(Europa) La guerra delle valute: il super euro danneggia l’economia dell’Ue (Giuliana Scamardella, Meridiani, 19 febbraio 2013)

19.02.2013 15:55

Nelle ultime settimane la fase di apprezzamento dell’euro è motivo di preoccupazione per tutti i paesi dell’eurozona. La moneta unica ha chiuso il 2012 a quota 1.31 contro il dollaro, fino a toccare 1.37 ai primi di febbraio, picco assoluto degli ultimi 15 mesi. L’andamento corrente dell’euro non è indicativo della propria robustezza, ma anzi segnala la debolezza intenzionale delle altre monete mondiali. Da decenni le politiche di deprezzamento delle valute sono meccanismi utilizzati dai governi, seppur con discrezione, per rilanciare le economie nazionali. Gli effetti della svalutazione monetaria consentono di rafforzare la competitività delle nazioni e combattere al tempo stesso squilibri interni, come la disoccupazione, anche in assenza di un’efficace politica monetaria ad esempio.

Attraverso la svalutazione competitiva si rilanciano soprattutto le esportazioni. In pratica diminuendo il valore della propria divisa, aumenta immediatamente il valore dei beni venduti all’estero. Il Giappone è attualmente tra i paesi che spingono di più su questa politica aggressiva. Il primo ministro conservatore Shinzo Abe ha annunciato il perseguimento di una politica di svalutazione dello yen per rilanciare l’economia. L’obiettivo prefissato è un deprezzamento del 20% della valuta nazionale. Il premier sta sollecitando la Banca centrale nipponica (organo formalmente indipendente come la Bce) a stampare yen in maniera sempre più aggressiva, iniettando sempre più liquidità sui mercati. La politica sembra stia funzionando: nell’ultimo paio di mesi la moneta giapponese ha subito una svalutazione del 10% sul dollaro e del 14% sull’euro. La competitività delle esportazioni giapponesi è dunque aumentata.

Politiche simili sono state attuate anche negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dove la Federal Reserve e Bank of England coniavano sempre più moneta per accaparrarsi più titoli. Attualmente negli Stati Uniti, a fronte di un 4° trimestre del 2012 deludente, la Banca Centrale americana spende 40 milairdi di dollari ogni mese per l’acquisto di debito pubblico e privato. Anche la sterlina sembra andare verso un deprezzamento deciso dalla Banca d’Inghilterra a causa della stagnazione economica del Regno Unito.

In pratica la guerra delle valute la vince chi tiene il cambio più basso e applica svalutazioni competitive. È per questo che i valori di dollaro, sterlina, yen sono in caduta libera rispetto all’euro. La guerra delle valute ha innescato un conflitto per la rivalità delle grandi zone economiche e commerciali del mondo, soprattutto oltre oceano e in Asia. L’euro sembra giocare quasi fuori corsa perché non può essere manovrato né in rialzo né in ribasso, non avendo una Banca Centrale che ne regoli la domanda e che possa stampar moneta.

La questione del super euro è arrivata sul tavolo dell’eurogruppo dell’11 febbraio. I ministri delle finanze europei hanno cercato una posizione comune di compromesso contro l’elevatissimo tasso di cambio, soprattutto in vista del G20 di Mosca del15 febbraio. Le posizioni dei paesi dell’eurozona sono divergenti e rimandano ai differenti modelli economici di ciascuno Stato dell’Unione. La tranquillità della Germania, non intimorita da un euro così forte, si scontra con le paure dei paesi del sud Europa, come la Francia e l’Italia.

Il ministro delle finanze francese Pierre Moscovici ha insistito su una richiesta di azione coordinata contro fluttuazioni valutarie così incostanti, poiché danneggiano e mettono in pericolo la crescita dei paesi. Francois Hollande ha ribadito che “Non possiamo permetterci che l’euro fluttui in base agli umori del mercato. Dobbiamo agire a livello internazionale per tutelare i nostri interessi, […]. Va bene fare tagli, ma indebolire l’economia no”. Solo il 50% del commercio internazionale francese si muove dentro l’eurozona. Il resto delle transazioni avviene in valuta estera, e si traduce in una riduzione di competitività rispetto ai concorrenti asiatici o americani. Pur di non perdere le proprie quote di mercato numeroze aziende transalpine sono obbligate inevitabilmente ad una riduzione dei prezzi che causa perdite di profitto.

Situazione opposta per la Germania, dove l’euro forte piace. Jens Weidmann, capo della Bundesbank tedesca, non ritiene che l’apprezzamento dell’euro sia una segnale di una seria sopravvalutazione della moneta, ma rivolgendosi ai politici europei ha dichiarato: “ bisogna evitare di insistere sulla svalutazione dell’euro, sostenendo che ogni politica di indebolimento della valuta porterebbe a una maggiore inflazione”. Le parole di Weidman si rifanno ad uno studio pubblicato sul Wall Street Journal realizzato da Gilles Moec, analista della Deutsche Bank. Secondo questa ricerca, ogni paese all’interno dell’eurozona avrebbe una “pain threshold” (soglia di dolore) per l’economia, un punto oltre il quale la forza dell’euro comincia a danneggiare la competitività degli esportatori.

Attraverso il calcolo di un indice, la banca tedesca ha stimato che le esportazioni italiane soffrano con un rapporto euro-dollaro a 1.17, quelle francesi ad 1.24, mentre le tedesche hanno la loro soglia a 1.54. L’industria tedesca, avendo ridotto notevolmente i costi di produzione durante gli ultimi dieci anni, si colloca in un mercato che risente in maniera inferiore della sensibilità dei prezzi. La Germania risulta più immune ad un euro forte perchè ha una buona flessibilità del lavoro, riesce a mantenere ancora prodotti di monopolio in alcuni mercati e numerose fabbriche off-shore in altri paesi. Secondo Gilles Moec anche la Spagna, come la Germania, sembrerebbe resistere ad un euro forte: “ la Spagna è diventata il secondo più grande produttore di auto in Europa, superando la Francia, e ora produce un numero di automobile tre volte maggiore rispetto all’Italia, spesso grazie a operai stranieri non europei”. Negli ultimi dieci anni Francia e Italia non hanno avuto la stessa “capacità di adattamento”. Le industrie hanno tagliato gli utili cercando di rimanere a galla sul mercato, ma sono rimaste anche indietro nella produttività.

I paesi dell’eurozona con crescita della disoccupazione in costante aumento, previsioni di recessione per il 2013, e con un euro che potrebbe finire per fare da zavorra a economia e borse, hanno chiesto all’interno dell’Eurogruppo di agire sui tassi di cambio. Di tutta risposta però Jeroen Dijsselbloem, neopresidente olandese dell’Eurogruppo, ha dichiarato che: “i tassi di cambio dell’euro vanno determinati in sede internazionale, e non a livello europeo” e ha aggiunto che: “si è parlato anche della parità dell’euro […] ma di questo se ne discuterà nella sede più opportuna del G-20”. Al summit di Mosca, il ministro dell’economia francese ha ribadito il desiderio di una cooperazione internazionale per eliminare qualsiasi strategia aggressiva per il deprezzamento delle valute. Il Fondo monetario internazionale ha fatto posizione comune con Mario Draghi, presidente della Banca europea (Bce), i quali hanno dichiarato all’unisono che “parlare di guerra delle valute un’esagerazione”. Draghi dal suo canto apprezza l’attuale valore dell’euro sul dollaro e lo interpreta come “ un ritorno di fiducia dei mercati nella moneta unica”, ma la Bce vigila costantemente la situazione per scongiurare effetti negativi sulla stabilità dei prezzi.