(Gran Bretagna) Bocciata la strategia di Cameron (Leonardo Maisano, Sole 24 Ore, 23 febbraio 2013)

23.02.2013 10:01

Che Moody's fosse la più attenta fra le maggiori agenzie di rating Londra lo sapeva, che fosse già pronta a un downgrade, no. La notizia è arrivata nella tarda serata di ieri, cogliendo di sorpresa per la tempistica anche gli operatori.
Da lunedì il debito sovrano del Regno di Elisabetta non godrà più della tripla A, ma si dovrà accontentare di Aa1, un passo indietro che il Tesoro britannico temeva da tempo anche se, lo ripetiamo, nessuno immaginava potesse maturare in queste ore.
Le ragioni del declassamento sono illustrate nel rapporto di Moodys. «La persistente debolezza della prospettiva di crescita a medio termine proseguirà anche nella seconda metà del decennio - ha spiegato l'agenzia di rating - creando un quadro incerto sotto l'aspetto del risanamento di bilancio che si protrarrà anche nella prossima legislatura».
In altre parole Moodys boccia la strategia di austerità del governo del premier conservatore David Cameron e soprattutto quella del suo cancelliere dello scacchiere, George Osborne. La cinghia strettissima imposta dalla coalizione conservatori- liberaldemocratici dal giorno della vittoria elettorale non sta dando i risultati attesi. Poteva dimostrarsi vincente per gestire gli effetti immediati del credit crunch, ma ha sbattuto fragorosamente contro le conseguenze della crisi dell'euro che ha sprofondato l'economia del Regno Unito in una seconda recessione e adesso promette di gettarla nel temuto "triple dip", in una nuova ricaduta.
A rassicurare gli inglesi e gli investitori istituzionali non basteranno, crediamo, le parole che Moody's aggiunge nel comunicato in cui annuncia il downgrade. «La capacità del Paese di onorare i propri impegni - spiega l'agenzia di rating - resta elevatissima e il voto Aa1 lo conferma, radicata com'è in un'economia diversificata e altamente competitiva, in linea con un processo di consolidamento fiscale ben avviato». Come dire ce la farà, ma non è più quella di prima.
Il cancelliere dello scacchiere e con lui la maggior parte degli analisti se lo attendevano. Non soltanto perché nell'autunno scorso Moody's aveva messo sotto osservazione i conti di Londra spingendo poi Standard & Poors a tracciare un outlook negativo. Il Tesoro lo teme dal più recente monitoraggio dei dati macroeconomici che indicano un costante deterioramento dei conti pubblici, oltre le aspettative, con un deficit che viaggia attorno all'8% del pil e un debito che oscilla fra il 70 e l'80% del economia nazionale. A preoccupare è, anche a Londra, il tasso di crescita, che continuerà per gli analisti di Moody's a essere fiacco, in una visione ottimistica della congiuntura prossima ventura.
La crescita è al centro di un feroce dibattito che coinvolge anche il comitato di politica monetaria della Banca d'Inghilterra diviso come mai prima d'ora sulle ricette da adottare per stimolare l'economia. Qualche giorno fa è emerso dalle minute della riunione del comitato che il governatore Mervyn King è favorevole a un nuovo round di quantitative easing. La proposta non è passata (il voto è a maggioranza) ma conferma che la direzione prossima ventura della Banca d'Inghilterra è proprio quella: nuovo denaro per sollecitare la crescita. Dello stesso avviso è anche il governatore in pectore, il numero uno della Banca del Canada Mark Carney, che da giugno guiderà l'istituto centrale britannico.
Londra è disposta - di fatto lo ha già realizzato - ad allontanarsi dal target dell'inflazione pur di stimolare la ripresa. Tutto questo potrà aiutarla, crediamo, a riguadagnare credibilità in termini di prospettiva di crescita, agli occhi delle agenzie di rating, ma non basterà a sanare il danno.
David Cameron e George Osborne avevano puntato tutte le loro carte sul mantenimento di Londra nella ristrettissima cerchia della tripla A di cui ora soltanto Canada e Germania sono legittimi rappresentanti. Il declassamento, anche se potrà avere, come i più ritengono, deboli ricadute nel finanziamento del debito, è la pubblica bocciatura di un'intera strategia di politica economica.