In giro per il mondo (agenzia Misna, 22 marzo 2013)

22.03.2013 18:57

(Siria) CARITAS, L’ALTRA EMERGENZA È LA POVERTÀ (Intervista) (17:01)

“Gli scontri veri e propri si concentrano soprattutto nelle periferie della grandi città. Ma le violenze non sono l’unica emergenza di cui tenere conto. I siriani stanno scivolando con velocità in uno stato di povertà generalizzato senza precedenti, la gente ha fame”: lo ha detto alla MISNA Monsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria a margine di un incontro a porte chiuse in corso oggi a Roma nella sede di Caritas Internationalis.

Qual è la priorità da accordare, in questo momento, tra i bisogni della popolazione siriana?

“Quello che noi come Caritas cerchiamo di fare è andare incontro alle necessità delle famiglie. Penso al cibo come ai medicinali e all’assistenza sanitaria a cui spesso, nei giorni più duri del conflitto, molte famiglie non hanno accesso. Abbiamo anche progetti in collaborazione con la Mezzaluna rossa su questo fronte, nel tentativo di coprire una porzione di territorio il più estesa possibile evitando sovrapposizioni inutili”.

A due anni dall’inizio delle rivolte qual’è il sentimento predominante nel paese?

“La gente è spaventata dallo stato di insicurezza e demoralizzata dall’aumento dei prezzi anche in relazione all’alto tasso di disoccupazione. Le violenze in corso stanno affossando l’economia siriana, e non solo dal punto di vista commerciale e delle vendite. In settori chiave come il turismo e tutto quello che a esso ruota intorno, come ristoranti e luoghi di svago, si è registrato un crollo verticale. Per molti è significato perdita dei posti di lavoro e mancanza di una prospettiva concreta di ritrovare un impiego”.

In passato la Siria veniva citata come esempio di convivenza tra fedi diverse. Sta cambiando qualcosa?

“La libertà religiosa è un valore profondamente radicato nello spirito dei siriani. Purtroppo l’impressione è che ci siano forze che si agitano nell’ombra per destabilizzare questo equilibrio. Inoltre, violenze in diverse parti del paese che hanno preso di mira questa o quella comunità, hanno contribuito a creare un clima di sospetto che minaccia la stabilità sociale. Anche per questo è necessario che la guerra si fermi al più presto”.

Dal suo punto di vista, ci sono ancora possibilità che si arrivi a una soluzione negoziata della crisi?

“Personalmente ritengo che l’unica via d’uscita a quanto stiamo assistendo passi per il dialogo. Il conflitto ormai non riguarda più solo la Siria: c’è il timore concreto che le violenze si estendano oltrefrontiera e contribuiscano a destabilizzare altri paesi. Sarebbe uno scenario dalle conseguenze irreparabili”.

(America Latina) RIFORMA SISTEMA DIRITTI UMANI, MONITO DI PILLAY (17:45)

Qualsiasi modifica del Sistema interamericano dei diritti umani non dovrà debilitare la sua capacità di proteggere le vittime di simili abusi: questo il monito che l’Alto commissario dell’Onu, Navi Pillay, ha rivolto all’Organizzazione degli Stati americani (Osa), impegnata oggi a Washington in una sessione straordinaria dedicata alla riforma del Sistema.

“In ogni paese del continente americano tutte le vittime di violazioni dei diritti umani devo essere tutelate… Invito i paesi membri ad approfittare di questa opportunità per rafforzare il loro esemplare Sistema, promuovendo l’accesso di tutti i cittadini del continente” ha aggiunto Pillay.

La giurista sudafricana ha anche chiesto che venga rispettata “l’autonomia del Sistema interamericano dei diritti umani nel progressivo miglioramento della sua politica e delle sue pratiche” evidenziando che nell’arco dell’ultimo mezzo secolo “è stato un faro di speranza per il continente”.

La sessione straordinaria dell’Assemblea generale dell’Osa è stata convocata per discutere della riforma della Commissione interamericana dei diritti umani creata nel 1959. Il dibattito si celebra in un cima di tensione contrassegnato dalle dure critiche emerse da alcuni paesi latinoamericani che accusano il Sistema interamericano dei diritti umani di mancata neutralità che si traduce nell’ovviare agli abusi attribuiti agli Stati Uniti, accentuando o manipolando invece quelli attribuiti ai governi critici della Casa Bianca.

Il paese più critico è stato il Venezuela che con il defunto presidente Hugo Chávez già nel 2010 annunciò la sua uscita dalla Commissione definendola “un organo politicizzato usato dall’impero per aggredire governi come quello venezuelano”. Un passo che anche il governo della Bolivia con il presidente Evo Morales starebbe valutando, mentre l’Ecuador si è fatto promotore, con Rafael Correa, di un pacchetto di proposte per riformare la Commissione, pena l’abbandono di Quito.

(Medio Oriente) FREEDOM FLOTILLA, ISRAELE SI SCUSA CON LA TURCHIA (18:57)

Il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha reso noto di aver accettato le scuse presentate al popolo turco dal suo omologo israeliano, Benjamin Netanyahu, per gli errori commessi da Tel Aviv in occasione dell’assalto alle navi della Freedom Flotilla che trasportavano aiuti umanitari destinati alla Striscia di Gaza.

La notte del 31 maggio 2010 nel raid delle teste di cuoio israeliane sulla “Mavi Marmara” furono uccisi nove attivisti, la maggioranza dei quali di nazionalità turca. L’episodio fu all’origine di un raffreddamento delle relazioni diplomatiche tra Tel Aviv e Ankara, insieme con l’Arabia Saudita i principali alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente.

“Il primo ministro Netanyahu – si legge in una nota diffusa a Tel Aviv – ha presentato le sue scuse al popolo turco per gli errori che possano aver provocato la perdita di vite umane e ha acconsentito a completare l’intesa sui risarcimenti”. Un riferimento, quest’ultimo a un accordo con Ankara per il sostegno ai familiari degli attivisti uccisi.

L’assalto alla Mavi Marmara e alle altre cinque navi della Freedom Flotilla avvenne in acque internazionali. Secondo una commissione d’inchiesta dell’Onu, nel raid le teste di cuoio israeliane fecero “un uso eccessivo della forza” e agirono in modo irragionevole”.

Netanyahu ha formalizzato le sue scuse attraverso una telefonata a Erdogan oggi, poche ore dopo la conclusione di una visita del presidente americano Barack Obama in Israele. In una nota diffusa poco prima della sua partenza per la Giordania, l’inquilino della Casa Bianca ha sottolineato che “gli Stati Uniti attribuiscono una grande importanza alla restaurazione di relazioni positive tra Turchia e Israele per il progresso della pace e della sicurezza nella regione”.