(In giro per il mondo) agenzia Misna, 25 febbraio 2013

25.02.2013 10:49

(Cuba) CASTRO RIELETTO ANNUNCIA, LASCERÒ A FINE MANDATO.

Raul Castro ha annunciato che lascerà la vita politica al termine del suo secondo mandato presidenziale, nel 2018. L’annuncio, che in breve ha fatto il giro del mondo, è avvenuto subito dopo la sua rielezione da parte dell’Assemblea Nazionale che ha designato anche il nuovo numero due del regime, Miguel Diaz-Canel, considerato da molti il suo ‘delfino’ alla successione.

Nel suo discorso il presidente ha lasciato intendere che ci saranno altre riforme costituzionali, alcune delle quali dovranno essere ratificate dal popolo cubano tramite referendum. Al contempo, Castro ha escluso l’ipotesi che Cuba possa abbandonare in tempi brevi la via del socialismo: “Non sono stato scelto come presidente per restaurare il capitalismo. Sono stato eletto per difendere, mantenere e continuare a perfezionare il socialismo, non per distruggerlo” ha detto.

Il nuovo vicepresidente, 52 anni, è un ingegnere elettronico che ha già ricoperto l’incarico di ministro dell’Istruzione. Prende il posto dell’ottantunenne Jose Ramon Machado Ventura, che combatté con i Castro durante la rivoluzione. La sua nomina, ha detto lo stesso Castro, “rappresenta un passo definitivo nella configurazione della strada futura del paese, con un passaggio senza intoppi e ordinato alle nuove generazioni”.

Alla guida dell’isola nel 2006, quando il fratello Fidel si ritirò, Raul ha varato una serie di riforme economiche e sociali di grande impatto, espandendo il settore privato, legalizzando il mercato immobiliare e allentando le restrizioni ai viaggi all’estero.

L’annuncio del ritiro di Castro potrebbe avere significative ripercussioni sui rapporti con gli Stati Uniti; il testo dell’embargo americano in vigore sull’isola da 51 anni specifica infatti che non potrà essere revocato fino a quando un componente della famiglia Castro sarà al potere.

(Mali) SCONTRI AL NORD, IN AZIONE DRONI STATUNITENSI.

Si stanno intensificando i combattimenti tra elementi armati e soldati regolari, con pesanti bilanci di vittime nei ranghi dell’esercito ciadiano, dispiegato nell’ambito della Missione internazionale di sostegno al Mali (Misma). Gli ultimi bilanci diffusi dalla stampa locale riferiscono di 23 morti tra i soldati di N’Djamena e di 93 vittime tra gli islamisti armati del Movimento per l’unità del jihad in Africa occidentale (Mujao) che si sono scontrati nella zona montuosa ed estesa dell’Adrar degli Ifoghas, all’estremo nord del paese.

Altri combattimenti hanno invece opposto esponenti della ribellione tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) a un non meglio identificato gruppo armato a In-Khalil, nei pressi di Tessalit (nord-est), non lontano dal confine con l’Algeria. Nella stessa zona venerdì un’autobomba è esplosa di fronte a una base dell’Mnla, uccidendo cinque persone. Se l’attentato non è stato formalmente rivendicato, i tuareg hanno puntato il dito contro gli islamisti del Mujao, ricollegando l’aggressione al fatto che l’Mnla stia collaborando con l’esercito francese, in prima fila nell’offensiva Serval, avviata lo scorso 11 gennaio. A poca distanza, nella località maliana di In-Farah, sono invece passati all’azione elementi del Movimento arabo dell’Azawad (Maa, autonomista), che hanno attaccato posizioni dei tuareg. La situazione sul posto rimane confusa, soprattutto dopo che gli elicotteri di Parigi hanno effettuato alcuni bombardamenti.

Esperti militari e osservatori hanno sottolineato che è proprio la regione montuosa dell’Adrar degli Ifoghas, tra Kidal e Tessalit, a servire da rifugio ai gruppi legati ad Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi). Ma la stessa zona è anche la culla della comunità tuareg, che rappresenta soltanto il 10% della popolazione maliana.

Più a sud, a Gao (1200 km da Bamako, la capitale), la situazione rimane tesa dopo gli scontri a fuoco che si sono verificati in pieno centro nei giorni scorsi e dopo le minacce del Mujao, intento a portare avanti “la battaglia per la riconquista” del nord del Mali. Nel capoluogo settentrionale si sentono ancora colpi d’arma da fuoco sporadici mentre i militari maliani e francesi stanno procedendo allo sminamento del territorio. Inoltre sono stati prelevati i corpi senza vita di diversi insorti morti con addosso cinture di esplosivi. I soldati hanno anche sequestrato ingenti quantità di armi e munizioni, lasciate sul posto dai jihadisti in fuga. “Siamo di fronte a gruppi che hanno una capacità di distruzione del livello di un esercito” ha dichiarato il colonnello maliano Laurent Mariko, comandante della zona di Gao, precisando che sono stati ritrovati armamenti “che appartenevano all’esercito maliano ma anche ai gendarmi senegalesi e a forze di sicurezza dei paesi limitrofi”. Parte dell’arsenale rinvenuto è di origine statunitense ma anche russa, ceca e degli Emirati arabi. Le autorità hanno rafforzato le misure di sicurezza lungo le rive del fiume Niger, varcato la scorsa settimana dagli islamisti per entrare a Gao.

D’ora in poi le truppe di Bamako e Parigi potranno anche contare sul sostegno dei droni statunitensi ‘Predators’ che decolleranno da una base a Niamey per effettuare voli di ricognizione sul nord del Mali. Fonti di Washington hanno annunciato l’invio di un centinaio di militari statunitensi per supervisionare le operazioni, finalizzate a localizzare i combattenti islamisi ma non a effettuare bombardamenti.

L’intensificarsi degli scontri sul terreno sta alimentando i timori degli operatori umanitari, impossibilitati ad intervenire in soccorso degli sfollati e dei civili intrappolati nelle località ancora sotto il fuoco dei ribelli. “La situazione è lontana dall’essere stabile e ciò impedisce il rientro delle popolazioni. Le condizioni di vita degli sfollati sono molto preoccupante: l’acqua scarseggia, i primi casi di gravi malattie sono stati riscontrati e i ripari sono precari” ha riferito il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), che nel fine settimana è riuscito a consegnare cibo a 6600 sfollati a Tinzaoutène, al confine con l’Algeria.