In giro per il mondo (agenzia Misna, 18 marzo 2013)

18.03.2013 15:18

(Brasile) DILMA CAMBIA TRE MINISTRI

Con la sostituzione di tre ministri nel primo rimpasto di governo di quest’anno, Dilma Rousseff ha mantenuto coesa la variegata coalizione che la sostiene, in vista delle presidenziali e legislative del 2014.

Il titolare dello strategico dicastero dell’Agricoltura, il deputato Mendes Ribeiro, ha ceduto il passo al collega Antonio Andrade: entrambi appartengono al Partito del movimento democratico brasiliano (Pmdb), principale alleato del Partito dei Lavoratori (Pt) di Rousseff. Anche al ministero del Lavoro, si succedono due esponenti dello stesso schieramento, il Partito democratico laburista (Pdt), sempre della maggioranza: il deputato Brizola Neto è stato sostituito dall’avvocato Manoel Dias.

La guida del dicastero dell’Aviazione civile è stata invece affidata a Wellington Moreira, sempre del Pmdb, finora ministro degli Affari strategici, che rimpiazza Wagner Bittencourt.

Rousseff governa dal 1° gennaio 2011 grazie a una base che riunisce oltre 10 partiti, diversi dei quali sono rappresentati dai 33 ministri del suo gabinetto. Dall’inizio dell’anno circolavano voci su un’imminente profonda riforma ministeriale, poi attenuatesi con il passare delle settimane. Rousseff, che non ha ancora annunciato se si ripresenterà nel 2014, ha perso nel suo primo anno di mandato sette ministri sei dei quali hanno rinunciato per scandali di corruzione.

BREVI DALL’AFRICA (Ciad/Centrafrica, Somalia, Burundi, Gabon, Guinea, Camerun, Kenya)

CIAD/CENTRAFRICA – E’ stato espulso dal territorio ciadiano l’oppositore centrafricano Jean-Jacques Demafouth, ex capo dell’Esercito popolare per il ripristino della democrazia (Aprd), uno dei movimenti ribelli firmatari degli accordi di pace del 2008 con Bangui. Demafouth – ex ministro della Difesa ed ex candidato alle presidenziali – era scappato dal suo paese la scorsa settimana, sostenendo di aver ricevuto pesanti minacce da parte del ministro centrafricano della Pubblica sicurezza, Josué Binoua. Al suo arrivo in Ciad aveva chiesto asilo politico. Demafouth è stato riaccompagnato a Paoua (nord) e consegnato alla Missione di consolidamento della pace in Centrafrica (Micopax, dei paesi dell’Africa centrale) che lo deve riportare a Bangui.

SOMALIA – E’ tornato libero il giornalista somalo Abdiaziz Abdinur Ibrahim, dopo che la Corte suprema di Mogadiscio ha rimosso le accuse a suo carico. Il giornalista venticinquenne è stato arrestato e incarcerato il mese scorso per aver intervistato una donna che ha denunciato uno stupro subito da soldati delle forze di sicurezza. In primo grado la giustizia lo aveva condannato a un anno di detenzione per “aver leso all’onore dell’esercito”. La donna, Luul Ali Osman, è tornata libera a inizio marzo.

BURUNDI – L’apertura di un’inchiesta da parte della procura e tre agenti di polizia arrestati: è quanto deciso dal governo di Bujumbura pochi giorni dopo la repressione di una processione religiosa a Businde, nella regione settentrionale di Kayanza, della setta Zebiya, conclusasi con dieci morti e 35 feriti. La società civile ha denunciato un “massacro”, costringendo le autorità a prendere questi provvedimenti dopo aver cercato di proteggere gli uomini delle forze di sicurezza coinvolti nell’incidente.

GABON – Dopo la firma di un’intesa col governo, l’Organizzazione nazionale dei lavoratori del settore petrolifero (Onep) ha sospeso lo sciopero cominciato il 9 marzo. Aime Ipandi, portavoce del sindacato, ha annunciato di aver ottenuto garanzie dalle autorità sulla fine dell’impiego abusivo di manodopera straniera, stimata in almeno 3000 persone, e della discriminazione salariale tra locali e stranieri. Inoltre l’Onep chiedeva il reintegro di 17 lavoratori licenziati dalla società Schlumberger per aver scioperato. Lo sciopero di una settimana ha causato problemi nell’approvvigionamento di carburante dei cittadini e perdite economiche significative per le aziende che operano in Gabon, quarto produttore africano di petrolio.

GUINEA – Lancia l’allarme sul clima di tensione politica che riaccende le rivalità tra comunità l’Osservatorio guineano dei diritti umani, riferendo di otto persone uccise dallo scorso 27 febbraio, data dell’ultima protesta dell’opposizione a Conakry. I difensori dei diritti umani puntano il dito contro le forze dell’ordine, accusate di attuare “spedizioni punitive in diversi quartieri alla periferia della capitale”. Dal 2011 governo e opposizione non riescono ad allacciare un dialogo politico e le elezioni legislative sono state continuamente rinviate più volte, fino al 12 maggio, data prevista per lo scrutinio. L’Unione delle forze democratiche di Guinea (Ufdg) di Cellou Dallein Diallo ha un elettorato a maggioranza peul mentre il Raggruppamento del popolo di Guinea (Rpg) del presidente Alpha Condé è sostenuto dai malinke. Le presidenziali del 2010 sono state segnate da violenze intercomunitarie.

CAMERUN – “Tutti i mezzi e strumenti a disposizione vengono utilizzati (…) per ritrovarli presto e in vita”: lo ha dichiarato il ministro della Difesa di Parigi Laurent Fabius in merito alla sorte dei sette francesi, di cui quattro bambini, rapiti un mese fa, lo scorso 19 febbraio a Dabanga, nell’estremo nord del Camerun. Il rapimento è stato rivendicato pochi giorni dopo, con un video diffuso su You Tube, da individui che si sono presentati come esponenti del gruppo islamista nigeriano Boko Haram e che hanno spiegato il gesto come una rappresaglia per l’intervento armato di Parigi contro i gruppi tuareg e islamisti nel nord del Mali. Gli ostaggi sarebbero stati trasferiti nella confinante Nigeria.

KENYA – “Non ho nulla di cui scusarmi”: il ministro degli Esteri del Botswana Phandu Skelemani è tornato in questo modo sulle sue dichiarazioni circa il fatto che il neo-eletto presidente keniano Uhuru Kenyatta sarebbe “persona non grata” in Botswana. Kenyatta è imputato all’Aia per presunti crimini contro l’umanità.

(Cile) BACHELET TORNA IN PATRIA, ATTESA PER CANDIDATURA PRESIDENZIALI

“Cronaca di un ritorno annunciato”: così dal governo del conservatore Sebastián Piñera, che ne teme la conferma alle elezioni del prossimo 17 novembre, è stato accolto l’annuncio del rientro in Cile dell’ex presidente socialista Michelle Bachelet.

Nel fine-settimana, la prima donna alla presidenza del paese sudamericano tra il 2006 e il 2010 ha comunicato da New York la sua rinuncia al mandato di direttrice esecutiva dell’agenzia dell’Onu per le donne Un Women, senza, tuttavia, precisare se si presenterà o meno al prossimo appuntamento con le urne; possibilità che appare in ogni caso scontata e sostenuta dai sondaggi che da mesi la indicano senza rivali.

A fronte delle ultime inchieste d’opinione, Bachelet, di formazione pediatra, figlia di un generale ucciso dalla dittatura di Augusto Pinochet (1973-1990), di cui fu vittima ella stessa, guida le intenzioni di voto con il 49% seguita dall’ex ministro Laurence Golborne, pre-candidato della Unión Democrática Independiente (Udi, destra) con appena l’11%.

“La destra è atterrita dal ritorno di Bachelet perché sanno e constatano come il resto della popolazione di questo paese che lei gode di un prestigio, di un’adesione dei cittadini e di un riconoscimento immenso della società” ha dichiarato Osvaldo Andrade, capo del Partido Socialista.

Già ministro della Sanità e della Difesa con la Concertación – coalizione di centro-sinistra che ha governato dalla caduta di Pinochet fino all’arrivo di Piñera nel 2010 – Bachelet, 61 anni, aveva lasciato la guida del Cile con un’inedito tasso di popolarità del 70%.

(Etiopia) ADDIS ABEBA, MUSULMANI IN PIAZZA PER CONTESTARE IL GOVERNO

Centinaia di musulmani sono scesi per le strade di Addis Abeba venerdì, giorno della preghiera rituale, per protestare contro il governo. Lo riferiscono alcuni mezzi di informazione vicini all’opposizione secondo cui i manifestanti hanno occupato per diverse ore l’area di Pisaa nei pressi della moschea di Anwar, nel quartiere di Merkato.

I manifestanti hanno protestato con le mani giunte, contro quelli che definiscono arresti “indiscriminati” di cittadini di fede islamica e di alcuni leader religiosi.

Collegata alla vicenda delle proteste potrebbe essere anche la chiusura degli accessi al sito dell’emittente panaraba al Jazira, che ha denunciato come gli internauti etiopici trovino ‘bloccato’ l’accesso al loro server. L’emittente – che aveva offerto un’ampia copertura delle proteste della comunità islamica verificatesi la scorsa primavera – accusa i vertici di Addis Abeba di censura dell’informazione.

A più riprese negli ultimi mesi l’Etiopia è stata attraversata dalle contestazioni della comunità islamica che accusa la classe dirigente di etnia tigrina di discriminazioni oltre a pesanti interferenze e pressioni negli affari religiosi. In particolare i musulmani – circa il 35% su una popolazione di 85 milioni di persone – contestano al governo etiopico di aver imposto l’elezione di esponenti della setta moderata Al Ahbash ai vertici della conferenza islamica nazionale, in modo da contrastare l’ascesa di predicatori e imam su posizioni più radicali.

(Centrafrica) MINISTRI IN OSTAGGIO DEI RIBELLI, ULTIMATUM AL GOVERNO

Un ultimatum di tre giorni per ottenere entro mercoledì la liberazione dei prigionieri politici e l’integrazione dei combattenti nell’esercito nazionale è stato rivolto dai ribelli della coalizione Seleka al presidente François Bozizé, durante una visita a Sibut (centro) di una delegazione governativa e della comunità internazionale. Dei sei rappresentanti dell’esecutivo andati nella località situata 150 chilometri a nord di Bangui, solo uno è tornato nella capitale. La ‘base’ della Seleka ha trattenuto cinque ministri, tutti esponenti della ribellione entrati a far parte il mese scorso dell’esecutivo di unità nazionale costituito sulla scia dell’accordo di pace firmato a Libreville l’11 gennaio. Tra i dirigenti ora in ostaggio degli uomini della Seleka c’è anche il loro capo Michel Djotodia, attuale vice primo ministro e ministro della Difesa.

Tra le rivendicazioni avanzate dalla ribellione, che ha fatto slittare l’avvio del processo di disarmo previsto il mese scorso, c’è anche la partenza dal territorio centrafricano delle truppe straniere e la rimozione dei posto di blocco ‘illegali’. Nel caso in cui il presidente Bozizé – al potere dal 2003 con un colpo di stato – non dovesse accogliere le richieste, la ribellione ha minacciato di riprendere le armi e di puntare sulla capitale. Il generale congolese Léonard Essongo, rappresentante del mediatore nella crisi centrafricana, il presidente Denis Sassou Nguesso, si è mostrato “irritato” dal gesto “estremo” dei ribelli ma si è detto “fiducioso” su un rapido rientro dei ministri a Bangui.

A essere delusi dall’intesa firmata con Bangui sono gli uomini vicini a Nourradine Adam della Convenzione dei patrioti per la giustizia e la pace (Cpjp), uno dei tre movimenti che lo scorso agosto hanno costituito la Seleka (alleanza in lingua sango) assieme alla Convenzione dei patrioti della salvezza e del Kodro (Cpsk) e all’Unione delle forze democratiche per il raggruppamento (Ufdr). In realtà, nonostante la firma dell’accordo di Libreville la Seleka non ha mai interrotto la sua offensiva. Nelle scorse settimana ha preso il controllo di Rafaï, Bangassou, Gambo, la zona diamantifera di Dim

bi, la città di Kembé (centro-sud), ma anche Kouango, Mobaye (sud-est) e Sida (nord), con gravi conseguenze umanitarie e sulla vita economica del paese.

(Yemen) DIALOGO NAZIONALE, AL VIA TRA ASSENZE ECCELLENTI

Sono cominciati oggi a Sana’a i negoziati per la riconciliazione nazionale finalizzati alla stesura di una nuova Costituzione e alla preparazione di elezioni generali nel febbraio 2014. Oltre 500 rappresentanti di diversi partiti e movimenti politici prenderanno parte agli incontri che dovrebbero durare – secondo le previsioni – circa sei mesi.

Il dialogo rientra nell’ambito dell’accordo raggiunto dopo le proteste che, nel 2011, hanno portato alle dimissioni dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh a favore del suo vice, Abdrabbun Mansour Hadi, divenuto capo dello stato nel febbraio 2012.

All’incontro non prenderà parte il movimento secessionista del sud del paese, Al Hiraak al Janubi, che ha deciso di boicottare ogni dialogo che non riguardi esclusivamente e in via prioritaria l’indipendenza delle regioni meridionali. Ieri centinaia di sostenitori del gruppo sono scesi per le strade di Aden per protestare contro la conferenza: alcuni esponevano cartelli con la scritta “No al dialogo sotto occupazione. L’indipendenza è una nostra scelta”.

A propendere per il boicottaggio è stata anche l’attivista e premio Nobel per la pace Tawakul Karman che contesta un’inadeguata rappresentazione della società civile a fronte della presenza di personalità “le cui mani sono sporche del sangue dei rivoluzionari”. Karman denuncia il fatto che il governo non abbia riformato le Forze armate, rilasciato gli oppositori in detenzione e aperto inchieste sull’uccisione di manifestanti durante le rivolte.

Assente eccellente anche il potente capo tribale Hamid al Ahmed del movimento Islah (Riformista), che ha declinato l’invito in segno di protesta per la decisione di assegnare ai ribelli Houthis, di etnia sciita, numerosi seggi di rappresentanza per la provincia settentrionale di Saada.