(In giro per il mondo) agenzia Misna, 27 febbraio 2013

27.02.2013 16:02

(Venezuela) CHÁVEZ SCEGLIERÀ DATA INSEDIAMENTO, OPPOSIZIONE ALZA TONI.

Anche se non si è “pienamente ripreso” dall’insufficienza respiratoria sorta nella fase post-operatoria, “sta seguendo i lavori del governo” e “deciderà quando convocare i membri del Tribunale supremo di giustizia per il giuramento”: a comunicare le ultime notizie sullo stato di salute del presidente Hugo Chávez, rientrato il 18 febbraio a sorpresa in Venezuela, è stato il presidente del parlamento, Diosdado Cabello.

In una conferenza stampa Cabello, che è anche vice presidente del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv, al potere), ha raccontato di una riunione di lavoro durata cinque ore e svoltasi all’Ospedale militare di Caracas dove Chávez è ricoverato dal suo ritorno in patria. Nella stessa occasione il presidente del parlamento ha anche puntato il dito contro l’opposizione per “le menzogne e le voci che mette in circolazione sullo stato di salute dal capo dello Stato”, accusandola di aspettarsi “soltanto brutte notizie (…) cioè una tragedia”. Cabello ha anche criticato le consultazioni avviate domenica dalla principale coalizione di opposizione il ‘Tavolo dell’unità democratica’ per designare un suo candidato in caso di elezioni anticipate, definendole una “iniziativa disperata”.

A lanciare la sfida al partito al potere è stato il leader di opposizione, Henrique Capriles Radonski, governatore dello Stato di Miranda (nord): “Se elezioni non sono ancora di attualità, noi siamo già pronti a far fronte ad ogni scenario” ha detto l’oppositore, il più accreditato per essere scelto candidato del ‘Tavolo dell’unità democratica’ alle prossime presidenziali.

Alle ultime votazioni dello scorso ottobre, vinte da Chávez, Capriles aveva ottenuto il 44% dei consensi. Nel 2008 e nel 2012 il leader di centro-destra ha già sconfitto due candidati del partito al potere e vice-presidenti – Elias Jaua e Diosdado Cabello – alle elezioni regionali nello Stato di Miranda. “Ho già sconfitto due vice-presidenti, mandate avanti il terzo” ha rilanciato Capriles che intende misurarsi contro l’attuale vice-presidente Nicolas Maduro, il ‘delfino’ di Chávez. Dall’ultima inchiesta realizzata dall’istituto Hinterlaces è invece emerso che nell’eventualità di nuove presidenziali Maduro sarebbe ampiamente favorito: otterrebbe la vittoria con il 50% delle preferenze contro il 36% di Capriles.

Chávez, 58 anni, al potere dal 1999, sta lottando da giugno 2011 contro un tumore che lo ha portato a sottoporsi a lunghi periodi di ricovero sull’isola di Cuba e a subire diversi interventi; l’ultimo risale allo scorso 11 dicembre.

(Repubblica Democratica del Congo) NELL’EST DIVISIONI E RIVALITÀ RIBELLI ALIMENTANO INSICUREZZA.

Nonostante la firma di un accordo regionale di pace per l’Est del Congo, lo scorso fine settimana ad Addis Abeba, sul terreno si stanno manifestando nuove dinamiche che fanno temere per la sicurezza dei civili. Prima fra tutte, avvertono esponenti della società civile della provincia del Nord Kivu, le divisioni all’interno del Movimento del 23 marzo (M23) che si sono già tradotte in violenze nei giorni scorsi nel territorio di Rutshuru.

Secondo l’emittente locale ‘Radio Okapi’, la maggior parte degli uomini che rispondono agli ordini del generale Sultani Makenga, capo militare dell’M23, si sarebbero ritirati dal centro di Rutshuru e dalle vicine località di Nyongera, Mabenga, Rubare e Ntamugenga, rimaste sotto il controllo dell’ala ‘rivale’ vicina a Bosco Ntaganda, lo storico leader dell’ex ribellione del Cndp latitante e ricercato dalla Corte penale internazionale. Gli uomini di Makenga si sarebbero riposizionati sulle colline di Mbuzi, Runyonyi e Nyabitona, mentre un altro gruppo si è incamminato verso Bunagana, centro strategico al confine con l’Uganda, a circa 20 km a est di Rutshuru. Inoltre testimoni locali hanno riferito che diverse località del territorio di Rusthuru abbandonate dall’M23 sono entrate nel mirino dei ribelli ruandesi delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr). Lunedì questi avrebbero occupato per alcune ore Rugari, a 40 km a nord di Goma. “Questi dissensi causeranno nuovi morti e spostamenti di civili” hanno già denunciato attivisti dei diritti umani.

Nella vicina provincia del Sud-Kivu, fonti della società civile contattate dalla MISNA hanno invece confermato una situazione di “insicurezza persistente e preoccupante”, in particolare a Uvira e nei dintorni, in preda a violenze commesse dalle stesse Fdlr e dalla ribellione burundese delle Forze nazionali di liberazione (Fnl). Inoltre nella zona sono anche attivi i miliziani rivali dei Mayi Mayi Raia Mutomboki.

L’emittente ‘Radio Okapi’ ha registrato ingenti spostamenti di civili dai villaggi di Kitundu, Kagogo, Cishagala, Muchuba, Masango e Mulenge. Gli abitanti si sono lamentati dell’ “assenza dei militari regolari nelle località occupate dai gruppi armati stranieri”. Il comandante della X regione militare delle Forze armate regolari del Congo (Fardc), il generale Pacifique Masuzu, ha assicurato che “è in corso un’operazione di rastrellamento nella zona di Uvira per cacciare le forze negative e consentire alla popolazione di vivere in pace”.

Dalla nascita dell’M23, lo scorso aprile, le truppe regolari congolesi sono state dirottate verso le roccaforti dell’ultima ribellione, lasciando scoperte ampie porzioni di un vasto territorio ricco di risorse minerarie contese da una miriade di milizie armate.

L’intesa raggiunta il 24 febbraio in sede dell’Unione Africana da 11 capi di Stato e responsabili della regione dei Grandi Laghi, alla presenza del Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon, prevede la creazione di una “brigata di intervento” di sostegno alla locali missione Onu (Monusco) che verrà dispiegata al confine col Rwanda per “imporre la pace”. Inoltre i firmatari, tra cui Rwanda e Uganda, si sono impegnati a “non tollerare né dare sostegno a nessun tipo di gruppo armato” nel paese confinante.

(Sud Sudan) UNA RADIO MISSIONARIA PER LE DONNE DI WAU.

Cosa accomuna le ricette per lo zabadi più cremoso, i consigli sulla scuola dove ci sono i banchi e l’impegno per la salute delle mamme e dei neonati? Il programma di una radio missionaria che ogni settimana raggiunge migliaia di donne del Sud Sudan, il paese più giovane e uno dei più poveri del mondo.

A raccontare alla MISNA delle dirette in fm è Enrica Valentini, una volontaria della Caritas che dirige l’emittente cattolica Voice of Hope nella città di Wau. “Il programma – racconta Enrica – dura 45 minuti e si chiama Nadhzra Shasasa, un’espressione che in lingua araba vuol dire ‘visione trasparente’, sguardo cioé in grado di penetrare al di là della superficie delle cose”. La scelta dell’arabo si spiega con il fatto che questa lingua è l’unica parlata e compresa da quasi tutte le etnie che abitano le regioni più vicine alla frontiera con il Sudan. A coordinare i dibattiti e a gestire le telefonate che arrivano di continuo in redazione sono solo giornaliste donne.

I temi variano dalla cucina all’istruzione, dalla musica al diritto alla salute. “Ma uno dei problemi più discussi – sottolinea la direttrice di Voice of Hope – è la mortalità materna e infantile, una vera emergenza”. Secondo stime rilanciate dall’organizzazione non governativa Medici con l’Africa Cuamm, in Sud Sudan ogni 100.000 bambini muoiono 2054 mamme, 170 volte di più di quanto accade in Italia.

BREVI DALL’AMERICA LATINA.

COLOMBIA – Almeno 50.000 coltivatori di caffè hanno dimostrato in Colombia chiedendo risposte del governo alla crisi del settore. Fonti di stampa locali riferiscono di numerosi blocchi stradali e di scontri tra dimostranti e forze di sicurezza che avrebbero causato anche alcuni feriti.

URUGUAY – Sta creando tensioni e sollevando polemiche la decisione della Corte Suprema di dichiarare incostituzionale una legge del 2011 secondo cui non possono andare in prescrizione i reati collegabili all’ultima dittatura (1973-1975). Organizzazioni della società civile e il partito al governo, il Frente Amplio, hanno già indetto manifestazioni di protesta.

MESSICO – Sono 26.121 i casi di persone scomparse in tutto il paese tra la fine del 2006 e la fine del 2012, durante il mandato dell’ex presidente Felipe Calderon. Lo ha riferito il governo sottolineando che si tratta di un dato che riunisce sia il numero degli scomparsi volontariamente sia quanti invece sono stati rapiti e probabilmente uccisi dai cartelli della droga. Durante il suo mandato Calderon ha messo in atto una risposta militare contro le organizzazioni criminali ma il tasso di violenza invece che diminuire è aumentato facendo contare secondo alcune stime 70.000 vittime.

(Corno d'Africa) CORNO D’AFRICA, SFIDE PER IL FUTURO (Intervista a Matteo Guglielmo).

“Oggi, a 12 anni dall’attacco alle torri gemelle il Corno d’Africa è ancora al centro della ‘guerra al terrore’ avviata dagli Stati Uniti. Il conflitto è assurto – già prima dell’avvento di Al Qaida sulla scena internazionale – a tratto distintivo di questa zona d’Africa che in virtù della sua posizione strategica è da sempre al centro degli equilibri della geopolitica mondiale”: a descrivere alla MISNA dinamiche e trasformazioni di una regione preda di costante instabilità è Matteo Guglielmo, ricercatore del Università Orientale di Napoli e autore del recente saggio ‘Il Corno d’Africa, Eritrea, Etiopia, Somalia’ edito da Il Mulino.

Perché adottare il tema del conflitto come comune denominatore attraverso cui ripercorrere la storia del Corno d’Africa?

Perché si tratta di un tema costante che caratterizza sia il passato che il presente di un’area molto composita, la cui peculiare posizione geografica – crocevia tra Africa e Medio Oriente – la pone al centro di interessi globali, dalla lotta al terrorismo al contrasto della pirateria. Per convenzione, il Corno è spesso identificato come l’insieme dei paesi membri dell’Igad (Autorità intergovernativa per lo sviluppo) che comprende Etiopia, Eritrea, Somalia, Gibuti, Uganda, Kenya, Sudan e Sud Sudan. Tutti, sono stati protagonisti di alleanze intra ed extra-regionali che, dal dopoguerra in poi, hanno costituito un groviglio di relazioni alla base di sempre nuove instabilità.

Parlando di conflitto e Corno d’Africa, la mente corre subito alla Somalia…

Il conflitto somalo è stato fino ad oggi il perno attorno al quale sono ruotati i traballanti equilibri della regione. Mogadiscio è direttamente esposta a tutte le tendenze politiche, sociali ed economiche globali. Sarà interessante osservare come, il processo di pacificazione in atto influenzerà la situazione tutt’intorno.

Come valuta il difficile percorso del paese verso la pace?

Anche per esperienza personale, posso dire che alla Somalia, allo stato attuale, mancano strutture e istituzioni forti e questo, al di là della buona volontà dei somali, è l’ostacolo a mio avviso più grande che il paese si trova ad affrontare. Senza un governo stabile e radicato sul territorio ogni tentativo di lasciarsi la guerra civile alle spalle è destinato a fallire. A questo si aggiunge la mancanza di coordinamento tra i donatori che spesso si traduce in un sostegno disarticolato, che rallenta i meccanismi di formazione di quelle reltà tanto necessarie, come esercito e forze di polizia.

Come guarda il Corno d’Africa alla comunità internazionale?

Come ad un attore troppo spesso privo di interesse e coraggio. In fondo, ad imprimere una svolta sullo scenario somalo è stata l’entrata prepotente di nuovi interlocutori. Penso ai paesi arabi del Golfo e alla Turchia che ha svolto un ruolo di primo piano in Somalia negli ultimi due anni. In particolare, quello che i somali hanno apprezzato dell’approccio turco è stata non tanto la quantità dei loro aiuti, ma l’efficacia e la loro presenza fisica sul territorio.

Quanto all’Italia, ex potenza coloniale e storicamente legata a questa regione dell’Africa Orientale?

Molte cose si stanno trasformando nel Corno d’Africa e ad una velocità di cui noi non ci rendiamo conto. L’Etiopia è rimasta orfana del suo padre-padrone, Meles Zenawi, all’improvviso. Segnali di insofferenza per il pugno di ferro di Isaias Afewerki cominciano a delinearsi in Eritrea. Gibuti, Uganda e Sudan sono alle prese con difficili congiunture economiche e guardano con timore agli echi delle primavere arabe che hanno travolto i governanti a nord del Sahara. Il Kenya è alla vigilia di elezioni cruciali. Perdere di vista tutto questo, da parte del futuro governo italiano, sarebbe un errore di valutazione imperdonabile.