In giro per il mondo (agenzia Misna, 20 marzo 2013)

20.03.2013 09:56

(Guatemala) PRIMO PROCESSO PER GENOCIDIO, INIZIO IN SALITA

Sopravvissuto alle brutalità dell’esercito, Nicolás Bernal Brito è stato il primo a parlare dal banco dei testimoni, con l’aiuto di un traduttore: indigeno Maya Ixil, ha raccontato che i soldati arrivarono al suo villaggio, bruciarono le case, distrussero i raccolti, uccisero gli animali, massacrarono soprattutto le donne. Bernardo Bernal Gusal, anche lui indigeno Ixil del Quiché (nord-ovest del Guatemala), ha ricordato quando i militari assassinarono i suoi familiari e conoscenti; lui, fortunosamente, riuscì a scappare.

Sono stati loro i protagonisti dell’apertura dello storico processo per genocidio e crimini di lesa umanità a carico dell’ex presidente ‘de facto’ Efraín Ríos Montt, 86 anni, (al potere fra il 23 marzo 1982 e l’8 agosto 1983), e il suo responsabile della temuta Direzione di intelligence dell’esercito José Mauricio Rodríguez Sánchez, 68 anni. I due militari devono rispondere ufficialmente del massacro di 1771 indigeni, che l’esercito considerava “nemici interni” e che furono perseguiti nell’intero arco dei 36 anni della guerra civile (1960-1996), conclusa con almeno 200.000 morti accertati e migliaia di ‘desaparecidos’.

“Il processo è iniziato con ogni sorta di artificio da parte degli avvocati della difesa con l’obiettivo di rinviare l’inizio dell’udienza” dice alla MISNA Mario Polanco, direttore del ‘Grupo de Apoyo Mutuo’ (Gam), una delle più importanti organizzazioni della società civile che riunisce i parenti delle vittime del conflitto interno. “Alcuni – spiega – hanno rinunciato, uno è stato è stato sostituito all’ultimo minuto da un collega. Poi la giudice Jazmin Barrios, che presiede il tribunale, ha espulso l’avvocato sostituto per violazioni della deontologia professionale, obbligando i legali di Rodríguez Sánchez ad assumere la difesa di Ríos Montt”.

Ríos Montt è accusato di diretta responsabilità nella pianificazione e realizzazione di tre efferate operazioni note come Victoria 82, Sofía 83 e Firmeza 83 con protagoniste le famigerate ‘Kaibiles’, le forze speciali antiguerriglia. Solo Ríos Montt sarebbe implicato in almeno 15 massacri attraverso piani concepiti per “annichilire” l’etnia Ixil del Quiché.

“E’ la prima volta, in qualsiasi parte del mondo, che un ex capo dello Stato è portato a giudizio per genocidio da un tribunale nazionale…Fino a poco fa nessuno credeva che un processo del genere potesse svolgersi in Guatemala” ha commentato l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, la giurista sudafricana Navi Pillay.

Già deputato e presidente del Congresso dopo il ritorno della democrazia, Ríos Montt è stato rinviato a giudizio, per la prima volta, solo il 26 gennaio scorso, pochi giorni dopo aver perso l’immunità parlamentare che per anni l’aveva protetto. Deve rispondere di un altro massacro di civili, quello di Dos Erres, nel dipartimento settentrionale del Petén, dove fra il 6 e l’8 dicembre 1982 furono assassinati almeno 250 indigeni, tra cui 67 bambini; per la stessa strage un anno fa al generale dell’esercito a riposo Pedro Pimentel sono stati comminati 6060 anni di prigione, pena analoga a quella inflitta nel 2011 ad altri quattro ex militari nel primo processo in cui in Guatemala sono stati riconosciuti colpevoli di crimini contro l’umanità membri delle forze ‘Kaibiles’.

(Colombia) GUERRIGLIA CHIEDE AUMENTO “RISERVE CONTADINE”

Moltiplicare le cosiddette ‘zone di riserva contadina’, comunità autonome previste dalla legge ma osteggiate da diversi settori: lo hanno chiesto le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) in seno al negoziato in corso con il governo a Cuba con l’obiettivo di porre fine a quasi mezzo secolo di guerra civile.

Nell’ambito del primo punto dell’agenda delle trattative – quello del problema agrario – la guerriglia ha proposto la creazione di 59 ‘zonas de reserva campesina’ su un territorio di 9 milioni di ettari. Secondo una legge del 1994 si tratta di distretti riservati a comunità indigene, afro e contadine a cui vengono garantite condizioni di autonomia e sicurezza, sebbene la normativa non sia mai stata dettagliatamente regolamentata.

Tuttavia, l’idea di destinare 9 milioni di ettari di terra ad aree speciali che potrebbero finire facilmente sotto il controllo delle Farc è stata seccamente respinta dal ministro dell’Agricoltura, Juan Camilo Restrepo, secondo il quale “ciò condurrebbe alla creazione di una serie di repubbliche indipendenti”.

La Colombia conta attualmente solo sei ‘zonas de reserva campesina’, in cui vivono 75.000 persone, su un territorio che copre in tutto 830.000 ettari, in base a dati ufficiali. Il loro scopo è mantenere la suddivisione in piccoli lotti agricoli ed evitare grandi concentrazioni di proprietà terriera, in un paese in cui il 52% delle grandi estensioni coltivabili è in mano all’1,15% della popolazione. Il problema della terra è tra le principali cause del sollevamento in armi delle Farc nel 1964.

Nell’arco del conflitto, oltre tre milioni e mezzo di ‘campesinos’ sono stati vittime di spostamenti forzati a causa della violenza dei gruppi armati.