(Honduras) Honduras, uno Stato in crisi sulle rotte del narcotraffico (Matteo Villa, Meridiani, 20 febbraio 2013)
Dal 2009, anno del colpo di Stato che ha destituito il presidente Manuel Zelaya, la situazione economica e sociale honduregna è nettamente peggiorata. Negli ultimi due anni ci sono stati spiragli di ripresa economica due anni (+3,8% nel 2012), ma l’Honduras rimane tra i paesi più poveri dell’America centrale, con un Pil pro capite che raggiunge appena i 4.600 dollari.
L’Honduras si trova in una posizione geografica favorevole, porto naturale per le rotte atlantiche e potenziale corridoio per le merci e gli scambi verso il nord America. Ma il paese non ha mai fatto da cerniera tra nord e sud America. I paesi dell’America centrale, ad eccezione del Messico, sono ancora lontani da stabilità e crescita. In Honduras le fasce più povere della popolazione non hanno guadagnato quasi nulla in termini di potere d’acquisto negli ultimi anni. Dati del 2012 dicono anche che il 20% della popolazione detiene oggi oltre il 59% della ricchezza nazionale, mentre il 10% rappresentato dalle classi più povere appena lo 0,4%.
Se si considera la valutazione data dall’indice di Gini, che misura la distribuzione del reddito di un paese, l’Honduras fa registrare un secco 57.7. Un dato negativo che lo posiziona tra i primi nove paesi al mondo con la disparità di reddito più ampia. La situazione non migliora se si considerano le valutazioni ottenute con l’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite (Human development index): l’Honduras si posiziona ultimo tra i paesi del continente americano. Secondo i dati della World Bank, quasi il 60% della popolazione honduregna vive sotto la soglia di povertà.
Mentre ad esempio Brasile e Cile, a partire dalla fine degli anni ’90, hanno varato programmi rivolti alla riduzione della povertà attraverso trasferimenti diretti di denaro alle fasce svantaggiate, nessun governo honduregno ha avviato una politica simile. L’Honduras non ha beneficiato del boom delle commodities, com’è successo invece alle grandi economie dell’area. Il paese esporta per la maggior parte caffè il cui prezzo è aumentato senza arrivare al livello di petrolio, rame e oro. Le entrate fiscali dello Stato si sono poi ridotte ulteriormente negli ultimi anni: dalle tasse l’Honduras guadagna appena il 18,4%, troppo poco per poter finanziare infrastrutture e servizi con una bilancia commerciale negativa. Il deficit fiscale ammonta al 3,9% del Pil ma non ha finanziato nessuna crescita industriale ed è il risultato di una macchina statale dispendiosa e di una politica profondamente corrotta.
Le corruzione non risparmia politici, alti funzionari statali e forze dell’ordine. Complici i bassi salari e una scarsa preparazione, numerosi addetti delle forze di polizia sono coinvolti in crimini gravi come il traffico di droga o di esseri umani. Questa illegalità diffusa ha prodotto una progressiva perdita del controllo territoriale da parte dello Stato. Sono due i segnali più evidenti del collasso dell’intera struttura statale: incapacità di corrispondere ai cittadini servizi di base e la sicurezza sul territorio nazionale; esplosione della violenza all’interno del paese.
Il livello di violenza ha raggiunto ormai livelli elevatissimi. Secondo i dati forniti da In SightCrime, in Honduras si registra il tasso più alto al mondo di omicidi: oltre 90 ogni 100 mila abitanti. L’ondata di crimini è legata alla crescente presenza di gruppi legati al narcotraffico e di elementi legati ai cartelli della droga messicani degli Zetas e dei Salvatruce. In pochi anni il paese è diventato uno snodo cruciale per il traffico di droga nel continente.
Durante il golpe del 2009, molti militari furono chiamati a controllare i disordini nelle strade e lasciarono sguarnite zone di confine che oggi sono diventate la porta d’ingresso di trafficanti e criminalità organizzata. Con il controllo del territorio gli emissari dei cartelli messicani hanno cominciato a tessere relazioni con la criminalità locale assicurandosi una presenza sempre più massiccia. L’Honduras si trova così coinvolto in un progressivo spostamento delle rotte del narcotraffico che vede i cartelli messicani impegnati nel tentativo di avvicinare le zone di raccolta della cocaina a quelle di produzione e raffinazione. C’è il rischio che il paese diventi nei prossimi anni un altro ‘narco-Stato’.
* Grafica: Alberto Imbrosciano