(In giro per il mondo) agenzia Misna, 19 febbraio 2013

19.02.2013 16:44

(Mali) Dall'Europa soldati e aiuti, più cauti gli Stati Uniti.

Dodici milioni di euro, 450 soldati europei di cui 200 addestratori: sono questi i numeri della Missione di formazione dell’Unione Europea (Eutm) per il Mali formalmente approvata ieri dai ministri degli Esteri riuniti a Bruxelles. La firma dell’accordo segna l’ultima tappa di un progetto che ha visto la luce a dicembre e ha cominciato a prendere forma il mese scorso con l’invio di esperti militari europei a Bamako, poco dopo l’avvio dell’operazione francese Serval.

“La missione di formazione dovrebbe cominciare a partire del mese di aprile per arrivare entro la fine dell’anno ad avere pronti tra quattro e cinque battaglioni” ha dichiarato il colonnello Thierry Marchand, consigliere militare presso il ministero della Difesa di Parigi. La missione di formazione di 650 soldati maliani e di ristrutturazione dell’esercito nazionale sarà posta sotto comando francese, ma in tutto ben 16 paesi europei hanno annunciato la loro partecipazione con diverse modalità. Il governo della cancelliera tedesca Angela Merkel ha già approvato un piano per il dispiegamento di 330 uomini per “partecipare all’addestramento delle truppe” e “fornire sostegno logistico”; ora si aspetta il voto del parlamento di Berlino per il vaglio definitivo. Contribuiranno anche la Gran Bretagna e la Repubblica Ceca, sia pur con numeri e tempi da precisare.

La scorsa settimana la Commissione europea ha sbloccato un finanziamento di 20 milioni di euro per la “stabilizzazione” del Mali e il presidente José Manuel Barroso ha convocato per maggio a Bruxelles una nuova conferenza dei donatori per “sostenere il processo sul piano politico e per lo sviluppo”. Proprio oggi il primo ministro ad interim maliano Diango Cissoko è in visita ufficiale in Belgio e nel pomeriggio a Parigi avrà colloqui con i ministri della Difesa e degli Esteri francesi. Poche ore fa il ministro francese per lo Sviluppo, Pascal Canfin, in visita a Mopti, una città situata nel centro del Mali, ha annunciato la ripresa della cooperazione con Bamako, formalmente sospesa dopo il colpo di stato militare che nel marzo 2012 ha destituito il presidente Amadou Toumani Touré. Lo ha riferito il quotidiano locale ‘Journal du Mali’, citando Canfin: le priorità andranno al ripristino dei servizi di acqua ed elettricità nelle città settentrionali e al settore sanitario, soprattutto a favore di bambini e donne.

Da canto suo l’ente Onu per l’istruzione, la scienza e la cultura (Unesco) sosterrà con 10 milioni di dollari la ricostruzione del patrimonio mondiale dell’umanità maliano andato distrutto durante l’occupazione di alcuni centri, tra cui Timbuctù, da parte dei gruppi armati islamisti.

Molto più cauta è invece la posizione espressa da Washington che, secondo i membri del Congresso attualmente in visita in Mali, “riprenderà un sostegno militare diretto solo dopo il pieno ristabilimento della democrazia”. In altre parole dopo “l’organizzazione di elezioni libere e trasparenti”, come quelle promesse dal presidente ad interim Dioncounda Traoré, in programma il 7 luglio. Gli Stati Uniti come altri paesi occidentali hanno sospeso la cooperazione diretta con Bamako dopo il colpo di stato di 11 mesi fa.

Intanto nell’ex colonia francese continua a far discutere la nomina del capo della giunta militare autrice del golpe, il capitano Amadou Haya Sanogo, alla presidenza del Comitato di riforma dell’esercito. Una carica per la quale percepirà ogni mese 4 milioni di franchi Cfa (circa 6000 euro) tra stipendio e bonus di vario tipo. Sanogo e i suoi sostenitori, i berretti verdi, continuano ad avere un certa influenza sulla transizione civile oltre ad alimentare divisioni persistenti all’interno delle forze di sicurezza.

Brevi dall'America Latina.

BOLIVIA – La società spagnola Abertis stima in circa 67 milioni di euro il “giusto compenso” per l’espropriazione della Sabsa (Servicios de Aeropuertos Bolivianos), la filiale attraverso la quale amministrava fino a ieri i tre principali aeroporti della Bolivia, decisa dal governo di Evo Morales. Il consigliere delegato Francisco Reynés ha dichiarato che la compagnia ccordinerà insieme al governo di Madrid “la difesa dei suoi interessi”; la statale Aena (Aeropuertos Españoles y Navegación Aérea) partecipava per il 10% alle attività di Abertis nel paese andino.

COLOMBIA – I guerriglieri delle Farc e dell’Eln hanno deciso di unire le forze contro i mega-progetti di sfruttamento minerario, energetico ed agricolo “che impoveriscono la gente e l’ambiente”: lo hanno annunciato in una nota pubblica in cui rivendicano anche un attacco avvenuto il 12 febbraio contro truppe dell’esercito di stanza nella zona di Nudo de Paramillo, nella Cordigliera occidentale, che ha provocato la morte di due soldati. L’alleanza potrebbe avere ripercussioni negative sul processo di pace tra il governo e le Farc in corso a Cuba.

HONDURAS – “Una vendetta del crimine organizzato contro la polizia”: così il vice miniostro della Sicurezza, Coralia Rivera, ha definito l’omicidio di Oscar Roberto Ramírez, 17 anni, figlio dell’ex direttore della Polizia Nazionale honduregna, il generale a riposo Ricardo Ramírez del Cid; il ragazzo è stato assassinato domenica insieme a due uomini della scorta da un commando armato mentre cenava in un ristorante vicino all’aeroporto di Tegucigalpa. Secondo l’Onu, l’Honduras ha il tasso più alto di omicidi del pianeta, 91 ogni 100.000 abitanti.

CUBA – Omaggi floreali ma anche contestazioni hanno accolto la blogger dissidente cubana Yoani Sánchez al suo arrivo in Brasile, prima tappa di un tour che la porterà anche in Messico, Perù, Stati Uniti, Repubblica Ceca, Germania, Svezia, Svizzera, Italia e Spagna. Il Brasile, dove si tratterrà fino a sabato con una fitta agenda, è la prima destinazione scelta da Sánchez che ha ottenuto a gennaio il passaporto grazie alla nuova riforma migratoria con cui è stato tra l’altro soppresso il “permesso di uscita” prima necessario per viaggiare all’estero.

(Burundi) Dispersa protesta giornalisti, in strada per Ruvakuki.

E’ stato disperso dai gas lacrimogeni della polizia un corteo pacifico di 90 giornalisti e operatori dei media scesi per le strade di Bujumbura per chiedere la liberazione del loro collega, Hassan Ruvakuki. Il mese scorso, in appello, il giornalista dell’emittente indipendente Bonesha Fm e corrispondente di Radio France Internationale (Rfi) in lingua swahili è stato condannato a tre anni di detenzione, invece dell’ergastolo comminatogli in prima istanza, a giugno. La Corte di appello di Gitega (centro) lo ha riconosciuto colpevole di “partecipazione a un’associazione costituita con l’obiettivo di attentare alla vita di persone e ai beni”, in relazione a una serie di attacchi commessi nella notte nel novembre 2011 nella provincia di Canzuko (est), confinante con la Tanzania.

“Come avviene regolarmente i giornalisti si sono riuniti a sostegno del loro collega, quando all’improvviso la polizia ha caricato il corteo, lanciando gas lacrimogeni prima di affrontarlo con violenza. Alcuni sono stati picchiati” ha riferito il sito d’informazione indipendente burundese ‘Iwacu’, sottolineando che “finora proteste di questo tipo si sono sempre svolte nella calma, ma questa mattina visibilmente la polizia ha scelto una nuova opzione”. Per il presidente del sindacato dei giornalisti del Burundi, Alexandre Niyungeko, si è trattato di “una flagrante violazione della costituzione che sancisce la libertà di espressione e di raduno”.

La scorsa settimana, in occasione della Giornata mondiale della radio, il legale del giornalista E l’organizzazione internazionale di difesa dei media Reporter senza frontiere (Rsf) hanno chiesto alle autorità burundesi la “liberazione condizionata” per Ruvakuki, annunciando un appello davanti all’Alta corte se la richiesta non dovesse essere accolta positivamente. “E’ un verdetto ancora ingiusto in quanto Ruvakuki ha soltanto fatto il suo lavoro e deve essere prosciolto” ha detto alla MISNA Léandre Sikuyavuga, vice presidente dell’Osservatorio della stampa burundese, sottolineando che “ogni giornata trascorsa in carcere è un giorno di troppo”.

Dalle elezioni contestate del 2010, vinte dal presidente Pierre Nkurunziza e dal suo partito (Cndd-Fdd), diversi rapporti stilati da organizzazioni locali e dalle Nazioni Unite hanno espresso preoccupazione per un clima di intimidazione che circonda operatori dei media e attivisti della società civile. Negli ultimi due anni sono stati denunciati decine di episodi di violenza, casi di sparizioni forzate e omicidi con un bilancio di più di 400 vittime.