In giro per il mondo (agenzia Misna, 19 marzo 2013)

19.03.2013 17:54

(Nigeria) DOPO GLI ATTENTATI, I MISSIONARI CHIEDONO IL DIALOGO

I missionari sono decisi a restare nel Nord della Nigeria, nonostante l’intensificarsi delle violenze e degli attentati che stanno prendendo di mira anche la minoranza cristiana: lo dice alla MISNA padre Maurice Henry, superiore provinciale della Società missioni africane (Sma), all’indomani dell’attentato di Kano.

“Siamo missionari – dice padre Maurice – e non possiamo certo andare via; cerchiamo di evitare le zone rurali più a rischio ma continuiamo a operare in favore della pace e del dialogo interreligioso sia a Kano che nelle città di Gombe e di Jos”.

Secondo le testimonianze raccolte dai quotidiani nigeriani, dal Vanguard al Daily Trust, ieri le vittime dell’esplosione di un’autobomba in una stazione degli autobus a Kano sono state almeno 60. L’attentato è avvenuto a Sabon Gari, un quartiere dove vivono molti commercianti originari del sud della Nigeria a maggioranza cristiana.

La strage non è stata rivendicata ma diversi osservatori ipotizzano un coinvolgimento di Boko Haram, un gruppo che sostiene di voler rovesciare il governo del presidente Goodluck Jonathan e imporre la legge islamica in tutto il paese.

Secondo padre Maurice, a partire dal 2009 violenze e attentati hanno spinto migliaia di persone a lasciare le regioni del Nord per trasferirsi in luoghi più sicuri. “Conosco tante famiglie – sottolinea il missionario – che sono tornate nei villaggi e nelle città d’origine del Sud e dell’Est della Nigeria nella speranza di poter riavviare le proprie attività economiche grazie all’aiuto dei parenti”. Scelte di vita, queste, che rispecchiano una rassegnazione sempre più diffusa. “Ad Abuja e nel Sud – dice padre Maurice – la gente ha cominciato a considerare le regioni del Nord come irrecuperabili”.

(Iraq) BAGHDAD, SI AGGRAVA IL BILANCIO DEGLI ATTENTATI

È salito a 50 morti il bilancio delle vittime delle esplosioni a catena che hanno colpito oggi diversi quartieri sciiti e nel sud della capitale irachena alla vigilia del decimo anniversario dell’invasione americana in Iraq. Le autobombe sono esplose nei pressi di un affollato mercato di Baghdad, vicino alla Zona verde e in altri quartieri della capitale, prendendo di mira di mira soprattutto persone che si recavano al lavoro o al mercato.

Tra i quartieri colpiti ci sono quelli di Sadr City, Husseiniya, Nuova Baghdad, Zaafaraniya. Il più violento degli attacchi – secondo le informazioni in circolazione – si sarebbe verificato nei pressi del ministero del Lavoro e degli Affari sociali nel quartiere di Qahira, in cui sono morte sette persone.

Il governo iracheno ha deciso di posticipare di sei mesi le elezioni provinciali in programma il 20 aprile nelle due province di Anbar e Niniveh per motivi di sicurezza. Lo ha reso noto Gaata al-Zobaie, un funzionario dell’Alta Commissione elettorale indipendente. Dall’inizio dell’anno ci sono stati numerosi attentati contro candidati alle elezioni e attacchi che hanno riacceso le tensioni tra la maggioranza sciita e la minoranza sunnita.

(Repubblica Dominicana) EXPORT “IRREGOLARE”, BLOCCATO CARICO DI ORO E ARGENTO

Dichiarazione di origine errata: questa la motivazione addotta dalle autorità doganali della Repubblica Dominicana per bloccare a tempo indeterminato un carico di oro e argento che l’azienda mineraria canadese Barrick Gold si apprestava ad esportare in modo irregolare.

Nella documentazione necessaria a trasportare in Canada il carico – del valore di 11,6 milioni di dollari – è emerso che l’azienda ne ha certificato l’origine statunitense e non dominicana: a precisarlo è stato Wilson Acosta, rappresentante della direzione della dogana, in una conferenza stampa all’aeroporto di Santo Domingo. “Ciò comporta una sanzione pari al doppio del valore delle merci” ha puntualizzato Acosta. Secondo i vertici dell’azienda si tratterebbe di un errore dovuto al sistema informatico della stessa direzione della dogana nazionale.

Il carico, 6000 once d’oro e 30.000 di argento, è stato estratto dalla miniera di Pueblo Viejo, un centinaio di km a nord della capitale; è stato bloccato all’aeroporto di Santo Domingo il 13 marzo a fronte del rifiuto opposto dalla Barrick a un controllo della polizia. Il direttore della dogana, Fernando Fernández, ha sollecitato l’azienda a presentare una nuova documentazione nonché i registri degli oltre 15 carichi esportati dal novembre scorso.

L’episodio giunge mentre il governo conduce un’accesa campagna per rinegoziare con la Barrick la concessione per lo sfruttamento del giacimento di Pueblo Viejo, ritenendola svantaggiosa per lo Stato. Barrick ha cominciato a estrarre oro dalla miniera a metà dello scorso anno, con un investimento previsto di 11 miliardi di dollari: secondo il contratto di concessione, della durata di 25 anni, verserà i primi soldi allo Stato una volta recuperato il suo investimento iniziale e ottenuto il 28,75% di introiti netti, condizioni a cui si oppone con forza l’esecutivo di Danilo Medina.

(Iraq) OPPOSIZIONE, NO AL DIALOGO CON DAMASCO

L’opposizione siriana non accetterà alcun dialogo con il presidente Bashar al Assad: lo ha affermato nel suo discorso inaugurale il nuovo ‘primo ministro’ dissidente Ghassan Hito, eletto al vertice della Coalizione nazionale siriana a Istanbul. “Confermiamo al popolo siriano che non ci sarà alcun dialogo con il regime” ha detto Hito, incaricato di formare un governo di opposizione che si occupi di amministrare i ‘territori liberati’ dall’esercito di Damasco.

Le dichiarazioni di Hito sbarrano definitivamente la porta all’ipotesi di dialogo con membri del governo “che non abbiano le mani sporche di sangue” avanzata qualche settimana fa dal leader della Coalizione, Ahmed Moaz al Khatib, sollevado un acceso dibattito in seno all’opposizione.

Al Khatib aveva chiesto inoltre la liberazione dei prigionieri politici e precisato che ogni forma di negoziato avrebbe dovuto necessariamente prevedere “le dimissioni di Bashar al Assad”.

Sul fronte del conflitto, intanto, il governo di Damasco ha accusato i ribelli di aver utilizzato armi chimiche su Khan al Assal nella provincia di Aleppo. Il ministro dell’Informazione, Omran al Zohbi, ha parlato di “pericolosa escalation” sostenendo che 16 persone sono state uccise e 86 ferite nell’attacco. L’opposizione smentisce fermamente, sostenendo che sono al contrario le forze del regime ad avere armamenti non consentiti.

(Colombia) PROCESSO DI PACE: FARC PRESENTANO “PROPOSTE MINIME” PER UN ACCORDO

“Smilitarizzare le aree rurali, la società e lo Stato, il che implica l’abbandono della dottrina della ‘sicurezza nazionale’ imposta dal Pentagono”: è la prima delle “nove proposte minime di giustizia sociale territoriale e politica macroeconomica per la pace” divulgata dalle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) dall’Avana.

A formularla è stato il capo negoziatore delle Farc, Iván Márquez, al suo arrivo, poco fa, al Palazzo delle Convezioni della capitale cubana che ospita il processo di pace tra la guerriglia e il governo all’inizio del settimo ciclo di colloqui. Insieme alla delegazione dell’esecutivo, guidata dall’ex vice presidente Humberto de la Calle, la guerriglia è impegnata nel dibattito sul primo punto dell’agenda delle trattative, il problema della terra.

Di fronte ai giornalisti, Márquez ha inoltre deplorato l’uccisione, il 5 marzo, di almeno 16 militari in un’imboscata dei ribelli nella regione del Cauca, confermata ieri dal segretariato delle Farc: “Vorremmo che questi dialoghi di pace si realizzassero in uno scenario tranquillo…e con una tregua bilaterale” ha detto il comandante delle Farc reiterando la proposta di un cessate-il-fuoco concordato, finora sempre esclusa dal governo che ha continuato a condurre l’offensiva militare anche nel corso del negoziato infliggendo peraltro gravi perdite al gruppo armato.

Nonostante il contesto difficile, Márquez si è detto ottimista sul raggiungimento di un’intesa sul tema agrario. Appena ieri il presidente Juan Manuel Santos aveva espresso l’auspicio di poter firmare la pace con le Farc prima della fine dell’anno.