre per Assad si aprirebbero le porte dell’esilio.
Intanto, con un video diffuso lo scorso sabato, i ribelli hanno sostenuto che combattenti di Hezbollah sono entrati in territorio siriano attaccando tre villaggi della zona di Qusayr, nella provincia di Homs. La notizia non è stata confermata da fonti indipendenti ed è stata smentita dal segretario generale del movimento libanese, Sayyed Hassan Nasrallah. Hezbollah ha però riferito dell’uccisione di tre sciiti libanesi avvenuta in scontri in Siria.
(Colombia) Riprende a Cuba processo di pace Governo-Farc.
Il governo è tornato a escludere l’ipotesi di decretare una tregua alla vigilia della ripresa dei colloqui di pace con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) prevista oggi all’Avana. “Vogliamo ricordare che se non si accetta un cessate-il-fuoco si fa proprio a beneficio di un rapido conseguimento della pace” ha detto l’ex vice presidente e capo dei negoziatori dell’esecutivo Humberto de la Calle.
“Questo processo di pace va avanti nel pieno del conflitto. Sappiamo che questo genera situazioni complesse che sono difficili da sopportare; ma il cessate-il-fuoco porta al prolungamento del conflitto” ha aggiunto de la Calle.
Senza indicare scadenze, il capo negoziatore del governo ha detto che dalla sesta tornata di colloqui, che proseguirà fino al 28 febbraio, l’esecutivo auspica di avere buone notizie. “Senza generare false aspettative, crediamo realmente che ci sia un’opportunità. Il dialogo punta alla fine del conflitto. E’ il cammino possibile per terminare rapidamente il confronto e aprire uno scenario di possibilità di crescita e di benessere per i colombiani”.
Ma sul terreno la tensione non si è placata nel fine-settimana, nonostante il rilascio di due poliziotti e un soldato rapiti dalle Farc a fine gennaio e liberati senza spargimenti di sangue, come promesso dal gruppo armato. Scontri tra esercito e guerriglia si sono registrati sabato a Tolima, nel centro del paese, dove è rimasto ucciso alias ‘El Tío’, capo del fronte 21 delle Farc: un bilancio che ha portato il presidente Juan Manuel Santos a felicitarsi con i militari per il “forte colpo alle Farc”. Venerdì tre militari sono stati invece uccisi dalle Farc a Sumapaz, località nei pressi di Bogotá.
(Mali) Paesi del Sahel per "Unione Sacra" contro il terrorismo.
“La cancrena del terrorismo ha prosperato sul terreno dell’insufficienza dei mezzi a disposizione dei paesi della Comunità degli Stati del Sahel e del Sahara (Cen-Sad), della miseria di alcune sue popolazioni e della credulità di alcuni giovani. Da soli non possiamo contenere né vincere il terrorismo che minaccia la nostra regione come un tumore”: lo ha dichiarato il presidente ciadiano Idriss Deby Itno durante il vertice straordinario della ‘Cen-Sad’ tenutosi nel fine settimana a N’Djamena, sul tema centrala della crisi in Mali e della sfida della sicurezza regionale. In qualità di presidente di turno dell’organismo regionale, Deby ha sottolineato che “l’ondata di terrorismo abbattutasi sul Mali deve fare scattare in tutti noi la consapevolezza della debolezza dei nostri singoli Stati e la precarietà dei nostri mezzi di lotta”, lanciando un appello ai suoi omologhi a “unire le proprie forze per far fronte al pericolo comune con la creazione di un’apposita struttura per la pace e la sicurezza”.
Nel suo discorso ha ringraziato la Francia, in prima fila nella crisi maliana con l’operazione militare Serval cominciata l’11 gennaio, deplorando, però, che “50 anni dopo le indipendenze non siamo ancora in grado di garantire la nostra sicurezza”. Dopo aver espresso “piena solidarietà e sostegno al Mali”, rivolgendosi all’Unione Africana, il presidente ciadiano ha sollecitato provvedimenti celeri per rendere effettiva la ‘Forza d’intervento rapida’ del continente, presentandola come “un motivo di fierezza africana”. Nell’ambito della Missione internazionale di sostegno al Mali (Misma), approvata da una risoluzione Onu votata lo scorso dicembre, sono già operativi 4.300 soldati africani, di cui 1.800 uomini inviati dal Ciad.
Intanto dal teatro delle operazioni militari è giunta la notizia dell’ingresso dei soldati francesi e maliani a Bourem, località settentrionale considerata un “bastione degli insorti islamisti”. Secondo fonti di sicurezza della Misma “i problemi attuali a Gao – teatro di attentati e episodi di guerriglia urbana – vengono da Bourem”, che sorge lungo le rive del fiume Niger, 80 km a nord di Gao, crocevia tra Timbuctù a ovest e Kidal al nord. In base alle ultime dichiarazioni rilasciate da fonti governative francesi, i 4.000 uomini di Parigi potrebbero ritirarsi dal Mali entro la fine di marzo per lasciare il compito di ristabilire pienamente la sicurezza al contingente africano della Misma, che potrebbe contare fino a 8000 elementi.
Da Bamako, la capitale, dove le fragili istituzioni di transizione devono fare i conti con divisioni all’interno delle forze di sicurezza, il presidente Dioncounda Traoré ha dato il suo consenso a importanti decisioni che riguardano i ‘berretti rossi’, un’unità di élite legata al suo predecessore Amadou Toumani Touré, destituito lo scorso marzo con un colpo di stato militare. In un discorso radiotelevisivo il primo ministro ad interim Diango Cissoko ha annunciato una “profonda ristrutturazione del 33 a reggimento” che verrà trasferito a Gao, a Timbuctù e nel campo di paracadutisti di Djicoroni (Bamako), “al massimo entro il 1° marzo”. Nei giorni scorsi l’esecutivo maliano si è impegnato a organizzare elezioni per il 7 luglio.
(Egitto) Legge elettorale rinviata al Senato, si teme slittamento del voto.
La Corte Costituzionale ha bocciato cinque articoli della nuova bozza di legge elettorale rinviando il testo al Consiglio della Shura, la Camera alta del Parlamento, l’unica tuttora in carica. Lo riferisce la stampa egiziana sottolineando che la decisione rischia di far slittare le elezioni legislative previste ad aprile.
Non è ancora chiaro quali siano gli articoli bocciati dall’organismo che ha definito parti della normativa ‘incostituzionali’. In base al calendario previsto, il presidente Mohammed Morsi avrebbe dovuto promulgare la nuova legge entro il 25 febbraio e convocare le elezioni entro due mesi.
Anche la precedente legge elettorale era stata dichiarata incostituzionale. I giudici hanno formulato obiezioni su cinque punti tra cui la suddivisione delle circoscrizioni e la posizione delle donne nelle liste.
(Zimbabwe) Costituzione, al via la campagna per il referedum.
Almeno 90.000 copie di una bozza di nuova Costituzione saranno distribuite da oggi in tutte le province e i distretti dello Zimbabwe in vista di un referendum in programma tra un mese: lo riferisce il giornale The Herald, sottolineando l’impegno dei partiti principali in questa “campagna di sensibilizzazione”.
A coordinare il tentativo di far conoscere il più possibile il testo agli aventi diritto al voto è un comitato parlamentare che ha elaborato il testo al termine di un complesso negoziato tra i partiti rappresentati nel governo di unità nazionale in carica ad Harare dal 2009. Oggi i deputati del comitato hanno raggiunto i capoluoghi di provincia e di distretto per dare il via alla campagna di sensibilizzazione. Delle 90.000 copie che aiuteranno a distribuire 70.000 saranno in inglese mentre 20.000 nelle lingue native dello Zimbabwe. Prima del voto, in programma il 16 marzo, sono previste assemblee e incontri alle quali parteciperanno organizzazioni della società civile.
Il progetto di Costituzione ha il sostegno sia dello Zanu-Pf del presidente Robert Mugabe che degli ex oppositori del Movimento per il cambiamento democratico, guidate dal primo ministro Morgan Tsvangirai e dal suo vice Arthur Mutambara. Il referendum dovrebbe precedere di pochi mesi elezioni legislative e presidenziali, le prime dopo le violenze che segnarono il voto del 2008.
(Haiti) Progressi troppo lenti per nuovo rappresentante Onu.
I cosiddetti ‘amici di Haiti’, sigla che riunisce i paesi donatori, sono delusi e preoccupati per i lenti progressi del paese in campo politico e socio-economico: è in sintesi quanto espresso da Nigel Fisher, nuovo rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite e capo della Missione di stabilizzazione dei ‘caschi blu’ nel paese (Minustah).
“Un anno fa celebrammo dei successi per la creazione del potere giudiziario, la pubblicazione di emendamenti costituzionali e il miglioramento della sicurezza. Ma oggi l’impressione generale che predomina è quella di un’impasse” ha detto nel fine-settimana Fisher, diplomatico canadese esperto di sviluppo e risoluzione dei conflitti, ad Haiti da tre anni.
Fisher ha fatto riferimento al tasso di crescita dell’8% annunciato dal governo per il 2012 che invece ha di poco superato il 2%, spiegando così l’incertezza dei potenziali investitori; anche il funzionamento dell’apparato giudiziario rientra fra le preoccupazioni della comunità internazionale che tuttavia, a detta di Fisher è concentrata sullo stallo riscontrato nell’organizzazione delle elezioni legislative e municipali parziali che si sarebbero dovute tenere lo scorso anno.
“Nella Costituzione di Haiti – ha ricordato il rappresentante speciale dell’Onu – i senatori (eletti nel 2006) devono lasciare il loro posto prima della tenuta delle elezioni. Eccoci oggi a 13 mesi di ritardo, mentre le elites del potere tentano ancora di trovare un consenso”. Per Fisher è stato un “passo avanti” l’accordo per la creazione di un Collegio transitorio per l’istituzione di un Consiglio elettorale permanente raggiunto il 24 dicembre tra i due rami del parlamento, il governo e il gruppo ‘Religioni per la pace’ che ha agito da mediatore. Tuttavia ha rilevato che occorre “proseguire su questa strada” concludendo in tempi rapidi le nomine dei nove membri dell’apparato elettorale: tanto più che è stato di recente lo stesso presidente Michel Martelly a impegnarsi per celebrare lo scrutinio entro l’anno.
Fisher ha infine annunciato la stesura, insieme al governo, di una ‘road map’ che definisca chiaramente le priorità della Minustah e le condizioni in cui potrà ridurre i suoi effettivi; la ‘road map’ verrà inclusa nel rapporto del segretario generale dell’Onu su Haiti che sarà esaminato dal Consiglio di sicurezza l’8 marzo.