(Filippine) Le Filippine continuano a rincorrere una pace che duri (Graziano Tullio, Meridiani, 13 febbraio 2013)

14.02.2013 11:14

Dopo decenni di violenti scontri e accordi falliti tra il governo centrale e i gruppi secessionisti di matrice islamica operanti nella regione di Mindanao, le Filippine tentano di inaugurare, non senza difficoltà, una nuova era di pace.

Il 6 febbraio 2013 il congresso della Repubblica delle Filippine ha approvato un’importante misura legislativa per la protezione dei diritti degli sfollati interni (Idps – Internally displaced persons). “Si tratta di un provvedimento di vitale importanza per la protezione dei diritti umani in una zona in cui un lungo conflitto armato (quello tra il governo centrale e i movimenti secessionisti islamici) e numerosi disastri naturali hanno causato l’evacuazione forzata di più di un milione di persone, soprattutto nella regione di Mindanao” ha dichiarato da Ginevra, Adrian Edwards, portavoce dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni unite.

Oltre alla tutela formale del diritto all’abitazione, il nuovo provvedimento si spinge fino a includere una significativa compensazione economica per gli sfollati. Prevede anche pene severe per chiunque si renda protagonista di uno scontro armato che determini l’evacuazione forzata dei civili non combattenti e residenti nella zona colpita dal conflitto.

E’ un provvedimento inteso a consolidare gli spazi di sicurezza in un paese che vive tuttora una fase post-conflitto caratterizzata da profonda instabilità e dal permanere di episodi di violenza armata da parte dei gruppi ribelli separatisti.

Il 15 ottobre scorso il governo delle Filippine e il (Milf), il principale gruppo separatista della regione di Mindanao, si sono incontrati a Kuala Lumpur per stipulare l’Accordo quadro di pace, che ha segnato formalmente la fine di un conflitto decennale. “Oggi questo accordo sigilla finalmente un’autentica e duratura pace” aveva dichiarato solennemente dalla capitale della Malesia il presidente delle Filippine Benigno Aquino III all’indomani della firma.

Nonostante il raggiungimento dell’accordo di pace, però, il livello di tensione tra il governo e i gruppi secessionisti islamici è ancora alto nella regione di Mindanao, e un grave episodio di violenza è stato registrato anche la settimana scorsa. Il 5 febbraio più di duemila persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case e oltre 50 sono decedute sull’isola di Sulu, appartenente alla neo-costituita Regione autonoma musulmana di Mindanao (Armm). La causa è stato uno scontro a fuoco nato per motivi ancora sconosciuti tra due gruppi separatisti islamici, il Moro National Liberation Front (Mnlf) e l’Abu Sayyaf Group (Asg).

Tra quelli che da anni seguono il conflitto e lavorano sul campo a contatto con le vittime sono in molti ad affermare che si tratta di un accordo puramente formale. Tra questi c’è Nonviolent Peaceforce (Np), l’organizzazione internazionale di peacekeeping civile non armato che dal 2007 lavora a fianco del governo per la composizione nonviolenta del conflitto filippino e per la protezione dei civili vittime degli scontri. 

Lo stesso trattato di pace lascia ampi spazi di incertezza che potrebbero facilmente diventare pretesti per una nuova escalation violenta.

L’Accordo quadro è per molti versi un compromesso incompleto: da una parte il Milf ha accantonato il sogno di un vero e proprio Stato islamico e accettato l’istituzione del Bangsamoro, nuova regione islamica autonoma di Mindanao. Il governo centrale ha concesso in cambio maggiore autonomia economica e politica ai Moro di Bangsamoro, mantenendo però la sovranità statale sulla neonata regione.

Il problema è che molti aspetti fondamentali di questo decentramento, dal sistema sanitario fino al controllo delle frontiere, sono stati intenzionalmente lasciati indefiniti e la loro disciplina è stata rimandata ai successivi round di negoziazione. I prossimi round sono previsti per la fine del 2016, anno in cui il presidente Benigno Aquino III dovrà abbandonare il governo del paese dopo 6 anni di mandato, così come previsto dalla costituzione. 

I futuri sviluppi del processo di pace restano quindi pieni di incertezza, e al momento il Milf non sembra preoccuparsene. Il gruppo indipendentista islamico può contare sul forte appoggio della Malesia – principale sostenitore (e finanziatore) di Bangsamoro –, determinato a sostenere la nuova regione autonoma in caso di nuove controversie con il governo centrale filippino. Lo scorso settembre il capo del Milf, Al Haj Murad, è stato invitato all’ottavo Forum economico islamico mondiale, e il primo ministro malesiano, Najib Razak, ha trattato Murad alla pari degli altri capi di Stato. Quella tra il Milf e il governo malesiano è una relazione strategica incredibilmente comoda per entrambi. Al Haj Murad vede nella Malesia un partner fondamentale per lo sviluppo economico della piccola neo-regione autonoma filippina e per la difesa del suo status politico. Najib Razak vede nella nascita della Regione autonoma musulmana di Mindanao un’ottima carta da giocare in vista delle imminenti elezioni. Essere riconosciuto a pieno titolo come uno dei protagonisti del processo di pace filippino e come sostenitore dei “fratelli” islamici filippini lo avvantaggia nell’attuale fase di campagna elettorale malese.

Al Haj Murad, abbagliato dalla semi-vittoria indipendentista e dalla virtuosa relazione con Najib Razak, sembra oggi minimizzare sui contrasti possibili contrasti che potrebbero sortire dai prossimi round del processo di pace. E’ invece possibile che il traguardo appena raggiunto possa rimanere ostaggio di una nuova deriva violenta, così come già successo più volte in passato, quando simili tentativi sono abortiti e hanno innescato nuovi focolai di violenza nel giro di pochi mesi.

Mindanao rimane una delle zone più militarizzate al mondo, dove migliaia di persone sono ancora senza casa, accolte in campi per sfollati, in attesa di poter tonare nelle loro zone d’origine. La nuova legge sui sfollati interni appena votata dal governo delle Filippine è una misura di contenimento più che di composizione del conflitto. Se non altro è uno strumento chiave per ristabilire un livello minimo di sicurezza nell’area di Mindanao.