(In giro per il mondo) agenzia Misna, 22 febbraio 2013

22.02.2013 14:32

(Haiti) ‘BABY DOC’ DISERTA ANCORA IL TRIBUNALE, NUOVA UDIENZA.

Dopo la terza defezione consecutiva, un tribunale di Port-au-Prince ha convocato nuovamente per il 28 febbraio l’ex presidente Jean Claude Duvalier (1971-1986), ordinando che questa volta la sua presenza venga assicurata dalla polizia.

Meglio conosciuto come ‘Baby Doc’, ieri Duvalier ha lasciato ancora una volta basita la corte d’appello che avrebbe dovuto notificargli la convalida o meno della decisione del tribunale di prima istanza che lo ha rinviato a giudizio per reati economici. Sull’ex presidente pesano anche denunce per violazioni dei diritti umani, crimini per i quali diverse associazioni della società civile chiedono da tempo che venga giudicato.

Daniele Magloire, rappresentante del Comitato contro l’impunità – che riunisce i querelanti – si è detta preoccupata dal rischio di fuga poiché Duvalier dispone di un passaporto diplomatico e potrebbe lasciare Haiti in qualsiasi momento.

In un messaggio rivolto alle autorità nazionali, da Ginevra l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani Navi Pillay ha sottolineato che gli abusi commessi durante il regime di Duvalier non devono restare impuniti. Per atti di tortura, esecuzioni arbitrarie, sparizioni forzate – ha ricordato Pillay – non è prevista la prescrizione.

Succeduto a suo padre, il dittatore François Duvalier (1957-1971), ‘Baby Doc’ è rientrato in patria a sorpresa nel 2011 dopo 25 anni di ‘esilio dorato’ in Francia. Durante i 30 anni di dominio dei Duvalier, con il beneplacito di Washington, di altri “paesi amici” e delle istituzioni finanziarie, le casse dello Stato haitiano furono saccheggiate e il debito estero di Port-au-Prince si moltiplicò al punto di raggiungere, nel 1986, la somma di 750 milioni di dollari. Organizzazioni a difesa dei diritti umani hanno attribuito al solo ‘Baby Doc’, responsabilità nella morte o l’esilio forzato di almeno 30.000 haitiani.

(Libia) MISURE PER REINSERIMENTO EX RIBELLI.

Una pensione mensile di 2000 dinari (circa 1200 euro), un’abitazione fornita di confort per disabili, un’automobile, riduzioni per l’acquisto di biglietti aerei e un pellegrinaggio gratuito ai luoghi santi dell’Islam: è questo il pacchetto di misure approvato ieri dal governo libico a favore di chi ha subito amputazioni e ferite non guaribili nel corso della vittoriosa ribellione che nel 2011 mise fine al regime di Muammar Gheddafi.

Il provvedimento approvato dal primo ministro Ali Zidan giunge dopo una serie di proteste condotte da reduci del conflitto rimasti disabili e che ora esigono risarcimenti. Numerosi ex ribelli hanno occupato a più riprese siti sensibili tra cui la più importante raffineria libica situata nella città di Zawiya, a ovest di Tripoli.

Altri dimostranti che occupavano invece da quasi tre settimane il Congresso generale nazionale (il parlamento libico) sono stati costretti a lasciare l’edificio ieri.

Il disarmo dei gruppi ribelli e il loro reinserimento sociale è una delle questioni più sensibili della nuova Libia seguita alla caduta di Gheddafi. Molte zone del paese sono tuttora sotto controllo dei gruppi armati; un fatto favorito anche dall’assenza di un vero e proprio esercito durante il regime.

(Malawi) DOPO LO SCIOPERO, VOCI PER LA GIUSTIZIA E LA PACE.

Gratitudine al governo per aver “finalmente” accolto le richieste di aumenti di stipendio dei dipendenti pubblici, allarme per le sofferenze di un 80% della popolazione che sta pagando anche errori di politica economica: è la posizione, ambivalente, della Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale del Malawi.

“La Commissione – si legge in una nota diffusa oggi – è grata al governo per aver finalmente acconsentito agli incrementi salariali chiesti dai dipendenti pubblici, ponendo in questo modo termine a un’impasse che stava aggravando i problemi economico-sociali del Malawi”.

Secondo la Commissione, però, la decisione annunciata ieri sera dal governo è stata “tardiva” e non ha risparmiato al paese “saccheggi, distruzioni e perfino atti di intimidazione ai danni di bambini che frequentavano le lezioni in scuole private”.

Sulla linea politica adottata dal governo della presidente Joyce Banda, entrata in carica nell’aprile scorso dopo la morte improvvisa del suo predecessore Bingu wa Mutharika, il giudizio della Commissione è severo. L’aumento dei prezzi innescato dalla svalutazione del kwacha, si legge nel messaggio, sta aggravando il divario tra un’80% della popolazione che vive in povertà e non può contare su servizi adeguati e una minoranza che continua a beneficiare di privilegi e scelte di spesa discutibili. “Le istituzioni religiose e le organizzazioni della società civile – sottolinea la Commissione – dovrebbero mobilitarsi per spingere il governo a rivedere le linee guida di una politica economica che sta causando miseria e degrado”.