In giro per il mondo, agenzia Misna, 5 marzo 2013

05.03.2013 14:42

(Egitto) MILITARI A PORT SAID, CRESCE LA RIVOLTA CONTRO MORSI.

Si combatte per le strade di Port Said, la città portuale divenuta focolaio della rivolta che monta contro il governo e il presidente Mohammed Morsi. Ancora ieri, a margine delle esequie del dimostrante ucciso domenica scorsa in scontri con la polizia, le violenze sono riprese determinando un intervento dell’esercito.

Scesi per le strade nel tentativo di riportare la calma, i militari si sono trovati al centro tra i due schieramenti e sotto il fuoco della polizia che ha continuato ad aprire il fuoco e a lanciare gas lacrimogeni. Residenti nella città, che domina l’ingresso al canale di Suez, riferiscono di tensioni sorte quando le truppe sono state raggiunte dai gas lacrimogeni sparati dagli agenti. Un colonnello dell’esercito è stato ferito da un proiettile e i soldati hanno aperto il fuoco in direzione della polizia sollevando applausi della folla e cori che scandivano “Il popolo e l’esercito sono una cosa sola”.

L’intervento delle forze armate, infatti, è guardato con sollievo da quanti ritengono il presidente Mohammed Morsi e i Fratelli musulmani responsabili dell’instabilità del paese e del progressivo radicalizzarsi delle tensioni sociali.Disordini si sono verificati anche al Cairo dove gruppi di giovani hanno assaltato e dato alle fiamme due macchine della polizia.

“Allo stato attuale il governo non è capace di gestire il paese” ha scritto sul suo account Twitter il leader dell’opposizione Mohammed El Baradei, accusando Morsi di far scivolare il paese nel baratro della guerra civile. Dal canto suo il quotidiano Al Shorouk sottolinea che “gli scontri tra polizia ed esercito, anche se limitati dimostrano l’assenza dello stato di diritto”.

Le tensioni a Port Said sono cominciate lo scorso gennaio dopo che il tribunale cittadino aveva condannato a morte 21 persone, per lo più residenti locali, giudicandoli colpevoli nel processo sul massacro allo stadio del febbraio 2012. Il verdetto aveva scatenato violenze e disordini costati la vita a 40 persone. La popolazione accusa gli agenti di uso eccessivo della forza mentre le autorità sostengono che la maggior parte delle vittime sia stata causata da un tentato assalto ad una prigione locale.

La tensione, già alle stelle, potrebbe salire ulteriormente sabato quando è prevista la conferma della condanna alla pena capitale per i 21 indagati e una nuova sentenza per agenti di polizia implicati nello stesso processo.

Uno scenario preoccupante, concordano gli osservatori, a poche settimane dall’inizio previsto delle elezioni legislative già al centro di un acceso dibattito politico e per le quali l’opposizione ha annunciato il boicottaggio.

(Venezuela) “NUOVA INFEZIONE”, PEGGIORA SALUTE DI CHÁVEZ.

“C’è un peggioramento della funzione respiratoria collegato allo stato di immunodepressione proprio della sua situazione clinica. Al momento presenta una nuova e grave infezione”. Ancora una volta è stato il ministro della Comunicazione, Ernesto Villegas, ad informare il Venezuela sulle condizioni del presidente Hugo Chávez, operato per la quarta volta l’11 dicembre scorso a Cuba a causa di un cancro e da settimane costretto a respirare attraverso una cannula tracheostomica a causa di un’insufficienza respiratoria.

“Al presidente è stata applicata una chemioterapia di forte impatto…lo stato generale continua ad essere molto delicato” ha detto Villegas, aggiungendo che Chávez “resta legato a Cristo e alla vita cosciente delle difficoltà che sta affrontando e rispettando strettamente il programma previsto”.

Rinnovando la solidarietà del governo, il ministro ha esortato i venezuelani a resistere a quella che ha definito una “guerra psicologica lanciara da laboratori stranieri con gli altoparlanti della destra corrotta venezuelana”. Villegas ha inoltre denunciato “l’atteggiamento fariseo di quei nemici storici di Hugo Chávez che sempre gli hanno prodigato odio, insulti e disprezzo e che ora cercano di usare le sue condizioni di salute come scusa per destabilizzare la Repubblica Bolivariana del Venezuela”.

Rientrato due settimane fa a sorpresa a Caracas dopo due mesi trascorsi in terapia a Cuba, Chávez non è più apparso in pubblico dopo il quarto intervento subito nel giro di un anno e mezzo per una recidiva del cancro diagnosticatogli nel giugno 2011. Negli ultimi giorni si sono tenute nella capitale manifestazioni di segno opposto che hanno visto in piazza i sostenitori del presidente ma anche militanti dell’opposizione che già chiedono nuove elezioni.

(Mali) UNESCO PRONTA A SALVARE I MANOSCRITTI DI TIMBUCTÙ.

Salvare i manoscritti di Timbuctù, contrastandone il contrabbando e rilanciandone la tutela dopo le distruzioni compiute dai gruppi islamisti che fino al gennaio scorso occupavano il nord del Mali: è l’obiettivo di una missione dell’Unesco, l’Organizzazione dell’Onu per l’educazione, la scienza e la cultura.

Durante una conferenza stampa a New York, il direttore generale dell’Unesco Irina Bokova ha sottolineato ieri che grazie in particolare al sostegno offerto da Sudafrica, Francia, Norvegia e Lussemburgo la prima delegazione di esperti potrebbe partire per il Mali già la settimana prossima. “Vogliamo impedire il contrabbando dei manoscritti – ha aggiunto Bokova – anche perché non sappiamo quanti siano nelle mani degli estremisti”.

Antica città carovaniera sulle rive del fiume Niger, simbolo di un islam aperto e tollerante, nota anche come “la città dei 33 santi”, Timbuctù divenne un centro culturale di rilievo mondiale tra il XIII e XIV secolo. Lo scorso anno i militanti di Ansar Al Din e di Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi) hanno distrutto diversi templi e dato alle fiamme alcune delle 24 biblioteche della città, dove sono custoditi circa 100.000 manoscritti e testi antichi.

(Guinea) SCONTRI A CONAKRY, ATTIVISTI DENUNCIANO VIOLENZE.

Una persone è morta e sei altre sono rimaste ferite in nuovi scontri con le forze di polizia che hanno aperto il fuoco sui manifestanti a Conakry, in un clima sempre più teso in vista delle elezioni legislative annunciate per maggio. Lo scontro a fuoco, che segue i disordini dei giorni scorsi – riferisce il sito online Guinee News – si è verificato dopo che i leader di opposizione hanno boicottato un incontro convocato dal presidente Alpha Conde proprio per porre fine alle tensioni.

I feriti, dall’inizio dei disordini cominciati mercoledì, sarebbero centinaia. Secondo le associazioni per i diritti umani, le forze armate del paese, notoriamente indisciplinate e già in passato protagoniste di abusi sulla popolazione, avrebbero sparato “indiscriminatamente” in direzione di civili disarmati.

Inoltre il conflitto – denunciano gli attivisti – starebbe assumendo connotazioni etniche, trasformandosi in una battaglia tra comunità Malinke e Peul, i due principali gruppi etnici del paese, i primi sostenitori del governo e i secondi vicini all’opposizione.

Domenica il presidente Condé ha mancato il limite ultimo per convocare le elezioni il prossimo 12 maggio, come preannunciato. Stabilita dalla Ceni, la data del voto deve essere confermata con un decreto del capo dello Stato, al massimo entro 70 giorni dal voto.

Nel paese dell’Africa occidentale le ultime legislative risalgono al 2002, quando governava il generale Lansana Conté, morto nel 2008 dopo 24 annidi potere ininterrotto. Da allora il potere legislativo è nelle mani di un Consiglio nazionale di transizione (Cnt), un’istituzione non eletta e le elezioni legislative sono state rinviate diverse volte.

(Madagascar) SUORA UCCISA, FOLLA ASSALTA UNA PRIGIONE.

“Dopo il funerale una folla di centinaia di persone si è diretta verso la prigione dove sono detenuti i tre sospetti dell’omicidio di Suor Marie Emmanuel e ha assaltato il penitenziario. La polizia ha reagito duramente, provocando un morto e otto feriti”: lo racconta alla MISNA Luca Treglia, direttore della Radio Don Bosco all’indomani delle esequie della suora missionaria uccisa venerdì scorso Mandritsara, nord della capitale.

Secondo l’interlocutore di MISNA “gli scontri a fuoco continuano tutt’ora” ma non è chiaro in che contesto e che legame abbiano con l’omicidio.

“Tre dei feriti causati ieri sono gravissimi e adesso i residenti della zona dicono che oltre alla morte di Suor Marie vogliono vendicare anche quella del loro compagno” aggiunge il direttore dell’emittente salesiana.

Secondo le prime ricostruzioni la religiosa, di nazionalità francese ma in Madagascar dagli anni ’70 dove prestava servizio come infermiera, aveva preteso la restituzione di una somma di denaro prestato nel corso degli ultimi mesi al custode della casa delle suore della Comunità della Provvidenza a cui apparteneva.

L’uomo, assieme a due complici, l’avrebbe rapita e uccisa provocando lo sdegno della comunità locale dove la suora era conosciuta e apprezzata per la sua attività caritatevole. I tre sarebbero stati trasferiti in un penitenziario in un’altra zona del paese.

(Zimbabwe) REFERENDUM, INVITATI SOLO GLI SOLO OSSERVATORI AFRICANI.

A monitorare la regolarità del referendum costituzionale in programma il 16 marzo saranno osservatori africani ma non europei né statunitensi: lo dice alla MISNA Aldo Dell’Ariccia, ambasciatore dell’UE nello Zimbabwe.

Secondo Dell’Ariccia, la decisione è stata annunciata dal ministro degli Esteri dello Zimbabwe Simbarashe Mumbengegwi durante un incontro con la svedese Gunella Carlson, titolare del dicastero per la Cooperazione e lo sviluppo internazionali. Mumbengegwi ha sottolineato come il governo di Harare non possa invitare osservatori di paesi che “mantengono in vigore sanzioni” nei confronti dello Zimbabwe.

Secondo Dell’Ariccia, “per l’Unione Europea la cosa importante è che il referendum sia monitorato da osservatori internazionali”. Bruxelles, ha aggiunto l’ambasciatore, ritiene “un fatto positivo” che Harare sia pronta ad accogliere osservatori dell’Unione Africana e della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (Sadc).

Cinque anni fa, nello Zimbabwe le ultime elezioni furono segnate da contestazioni e violenze. Per scegliere il presidente e rinnovare il parlamento si dovrebbe tornare alle urne quest’anno, dopo il referendum costituzionale. Stati Uniti e Unione Europea hanno introdotto sanzioni nei confronti dello Zimbabwe nel 2002, accusando il governo del presidente Robert Mugabe di violare i diritti umani.

(Colombia) SCIOPERO DEI ‘CAFETEROS’, GOVERNO INVIA MINISTRI.

Blocchi stradali sull’autostrada Panamericana, disagi in diversi centri abitati per il mancato approvvigionamento di beni di prima necessità, dal cibo ai combustibili, scuole chiuse, attività semi-paralizzate e negoziati finora vani: questo in sintesi il quadro che interessa diverse regioni della Colombia a nove giorni dall’avvio dello sciopero dei ‘cafeteros’, i coltivatori di caffè, che esigono aiuti per superare la crisi del settore. Primo fra tutti, un “prezzo giusto”, per lo meno 850.000 pesos (356 euro), per ogni carico da 125 kg di prodotto.

Mentre Popayán, capitale del turbolento dipartimento sud-occidentale del Cauca, risulta la città più colpita dalle conseguenze dell’agitazione, il presidente Juan Manuel Santos ha inviato in loco ieri ben cinque ministri incaricati di contattare i dirigenti regionali dei ‘cafeteros’ e convincerli a desistere. Dalle ‘zone calde’ dei distretti di Cauca, Caquetá, Huila, Antioquia e Nariño, tuttavia, non sono ancora giunte novità di rilievo: secondo fonti di stampa, la principale difficoltà incontrata dal governo per trattare con i ‘cafeteros’ è stata finora la mancanza di un unico portavoce da parte dei dimostranti. Anche le rivendicazioni dei manifestanti sembrano variare di regione in regione.

Lo scorso fine-settimana un accordo era stato raggiunto tra l’esecutivo e la Federazione nazionale dei ‘cafeteros’ (Fnc) per aumentare i sussidi ai produttori colpiti dalla crisi del caffè sui mercati internazionali; i ‘cafeteros’ in sciopero attraverso i loro rappresentanti hanno però respinto l’intesa ritenendola insufficiente e prendendo le distanze dalla Fnc.

Il governo ha anche accusato i ‘cafeteros’ di essere “manipolati” da personaggi politici, grandi produttori che starebbero aprofittando delle circostanze per aumentare i loro introiti, e “settori illegali”, in riferimento ai gruppi armati.

La tensione rischia di aumentare dopo l’annuncio che il Consiglio regionale indigeno del Cauca (Cric) a partire da oggi appoggerà lo sciopero dei ‘cafeteros’ con almeno 19.000 membri di diverse comunità: si prevede che si aggiungeranno ai blocchi stradali che da otto giorni impediscono lungo la Panamericana il transito fra Popayán e Cali. “Di fronte alla realtà di fame che colpisce i coltivatori di caffè e cacao, il governo manipola e inganna l’opinione pubblica descrivendoli come infiltrati dalla ribellione” afferma in una nota il Cric denunciando violenza da parte della forza pubblica contro i dimostranti.