(Europa/USA) La crescita di Obama, le tasse dell'Europa (Vittorio Emanuele Parsi, Sole 24 Ore, 14 febbraio 2013)

14.02.2013 17:35

Sembrano sempre più due vascelli che muovono in direzione opposta, quello americano e quello europeo, i cui capitani scommettono su venti diversi, per uscire dalle acque stagnanti in cui questa lunga crisi economico-finanziaria li ha abbandonati.

Se l'America di Obama ha deciso di fare di "crescita e lavoro" la propria stella polare, la rotta dell'Europa sembra invece essenzialmente determinata dal rigore e dal risanamento dei conti pubblici. Certo: ridurre deficit e debito è un obiettivo anche americano, né più né meno di quanto far crescere il Pil resti una necessità anche europea. Però non può sfuggire come l'enfasi sia diversa, che la lettura stessa di quale sia la variabile indipendente, o per lo meno quella su cui puntare, sia sostanzialmente opposta.
C'è qualcosa di più di una preferenza ideologica o della dittatura dei fatti dietro due strategie così speculari, la cui adozione sta provocando un nuovo trans-Atlantic divide, sia pure meno spettacolare di quello prodotto dal post-11 settembre nel decennio scorso, che neppure l'importante annuncio del presidente di lanciare un nuovo round di colloqui per un accordo complessivo sul commercio euro-americano è riuscito a celare. Si tratta di una distanza che non esiterei a definirei "filosofica", se riusciamo a liberarci dalle declinazioni più usurate di questo termine.

 

Il liberal Obama, che pure vuole aumentare le tasse ai ricchi ed elevare il salario minimo, resta contrario alla Tobin tax e al big government. La conservatrice Merkel (per spendere un nome altrettanto autorevole) è stata invece tra i maggiori artefici della tassazione delle transazioni finanziarie internazionali e governa un Wohlfahrsstaat ben più generoso e intrusivo di quanto Obama possa neppure sognare. Soprattutto, tutti e due sono ben consapevoli che il liberismo integrale non rappresenta la soluzione per la crisi in cui si dibatte il modello occidentale di sviluppo e semmai ne ha accentuato gli squilibri. La domanda che su entrambe le sponde dell'Atlantico ci si pone è semplice almeno tanto quanto è difficile la risposta che occorre trovare: come far sì che l'economia di mercato e la democrazia si rafforzino a vicenda, tornando a bilanciare l'una gli eccessi dell'altra?
Se c'è una cosa che questa lunga crisi ha messo in evidenza, infatti, è che quel peculiare equilibrio che ha consentito all'Occidente di divenire la parte più sviluppata, ricca, produttiva e innovativa del pianeta si è andato perdendo. La continuità tra innovazione, produttività, creazione di ricchezza e sviluppo economico e sociale si è spezzata: con modalità differenti da Paese a Paese, ma pressoché dappertutto, il modello non funziona più o è in grosso affanno. Interi sistemi economici nazionali denunciano bassa innovazione o l'incapacità di tradurla in produttività. Altri ancora generano crescita del Pil ma non occupazione.

Ovunque - perlomeno in Occidente - assistiamo al peggioramento della qualità della vita, all'impoverimento progressivo dei ceti medi, all'aumento della diseguaglianza. Fenomeni la cui gravità è attestata dal successo che arride ai movimenti di protesta o contestazione del sistema, sia pur manifestate in forme spesso diverse e più o meno irrituali. Nello scambio di accuse tra Mario Monti e Beppe Grillo («vuole ridurre l'Italia come la Grecia!», «sono quelli come lui che hanno ridotto la Grecia così!») quello che colpisce non è la ferocia da campagna elettorale, ma il fatto che perlomeno nella percezione di molti cittadini occidentali entrambe le affermazioni sono esagerate ma non completamente infondate, perché c'è molto di vero (e altrettanto di falso) in entrambe: che si vestano di presunta saggezza o di pretesa follia.
Se la sfida epocale che abbiamo di fronte è salvare contemporaneamente l'economia di mercato e la democrazia (ovvero due grandiosi "manufatti" liberali), ciò che dobbiamo chiederci non è tanto quale tra le due rotte, quella americana e quella europea, sia la rotta perfetta; ma semmai se sia possibile delinearne una in grado - pragmaticamente - di bilanciare le giuste intuizioni contenute in entrambe. Perché tanto la strategia americana quanto quella europea contengono indicazioni preziose per rimettere in moto l'economia transatlantica.

La Tobin tax europea cerca di rendere meno profittevole la rendita finanziaria che sta soffocando l'economia produttiva esattamente come quella terriera impediva il decollo del capitalismo moderno, quasi trecento anni fa. Lo stimolo alla crescita e alla creazione di posti di lavoro che orienta Obama è la sola via per sostenere il futuro del modello (liberale) occidentale. Riuscire a coniugare tutte e due queste politiche è l'unico modo per riaffermare che la democrazia e il mercato continuano a restare i pilastri insostituibili di qualunque concezione decente di sviluppo.