(In giro per il mondo) agenzia Misna, 22 febbraio 2013

22.02.2013 15:54

(Brasile) LULA PER I 10 ANNI AL GOVERNO DEL PARTITO DEI LAVORATORI.

“Dieci anni sono pochi per cambiare la storia di un paese, ma in dieci anni possiamo dare segnali straordinari. La parola impossibile è solo per i deboli”: con queste parole Luiz Inacio Lula da Silva si è rivolto alla platea di sostenitori riuniti a San Paolo per i festeggiamenti per i 10 anni al governo del suo Partido dos Trabalhadores, il Partito dei Lavoratori (Pt) fondato dall’ex sindacalista nel 1980.

Il presidente più amato nella storia del Brasile si è presentato alle celebrazioni insieme a colei che lo ha seguito nell’incarico, Dilma Rousseff, e a diversi dirigenti storici del partito inclusi alcuni condannati di recente nel cosiddetto processo del secolo per il cosiddetto ‘mensalão’: uno scandalo di corruzione e tangenti – il nome fa riferimento a un compenso mensile elargito illegalmente – che nel 2005 rischiò di abbattere il governo Lula, ma che non ha mai intaccato l’ex capo dello Stato.

Ricordando le priorità accordate dalla sua amministrazione alla lotta contro la fame e la povertà e alle politiche per la ridistribuzione del reddito che accompagnano negli ultimi anni la crescita – il paese nel 2012 è diventato la sesta economia mondiale – Lula non ha evitato l’argomento ‘mensalão’: “Tutti sanno che ci sono due modi di affrontare la sporcizia che emerge: mostrarla o nasconderla. Dubito che nella storia del nostro paese ci sia stato un governo che abbia agito con maggiore trasparenza e decisione del nostro nella lotta alla corruzione”.

Con lo sguardo già rivolto alle elezioni del 2014, recuperatosi di recente da un cancro alla laringe, Lula si è detto certo che Rousseff verrà confermata alla presidenza; rispondendo a critiche giunte dal senatore Aecio Neves del Partido da Social Democracia Brasileira (Psdb, minoranza) ha invitato l’opposizione ad “allearsi con chi crede, noi risponderemo con la rielezione di Dilma”. E’ di questa settimana la notizia che dall’insediamento di Rousseff, il 1° gennaio 2011, a oggi 22 milioni di brasiliani sono usciti dalla povertà.

(Bahrain) MUORE UN ALTRO MANIFESTANTE ANTI-GOVERNATIVO.

Dopo essere stato in coma per una settimana è morto oggi a Manama un secondo manifestante colpito dalle forze di sicurezza del Bahrain durante dimostrazioni anti-governative. Lo riferiscono fonti vicine all’opposizione fornendo anche il nome della vittima, un giovane di 20 anni che era stato colpito alla testa da un proiettile.

Le manifestazioni erano state organizzate il 14 febbraio, secondo anniversario delle rivolte contro la monarchia e l’intero sistema di potere.

Crisi tra le meno mediatizzate della cosiddetta Primavera araba, quella del Bahrain cominciò sulla scia delle rivolte in Tunisia ed Egitto e vide quasi subito l’intervento delle forze armate di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti a sostegno di Manama.

I manifestanti anti-governativi accusano re Hamad bin Isa Al Khalifa di mantenere uno stato poliziesco e discriminatorio in cui la maggioranza della popolazione viene privata di diritti fondamentali. Denunciano inoltre i tentativi da parte del governo di “camuffare” la crisi come uno scontro tra sunniti e sciiti.

Nelle sue frange più moderate l’opposizione chiede una riforma in senso democratico dello Stato e una reale apertura delle leve economiche e politiche a tutti i settori della popolazione. C’è però una parte che vorrebbe la fine del regime monarchico. Tutti accusano il governo di avere finora concesso aperture poco sostanziali e la comunità internazionale di aver fatto passare sotto silenzio quanto avvenuto in questi due anni.

(Mali) AUTOBOMBA A TESSALIT, A BAMAKO ALLERTA SICUREZZA.

Almeno cinque persone hanno perso la vita nell’esplosione di un’autobomba verificatasi stamattina a Inhalil, nei pressi di Tessalit (nord-est), non lontano dal confine con l’Algeria. Testimoni locali citati dal quotidiano ‘Journal du Mali’ hanno riferito che kamikaze a bordo di due auto si sono fatti esplodere alle 6 (ora locale) davanti a una base del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla). Fonti della ribellione tuareg hanno comunicato un bilancio provvisorio di tre morti nei suoi ranghi e quattro feriti gravi; nell’esplosione sono rimasti uccisi anche i due attentatori. L’aggressione non è stata ancora rivendicata ma l’Mnla ha già puntato il dito contro gli islamisti del Movimento per l’unità del jihad in Africa occidentale (Mujao).

L’attentato di Tessalit è stato commesso all’indomani di quello che si è verificato nel capoluogo settentrionale di Kidal, rivendicato proprio dal Mujao, ai danni di soldati francesi e ciadiani. In un comunicato diffuso ieri sera il portavoce della ribellione islamista Abu Walid Sahraoui aveva avvertito che “altre esplosioni interverranno su tutto il territorio. Andiamo verso una vittoria contro i nemici dell’Islam”. Poche ore prima forze di sicurezza di Parigi hanno confermato di coordinare le proprie operazioni nel nord del Mali con gruppi che “hanno gli stessi obiettivi”, un riferimento indiretto ai tuareg che, inoltre, dovrebbero avviare un dialogo con il governo di transizione di Bamako. L’Mnla ha i suoi feudi nelle regioni di Kidal e Tessalit.

Intanto più a sud, a Gao, teatro ieri di intensi combattimenti tra jihadisti, soldati francesi e maliani, la situazione rimane tesa: colpi d’arma da fuoco sono stati uditi anche stamattina. Il bilancio diffuso dallo stato maggiore francese ha confermato l’uccisione di 20 insorti, il ferimento di quattro soldati maliani e di due militari di Parigi impegnati in Mali nell’ambito dell’operazione Serval, cominciata lo scorso 11 gennaio.

L’offensiva contro i gruppi armati islamisti, respinti il mese scorso dalle principali città del centro nord, è entrata in una nuova fase che rischia di protrarsi nel tempo e si sta manifestando con nuove modalità di combattimento, quelle tipiche della guerriglia urbana. A più di 1500 km a sud, a Bamako, “viviamo in un clima di apprensione per quanto sta accadendo al nord” dice alla MISNA padre Thimothé Diallo, curato della cattedrale, sottolineando che “la gente si guarda intorno con diffidenza, è sospettosa e teme che attentati possano colpire anche la capitale”. L’interlocutore della MISNA riferisce ancora che “in città regna la massima vigilanza e tutti sono in stato di allerta”, mentre le autorità hanno rafforzato le misure di sicurezza “predisponendo posti di blocco ad ogni angolo della capitale dove gli agenti verificano i documenti di identità di chi transita per le strade”.

Sul versante umanitario sono arrivate nuove denunce di “violazioni terrificanti dei diritti umani ai danni delle popolazioni del Nord”, ma anche di reclutamento forzato di bambini e crescenti violenze sessuali. Lo ha riferito Jeans Laerke, portavoce dell’Ufficio di coordinamento degli Affari umanitari dell’Onu (Ocha) mentre il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr) ha constatato che “nonostante la riconquista dei capoluoghi da parte dell’esercito maliano e francese, la situazione non è per niente stabile”. La parziale uscita di scena dei gruppi armati non avrebbe fermato la fuga dei civili, di cui la maggioranza è tuareg e araba, che temono di subire violazioni da parte dei soldati di Bamako. Inoltre, l’insicurezza diffusa, a causa della presenza di mine sulle strade e degli attentati, sta ancora ostacolando gli interventi degli operatori umanitari in soccorso di 1,2 milioni di persone a rischio carestia. Il Fondo Onu per l’Infanzia (Unicef) ha deplorato l’insufficienza dei fondi a favore del Mali finora bloccati dai donatori: solo il 7% dei 283 milioni di euro chiesti dalle Nazioni Unite. Dagli ultimi bilanci diffusi dall’Onu il conflitto ha già causato almeno 242.000 sfollati interni e più di 167.000 rifugiati nei paesi confinanti.